Le “culture avverse” in Europa

Il Borghese n. 5 maggio 2025

Intervista ad Alain de Benoist

Giuseppe Brienza

Alain de Benoist è conosciuto da molti quale padre della Nouvelle Droite, la Nuova Destra francese, una definizione che però gli è sempre stata stretta. Ha animato infatti, fin dalla giovinezza, gruppi intellettuali, riviste e battaglie politiche e culturali che vanno ben al di là delle categorie politiche cui siamo abituati di “destra” e “sinistra”.

Bibliofilo e lettore fin dall’infanzia, de Benoist possiede una biblioteca fra quelle private di Francia, composta di oltre 120mila volumi, fra i quali anche il libro da me curato Le serate di San Pietroburgo, oggi. Proposte, autori, idee e battaglie delle cultureavverse (Edizioni Solfanelli, Chieti 2025, pp. 182, € 15), per il quale ha scritto una significativa Presentazione, che ha intitolato “Voci di culture avverse”. In occasione della presentazione del libro a Roma presso il Caffè letterario Horafelix (29 marzo 2025), gli abbiamo rivolto alcune domande, cominciando proprio da quella sul perimetro e sulla provenienza di queste “culture avverse” in Europa e in generale in Occidente.

Lei ha scritto per il terzo volume della collana demaistriana “Le serate di San Pietroburgo, oggi” una Presentazione dal titolo Voci di culture avverse. Quali sono, a suo avviso, le culture “avverse” in questa Europa d’inizio Millennio?

Anzitutto quelle espresse dagli autori di cui parlo nella mia prefazione, cioè Carl Schmitt, Albert Camus, Pier Paolo Pasolini e Marcello Veneziani solo per fare alcuni nomi. Sono tutti autori che, a diverso titolo, hanno contestato in passato o contestano ancora oggi l’Ideologia dominante.

Quale tipo di ideologia “dominante” si riferisce?

Non mi riferisco certo al vecchio marxismo o al vecchio progressismo, bensì ad una ideologia neo-materialista. In essa troviamo una mescolanza dell’ideologia del Progresso con quella del lavoro e dei diritti dell’uomo che, combinate con il dominante economicismo, ha dato vita ad una terribile deriva nichilista. Questa ideologia, ereditaria del decostruzionismo, toglie senso alla vita quotidiana delle persone e delle comunità, deprivandole in particolare della loro essenziale dimensione spirituale.

Quali sono le conseguenze dell’eliminazione della vita spirituale nelle società e nell’ambito delle relazioni umane?

Il risultato più appariscente di questa espansione dell’Ideologia dominante è la distruzione dei rapporti familiari e di quelli religiosi. Entrambi sono destinati a scomparire praticamente con il conseguente deterioramento dei legami umani in generale. Questa deriva e accompagnata dalla corruzione del significato delle parole che utilizziamo. Nel senso che alle parole non si dà più il senso che hanno. Questo succede ad esempio con la teoria del genere [gender] o con quella del razzismo sistematico [Critical Race Theory]. Con l’imporsi di queste ideologie alcuni temi e parole che siamo abituati ad avere care in quanto ereditate dalle nostre tradizioni divengono proibite e motivo di “colpevolezza” o, meglio, d’imputabilità. Sì, perché la caratteristica peculiare di queste due ideologie è che non inducono conseguenze principalmente politiche bensì giuridiche.

Scusi, ma la dimensione giuridica non è direttamente collegata a quella politica? Non sono i Parlamenti ed i Governi a fare le leggi?

Fino ad un certo punto. La politica, infatti, è ormai sistematicamente subordinata all’economia.

conservatori contro progressisti?

Ma con questa subordinazione sistematica della politica all’economia, quale sarà il futuro della libertà e dei diritti dell’uomo?

Il discorso sui diritti dell’uomo non può prescindere da quello sull’ideologia dei diritti che, negli ultimi decenni, ha causato un’inflazione tale di rivendicazioni che ha finito per generare un quadro contraddittorio. Pensiamo per esempio alla rivendicazione del “diritto” all’aborto assieme a quello alla vita, oppure il diritto al lavoro e quello al tempo libero o, infine, quello all’uguaglianza che va di pari passo con la richiesta di riconoscere ogni tipo di diversità. La prospettiva che ne deriva è quella del caos o, in alternativa, come accennavo, quella del nihilismo. Una situazione sociale che si configura a mio avviso come molto peggiore di quella di un’ipotetica guerra civile. Sì, il nihilismo e il caos sono peggio della guerra civile.

Nel quarto volume della sua “Bibliografia generale delle Destre francesi” si è soffermato sulla figura di Joseph de Maistre, il filosofo al quale è in fondo ispirata la collana da me curata per le Edizioni Solfanelli “Le serate di San Pietroburgo, oggi”. Cosa può insegnarci oggi questo Autore “reazionario”?

L’opera de Maistre è molto vasta e, nell’ambito dei suoi numerosi titoli, quello delle Serate di San Pietroburgo occupa un posto molto particolare. Si tratta, come noto, di un libro che de Maistre ha iniziato a scrivere nel 1809 ma che alla fine è stato pubblicato solo dopo la sua morte, nel 1821. In Francia esistono più di 40 edizioni di questo libro, che del resto è stato tradotto in molti Paesi. In Italia è stato tradotto subito dopo la pubblicazione dell’edizione originale. Per prima è comparsa infatti l’edizione olandese ma immediatamente dopo è stata pubblicata quella italiana. Nel 2026 avrete nel vostro Paese la ricorrenza del bicentenario della pubblicazione della prima traduzione in italiano di questa importante opera, edita appunto da voi in tre volumi fra il 1823 e il 1826. Potrebbe essere un’occasione per raccontare quanto di de Maistre ancora si conosce poco o male. De Maistre ha tante cose da cui noi possiamo imparare. Bisogna però saperlo leggere nel modo giusto, perché non è così facile da capire.

E in effetti oltre che con l’etichetta di “reazionario” l’Ideologia dominante liquida l’opera del Conte savoiardo come “contro-rivoluzionaria”. Cosa ne pensa?

A mio parere de Maistre è molto più che un autore “contro-rivoluzionario”. Anzitutto se vogliamo accettare l’etichetta dobbiamo dire che de Maistre è incomparabilmente più importante e più ricco di un altro autore francese considerato un maestro della “contro-rivoluzione” come Louis de Bonald. Al limite de Maistre potrebbe essere comparato con lo spagnolo de Juan Donoso Cortés. Per quanto riguarda la sua domanda, è logico che l’Ideologia dominante lo “liquidi”, in quanto è un’ideologia individualista oltre che materialista e, il punto più interessante, a mio parere, nell’opera di de Maistre è la critica dell’individualismo.

In che modo Joseph de Maistre critica l’individualismo?

Anzitutto lo critica perché l’individualismo mina al fondo la concezione della nazione. Quando de Maistre dice che nella sua vita ha incontrato i francesi, gli italiani, i tedeschi etc. ma l’Uomo di cui parlano gli illuministi non l’ha mai incontrato, afferma proprio questo: l’identità di un popolo è la sua storia. Le persone e le comunità nascono ed hanno bisogno di una loro identità specifica.

Cosa dire dell’altro grande tema che troviamo in de Maistre, ovvero la sovranità?

Anzitutto che de Maistre combatte il tentativo di distruzione del concetto stesso di sovranità politica operato dai Rivoluzionari del 1789 con l’imposizione della concezione di “sovranità popolare”. Lui contesta quindi la sovranità del popolo in nome di un’altra sovranità, opposta a questa, che è indispensabile alle comunità e si fonda sul concetto di autorità. Per questo si oppone diametralmente all’opera filosofica di Jean-Jacques Rousseau. A mio avviso, però, contesta alcuni assunti che non hanno molto a che fare con il pensiero di Rousseau. Anzi, possiamo dire che anche de Maistre dipende in qualche modo dal pensiero di Jean-Jacques Rousseau. Volendo paragonare il pensiero di de Maistre con quello di Rousseau possiamo quindi rilevarne sia differenze sia similitudini.

Ci può spiegare meglio queste “similitudini” che trova fra de Maistre e Rousseau?

A volte de Maistre rivolge critiche ingiuste a Jean-Jacques Rousseau. Per esempio, quando dice che il filosofo ginevrino afferma che una buona costituzione per una nazione sia una buona costituzione per tutte le nazioni, quando invece Rousseau dica esattamente il contrario. Ma de Maistre dice la stessa cosa quando contesta che possa esistere una “costituzione universale”. Ma questa critica può essere giustamente rivolta contro uno dei più noti autori dei Lumi come Condorcet, ma non verso Rousseau. Dal quale lo divide naturalmente anzitutto il suo sostegno alla monarchia assoluta.

Fra i nomi dei pensatori, molto diversi per provenienza ideale e formazione, che hanno segnato la sua “via intellettuale”, c’è anche Pier Paolo Pasolini. A quali suoi temi e visioni politiche è più legato?

Sono legato a Pasolini anzitutto perché è un autore trasversale. Poi perché ha avuto una vita estrema, sia a causa delle sue opinioni politiche sia per la sua vita personale connotata dall’omosessualità. Infine, perché la sua produzione culturale è molto eclettica, è passato infatti dal teatro alla letteratura, dal romanzo al cinema, dal giornalismo alla poesia, etc. Ricordo ancora il suo primo film, uscito nel 1961, “Accattone”, un film molto interessante. Si è sempre collocato nella sinistra politica, ma ha sempre dato voce alla “sinistra critica”, contestando prima su tutti la sinistra borghese. È stato quindi un intellettuale di sinistra, ma quello che ci ha maggiormente lasciato e la dimostrazione che al mondo c’è qualcosa di diverso dai valori economici. C’è una gioia nella vita piena di attività, ma ci sono anche delle radici che non possono non rifarsi alla famiglia. Ricordiamo ad esempio che il fratello Guido Pasolini [(1925-1945)] che è stato assassinato dai partigiani comunisti ed al quale ha dedicato tre poesie [una delle quali pubblicata solo postuma, cfr. Giovanni Falaschi, La letteratura partigiana in Italia 1943-1945, Editori Riuniti, Roma 1984, p. 264]. Guido Pasolini era un partigiano moderato, di orientamento liberale, ed è stato ucciso dai partigiani estremisti.

Per quanto riguarda specificamente il Pasolini poeta?

Fra le sue poesie mi è sempre rimasta impressa quello dedicata alla “battaglia di Valle Giulia” [(1º marzo 1968)], ovvero quello scontro di piazza tra manifestanti universitari e polizia, nell’ambito delle manifestazioni legate al Sessantotto. In questo componimento, intitolato “Il PCI ai giovani”, Pasolini affermò di simpatizzare con i poliziotti. In pratica diceva che preferiva i poliziotti che erano figli dei proletari agli studenti che erano “figli di papà”. I manifestanti, in fondo, rimanevano figli dei borghesi, tanto è vero che hanno poi raggiunto i posti di rilievo nelle aziende, nei giornali e nelle università adattandosi perfettamente alla società dei consumi. Ecco, questo apprezzo in particolare di Pasolini: l’essersi speso non solo in difesa delle classi popolari, ma anche delle culture popolari, in particolare quella del “suo” Friuli.

I suoi pensieri filosofici e culturali, certamente segnati dal trascorre del tempo, non cedono mai alla mera dimensione nostalgica. Perché la nostalgia può diventare nociva all’uomo di oggi?

La nostalgia è una nozione molto complessa e contraddittoria. C’è una buona nostalgia e una nostalgia cattiva. La nostalgia cattiva porta a rinchiudersi nel passato cercando in esso un rifugio o una consolazione. È una nostalgia di impotenti, perché ci lega in modo sterile al passato, rendendoci ininfluenti nel presente. Ma c’è anche una nostalgia connotata da speranza e volontà. È buona quella nostalgia che porta alla speranza e alla volontà di cambiare le cose che non vanno. C’è ad esempio un noto scrittore francese di sinistra, Régis Debray, che ha affermato che tutti i rivoluzionari hanno nostalgia di un’epoca e questo li spinge all’azione. Sì, in pratica, secondo lui, tutti i rivoluzionari sono dei nostalgici. Lo stesso Lenin, in fondo, ha avuto nostalgia della Rivoluzione francese e della Comune di Parigi. È un discorso che interessa anche chi è conservatore, non è vero? Ogni conservatore vuole salvare qualcosa o no? Salvare una fiamma del passato o, comunque, conservarne semplicemente le “ceneri”.

Infine, una domanda sull’attualità politica del nostro Paese: cosa ne pensa di Giorgia Meloni e del suo ruolo nell’attuale fase storica europea?

Seguo con attenzione la politica del Governo Meloni poiché per la prima volta da un secolo il leader del vostro Paese è un esponente storico della Destra politica. Anche se l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni è un esecutivo di coalizione e, alla fine, possiamo considerarlo conservatore-liberale (de Maistre non ne avrebbe apprezzato il lato liberale!). Sinceramente sono stato un po’ scettico all’inizio ma, dopo oltre due anni devo dire che la premier è riuscita davvero a dare una grande visibilità e un altrettanto importante ruolo all’Italia nel mondo. Giorgia Meloni sta ad esempio giocando un ruolo fondamentale nei confronti della Commissione Europea ed è molto interessante questo suo progetto [il “Piano Mattei per l’Africa”] volto a mettere l’Italia al centro delle politiche energetiche dell’Europa. A mio avviso si tratta di una prospettiva molto interessante anche dal punto di vista della politica estera. Invece avrei qualche perplessità, sempre sul piano della politica estera italiana, sul sostegno sistematico di Giorgia Meloni alle posizioni del presidente Trump e quindi anche al suo atteggiamento nei confronti dell’Ucraina. Il fatto che una leader come Giorgia Meloni sia saldamente al potere è una cosa molto importante e, quindi, mi aspetterei una linea più autonoma e italiana. Da questo punto sarà interessante vedere come si muoverà nei prossimi anni, che saranno decisivi sul piano della geopolitica.

Come vede invece la Francia dei prossimi anni con la prospettiva giudiziaria che incombe su Marine Le Pen e la sua possibile ineleggibilità alle presidenziali 2027? Vedremo anche da voi una strategia giudiziario-mediatica simile a quella operata in Italia contro Berlusconi e Salvini?

Non posso dare una risposta perché il giudizio non è ancora definitivo [il 31 marzo 2025 il Tribunale di Parigi ha dichiarato Marine Le Pen colpevole di appropriazione indebita di fondi europei insieme a otto eurodeputati e dodici assistenti parlamentari. La leader del RN è stata condannata a quattro anni di carcere, una multa da 100mila euro e alla pena dell’ineleggibilità con esecuzione immediata ma i suoi legali hanno annunciato di ricorrere in appello]. Penso comunque che anche in Francia il potere giudiziario sia politicizzato e non certo in direzione della destra. Il Consiglio costituzionale francese [Conseil constitutionnel], ad esempio, che in origine aveva il compito di verificare se le leggi erano conformi alla Costituzione, oggi si sostituisce ai politici imponendo le leggi conformi e abbattendo quelle difformi all’ideologia dei diritti umani. Se il Parlamento approva una legge che rientra nell’ideologia dei diritti umani il Consiglio costituzionale l’approva, altrimenti la dichiara incostituzionale. In questo modo, però, la somma autorità giurisdizionale non è più un’espressione democratica bensì l’espressione di un’ideologia liberal. Direi che da questo punto di vista ci sono tante similitudini tra la storia politica recente della Francia e quella dell’Italia.