Mons. Crepaldi parla del testo "Laboratorio Trieste"

CrepaldiVita Nuova, settimanale cattolico di Trieste 24 maggio 2012

di Stefano Fontana

Eccellenza, ho in mano il volumetto, recentemente edito e disponibile in libreria, che illustra il progetto del “Laboratorio Trieste” — come lei lo ha chiamato — sulla formazione dei cattolici all’impegno sociale e politico. Come mai ha addirittura pensato di scrivere un testo-base? Se non vado errato, nessun vescovo lo ha finora fatto.

Non so perché non lo abbiano fatto gli altri, né so di certo che non l’abbiano fatto. So bene però perché ho deciso di scriverlo io. Vede, molto spesso i tavoli di formazione all’impegno sociale e politico il Vescovo li indice e convoca i partecipanti, dopo di che i partecipanti iniziano a parlare tra loro … e tutto finisce lì. Non è che la formazione dei laici cattolici all’impegno sociale e politico possa essere ridotta ad una chiacchierata, ad uno scambio di esperienze senza un chiaro criterio dottrinale di valutazione. Ecco perché ho scritto il testo-base: per fornire il quadro in cui ci si muoverà.

Si tratta, quindi, di un vademecum, di un manuale, di “istruzioni per l’uso”.

No, non si tratta di questo. Il Vescovo, in una diocesi, non fa il direttore del traffico cercando che nessuno si faccia male. Il testo-base dà sì le indicazioni per il cammino ma non come una guida turistica. Fornisce le motivazioni, i fini, dà gli orientamenti e in tutto ciò viene espressa l’autorità del Vescovo e il suo compito di insegnare e di governare la Chiesa diocesana. Non si tratta, quindi, di un insieme di indicazioni procedurali, ma di orientamenti dottrinali e pratici.

Quindi che non si discutono…

Se si vuole discutere insieme bisogna prima di tutto chiarire su cosa “non” si deve né si può discutere. Alla base della discussione ci deve essere qualcosa al riparo dalla discussione, altrimenti la discussione diventa inconcludente e vana, un parlare per parlare. I laici cattolici che intendono ricevere dalla Chiesa una formazione cattolica all’impegno sociale e politico sanno che non si tratta di iscriversi ad un corso per avere una sorta di patentino: si tratta di fare un percorso ecclesiale, e non c’è percorso ecclesiale senza il vescovo che conferma nella fede e senza la dottrina cattolica insegnata dalla tradizione della Chiesa.

Lei aveva dato per la prima volta la notizia del Laboratorio Trieste il 3 dicembre 2011 al Palazzo Diana in occasione della presentazione del Terzo Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa. Sono passati già alcuni mesi. Quali prevede che siano i tempi di attuazione del progetto?

La stesura del testo-base e la sua pubblicazione ha richiesto i tempi tecnici. Il libro ora è in libreria. Prevedo di farne una presentazione pubblica nel mese di giugno in modo da rendere meglio nota le finalità del progetto alla Diocesi, per poi cominciare con l’attività vera e propria in autunno.

Nel testo lei fa anche una analisi della situazione di Trieste. Cosa ci può dire a riguardo?

Ho intitolato il capitolo su Trieste in questo modo: “Trieste: città di incontro e di dialogo non banale”. Se nel passato la città ha avuto esperienze di scontro, ieri, oggi e domani è votata invece all’incontro e al dialogo, ma non banale. Un dialogo non superficiale o consumistico di parole, ma fondato sulla verità e sul dialogo tra la ragione e la fede. Ad un dialogo così inteso è diretta la volontà della comunità cattolica, perché un dialogo sulle opinioni non serve a nessuno e non rispetta nemmeno la dignità degli interlocutori, mentre un dialogo sulla verità è di sicuro interesse e valore.

Eccellenza, veniamo al punto più scabroso. I fedeli cattolici militano un po’ in tutte le forze politiche o comunque le votano. Come pensa di fare una formazione unitaria davanti ad un simile pluralismo? Non è un progetto velleitario o comunque ormai superato?

Il Laboratorio Trieste non si pone un obiettivo politico, ma formativo. Di fatto oggi c’è una collocazione plurale dei fedeli in politica, ma la Nota Ratzinger del 2002 dice che «la coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l’attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale sono sovvertiti». C’è allora una collocazione plurale legittima ed una illegittima. Il Laboratorio Trieste si propone di formare i laici cattolici ad una collocazione legittima.

Altro punto scabroso è: chi sono i cattolici impegnati in politica? Non si rischia di dare in questo modo una patente di cattolicità a questo piuttosto che a quello?

Questo punto sembra il più scabroso, ma in realtà è piuttosto semplice. Il Santo Padre ha indicato alcuni principi, definiti “non negoziabili”, che non possono essere messi da parte dal cattolico impegnato in politica. Ne ho trattato anche nel mio libro “Il cattolico in politica”. L’accettazione esplicita di quei punti qualifica chi in politica si dice cattolico e chi no. Io non devo dare patenti, devo indicare i punti che secondo il magistero della Chiesa sono qualificanti e irrinunciabili. Benedetto XVI ha già elencato da tempo questi principi, ma ugualmente la formazione politica nelle diocesi è stata rivolta a tutti e non solo a coloro che avessero accettato quei punti. Questa è una delle principali novità del nostro Laboratorio. Il testo-base serve anche a questo, ossia a precisare i presupposti non oggetto di discussione a partire dai quali ci si forma e ci si confronta. Senza questo non c’è formazione cattolica.

Questi presupposti sono solo i cosiddetti principi non negoziabili o c’è dell’altro?

C’è anche dell’altro da presupporre, ma ne parleremo più a fondo nella prossima presentazione del testo-base. Qui accenno solo ad un punto. L’impegno sociale e politico dei cattolici consiste nell’ordinare a Dio le cose temporali, come afferma il Concilio. Al centro del loro impegno c’è Dio in quanto, come ha recentemente detto Benedetto XVI, «non esiste un regno di questioni terrene che possa essere sottratto al Creatore e al suo dominio». Mi sembra che questo sia un presupposto di fondamentale importanza. Negare questa centralità di Dio vuol dire separare in modo irreparabile la politica dalla fede cattolica.

Il Laboratorio Trieste riguarderà solo i cattolici o anche i laici?

Riguarderà i cattolici, ma il progetto prevede anche il dialogo con i laici, ossia con chi non accede a nessuna religione ma che non nega l’importanza della fede per la costruzione della società umana. I laici così intesi sono quelli che credono veramente nella ragione e quindi sono interessati e aperti anche a conoscere le ragioni della fede.

L’iniziativa parte con la collaborazione dell’Osservatorio sulla Dottrina sociale della Chiesa Cardinale Van Thuân che lei preside. Come mai?

A motivo dell’importante ruolo che la Dottrina sociale della Chiesa gioca in questo progetto. La formazione all’impegno sociale e politico in passato non ha sempre avuto buon esito soprattutto perché la Dottrina sociale della Chiesa non era stata ben utilizzata. Raramente se ne è fatto un organico e costante punto di riferimento. Soprattutto non si è riusciti a mettere in relazione la Dottrina sociale con gli altri aspetti della formazione, politici o legislativi, sicché è rimasta una cosa a sé stante.

Nel progetto chi si occuperà di Dottrina sociale della Chiesa?

Spetterà alla Scuola di formazione sociale e politica, uno dei soggetti del Laboratorio Trieste, ad insegnarla sistematicamente.

Perché l’ha chiamato Laboratorio?

Perché presenta alcune novità e perché, dopo averlo sperimentato a Trieste, forse può essere un progetto esportabile in altri ambiti.

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È stato pubblicato il testo-base scritto dal Vescovo

Il testo-base per la formazione dei cattolici all’impegno sociale e politico ha per titolo “Laboratorio Trieste. La formazione dei cattolici all’impegno sociale e politico”. È stato scritto dall’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi e l’iniziativa è a cura della Diocesi di Trieste e dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla dottrina sociale della Chiesa. Il volumetto, edito da Cantagalli, è di 72 pagine e costa 8 Euro.

Il testo-base è suddiviso in quattro capitoli: Esigenza e possibilità di un nuovo progetto; Trieste, città di incontro e di dialogo non banale; La novità del Laboratorio di Trieste; La struttura del Laboratorio di Trieste. Seguono i Cenni conclusivi.

Il testo-base fa una valutazione di come la Chiesa italiana ha organizzato la formazione all’impegno sociale e politico negli ultimi vent’anni, analizza quindi la situazione e i bisogni di Trieste per poi presentare le principali novità del progetto, ossia la sua organicità, il fatto di partire da un testo-base scritto dal Vescovo e di assumere in via preliminare delle premesse legate alla dottrina cattolica, senza delle quali l’attività di formazione si ridurrebbe in chiacchiere.