Unione europea verso la fine della legislatura, i dossier aperti

Abstract: Unione europea verso la fine della legislatura, i dossier aperti che il nuovo Parlamento dovrà affrontare: dal Green Deal alla riforma del mercato farmaceutico, dalla direttiva imballaggi al rilancio dell’automotive. Sullo sfondo la nuova geografia delle alleanze in vista delle elezioni del 9 giugno con i recenti passaggi del partito del premier ungherese Viktor Orbán Fidesz e di quellofondato da Éric Zemmour Reconquête! nel gruppo parlamentare europeo guidato da Giorgia Meloni

Il Borghese quindicinale15 febbraio 2024

L’Unione Europea verso la fine della legislatura

di Giuseppe Brienza

L’Unione Europea corre verso la fine della legislatura lasciando una serie di dossier aperti, dal Green Deal alla riforma del mercato farmaceutico, dalla direttiva imballaggi al rilancio dell’automotive. Sullo sfondo la nuova geografia delle alleanze in vista delle elezioni del 9 giugno con i recenti passaggi del partito del premier ungherese Viktor Orbán Fidesz e di quello fondato da Éric Zemmour Reconquête! nel gruppo parlamentare europeo guidato da Giorgia Meloni (Ecr).

Ma veniamo all’Agenda verde – il cosiddetto Green Deal appunto – che dovrebbe portare (secondo l’attuale “maggioranza Ursula” in Commissione europea) alla c.d. neutralità climatica entro il 2050.

La protesta dei trattori, che ha bloccato vie e piazze in vari Paesi d’Europa e che ha visto il suo culmine nella grande manifestazione del 1° febbraio a Bruxelles davanti alla sede del Consiglio europeo, ha avuto come obiettivo proprio le istituzioni e le politiche comunitarie dirette a realizzare la c.d. transizione ecologica. Per raggiungere questa chimera l’Unione Europea pretendeva infatti che gli agricoltori tutto in una volta:

  • eliminassero i “pesticidi dannosi” (che avrebbero dovuti essere dimezzati entro il 2030),
  • aumentassero la rotazione delle colture,
  • introducessero nuove tecnologie nelle coltivazioni,
  • riducessero le emissioni e gli “sprechi alimentari”.

In pratica, che auto-condannassero l’intero settore agricolo europeo al fallimento. Gli agricoltori uniti hanno chiesto piuttosto alla Commissione europea sussidi più equi, misure in grado di calmierare i costi dei carburanti (in Germania in particolare sono parecchio aumentate negli ultimi mesi le tasse sul diesel agricolo), proroga dell’ammissione sul mercato della carne sintetica, misure per regolare l’installazione di impianti fotovoltaici sui terreni produttivi e, su tutto, snellimento generale della burocrazia. Tanto più che la PAC (Politica Agricola Comune) si è fatta sempre più rigida ed esigente nell’imporre sempre nuove regole per il rispetto dell’ambiente condannando gli agricoltori alla perdita di quote di mercato a causa della “slealtà” della concorrenza extra-europea che non ha nessun obbligo di rispettare i canoni green.

«Se oggi è in atto in ogni angolo dell’Europa la rivolta dei contadini ne è unico responsabile l’ex commissario socialista olandese all’ambiente. Quanto alla Commissione Ue è stata incapace di arginare il furore ideologico ambientalista e oggi mostra tutta la propria debolezza. Il prossimo Parlamento – ha dichiarato il capogruppo di Forza Italia al Parlamento europeo Fulvio Martusciello – cambierà profondamente queste politiche mettendo al centro agricoltori e imprese».

Gli ha fatto eco il presidente del Consiglio Giorgia Meloni che, nel corso di una conferenza stampa, ha detto chiaramente: «Sono leader politico di un partito che in Europa ha votato contro la gran parte delle questioni che giustamente oggi gli agricoltori pongono. Penso si sia sbagliato molto da questo punto di vista. Abbiamo detto che la transizione ecologica non doveva essere ideologica e che non dovevamo scambiare la sostenibilità ambientale con quella economica e sociale, e oggi cominciamo a vedere i risultati». Per la premier in definitiva la politica europea in materia di agricoltura «va cambiata», e non si pensi che questa sia una questione da porre solo per il Vecchio Continente. Ricordiamo infatti che l’agricoltura garantisce oggi reddito a circa 3 miliardi di esseri umani (di cui 1 miliardo dediti alla zootecnia), i quali operano in 590 milioni di aziende agricole (9,1 milioni nella sola Unione Europea).

Altra questione irrisolta è quella farmaceutica. La Commissione guidata da Ursula Von Der Leyen ha proposto fin dal novembre 2020 la riforma più ampia in oltre 20 anni della legislazione farmaceutica dell’Unione Europea al fine di renderla «più agile, flessibile e adeguata alle esigenze dei cittadini e delle imprese dell’UE». Ma è proprio così? La revisione, secondo i promotori, dovrebbe migliorare la disponibilità e l’accessibilità, anche in termini di prezzi, dei medicinali ma, anche in questo campo, la linea prevalente è quella dell’ideologia green, mirando la riforma, come si legge nei comunicati ufficiali, a dare «slancio alla competitività e all’attrattiva dell’industria farmaceutica dell’UE promuovendo al contempo i parametri ambientali più elevati» ed a «mitigare l’impatto ambientale della produzione di medicinali in linea con gli obiettivi del Green Deal europeo».

Anche per questi motivi, quindi, il dossier farmaceutico è rimasto aperto. La questione farmaceutica è rimasta irrisolta perché l’Italia (fra altri) l’ha affrontata nella prospettiva dell’interesse nazionale. Quello farmaceutico, infatti, come recentemente ribadito dal ministro della Salute Orazio Schillaci, è un settore molto complesso, sia per il numero di attori coinvolti sia per i temi da valutare. «C’è innanzitutto il dovere del Servizio sanitario nazionale di tutelare la salute delle persone assicurando l’accesso ai farmaci migliori – ha affermato Schillaci –, e c’è in gioco anche il ruolo dell’industria farmaceutica italiana, un settore d’eccellenza che, nel contesto delle regole di mercato, va sostenuto nell’interesse di tutti i cittadini, visti sia come pazienti sia come lavoratori».

È un bene, dunque, che la partita sia rimasta aperta e che la riforma del settore farmaceutico europeo debba ormai passare all’esame del Consiglio e del Parlamento europeo che usciranno dalle prossime elezioni. La Federazione Europea delle Industrie Farmaceutiche aveva fra l’altro inviato alla Commissione un documento molto critico su qualunque decisione che metta in discussione i meccanismi brevettuali e gli incentivi per le aziende, trovando una sponda in esponenti dei partiti di centrodestra tra i parlamentari europei.

Venendo ora al regolamento imballaggi (Ppwr), dopo il voto del 22 novembre 2023 del Parlamento europeo che ha così definito la sua posizione negoziale, le varie questioni che hanno creato divisioni fra i vari protagonisti coinvolti sono ancora all’ordine del giorno dei negoziati informali tra Parlamento, Consiglio e Commissione europea (il c.d. trilogo), iniziato già a gennaio.

Come sostenuto dall’europarlamentare di Forza Italia Massimiliano Salini, relatore PPE sul nuovo regolamento, le richieste di modifica della proposta iniziale avanzate dagli esponenti del centrodestra sono state per lo più accolte dal Parlamento, permangono però perplessità sui target insostenibili di riuso imposti e sull’eccessivo accanimento contro la plastica. Nei fast-food non si vorrebbe quindi dover bere da bicchieri utilizzati da altri e lavati decine di volte, con enorme spreco di acqua e detergenti, oppure sarebbe opportuno che nei supermercati la frutta e verdura, a prescindere dal peso, conservi le caratteristiche di sicurezza, freschezza e salubrità che oggi sono in grado di garantire solo le confezioni monouso riciclabili.

Concludendo con i cahiers de doléances sulla gestione economica europea della Commissione Von der Leyen, un riferimento al settore automotive è d’obbligo. Anche in questo campo, infatti, le richieste di Bruxelles relative alla transizione energetica hanno penalizzato non solo in generale il mercato e la produzione europea ma anche quella italiana. Per fare solo un esempio all’attualità, è noto l’annuncio fatto ai sindacati da parte del management di Stellantis della cassa integrazione per il mese di marzo per i 2260 operai di Mirafiori. Le linee della Maserati e della 500 elettrica, infatti, sono destinate a lavorare su un solo turno con tutte le conseguenze del caso, su tutte la ricaduta sul cd. manufacturing, ovvero il settore manufatturiero che si porta dietro, come noto, il 60% del nostro PIL. Mettere mano a questa situazione non significa concedere l’ennesimo incentivo pubblico all’acquisto delle auto elettriche (come vorrebbero i produttori), bensì orientare in modo virtuoso la produzione industriale nazionale cercando di intaccare in modo sostanziale la debolezza della rete infrastrutturale. Altrimenti continueranno soprattutto gli incrementi di quote di mercato (e di PIL) della Cina comunista: più l’Europa soffre, più dipende da Pechino.

Quindi nessuna battaglia ideologica contro l’auto elettrica, ma rigetto dell’imposizione esclusivista che vorrebbe imporre a tutti tale mezzo ancora non molto affidabile di trasporto. Se com’è logico appare indispensabile continuare a produrre veicoli col motore a combustione interna, occorrerebbe cercare di farlo con il maggior tasso possibile d’innovazioni sensibili tanto nei metodi di produzione quanto nelle prestazioni. Alludo agli e-fuel e ai biocarburanti che, in maniera accorta, “salverebbero” l’automotive italiana basata sul motore endotermico.

Nel nostro Paese, del resto, è una grande realtà come l’Eni a produrre i biocarburanti, a Marghera e a Gela: affinché la multinazionale italiana per antonomasia possa portare la produzione di biocarburanti a 2 milioni di tonnellate all’anno nel 2025, e a 6 milioni nel 2035, come annunciato, certe forme di garanzia da parte del Governo andrebbero fornite e, magari, spiegate al popolo italiano senza complessi d’inferiorità rispetto all’ideologia imperante green.

In definitiva, fra pochi mesi le premesse per l’epocale inversione di rotta dell’Unione Europea dopo i tre decenni di guida PPE/Socialisti & Democratici ci sono tutte. Sono ora gli elettori che dovranno fare la loro ed assumersi le proprie responsabilità. Se il 9 giugno sapranno informarsi bene ed evitare l’astensionismo una probabile alleanza del centro e della destra europea (Ppe, Ecr e Id) sarebbe finalmente in grado di rovesciare per un bel po’ la cosiddetta “maggioranza Ursula” (S&D, Ppe e liberali). Con tutta la serie d’importanti conseguenze nel modo di affrontare i dossier finora accennati (e diversi altri), a partire dalle masochistiche politiche di “transizione” non sono ecologica ma anche di genere, non dimentichiamolo!

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