La zona di interesse, il film sull’olocausto della civiltà

Abstract: La zona di interesse, il film sull’olocausto della civiltà

Newsletter di Giulio Meotti 16 Febbraio 2024

La “zona di interesse”, quando un Dio di morte ordina l’olocausto della civiltà

Di capolavori se ne vedono pochi. Questo lo è, è Cormac McCarthy che incontra il Ratzinger ad Auschwitz. Ci parla anche del 7 ottobre e del nuovo demone che vuole bruciare le nostre radici

di Giulio Meotti

Potreste mettere da parte questo articolo e trovare il cinema più vicino che proietti La zona di interesse.

Certo, potreste pensare, sbagliando: “Un altro film sull’Olocausto”. Da parte mia, bastava Shoah di Claude Lanzmann, un’opera d’arte per un regista che ebbi la fortuna di intervistare poco prima che morisse. O al massimo Il figlio di Saul, che ha per protagonista quel grande attore di Geza Rohrig, che in pieno regime comunista ungherese si era fatto arrestare per aver pubblicato articoli contro l’Unione Sovietica e che oggi dice: “Stiamo andando verso il caos. Questi sono tempi duri, la guerra è all’orizzonte, la nostra cultura giudaico-cristiana è minacciata dall’estremismo islamico, che sarà la storia di questo secolo, con la guerriglia a Parigi. Non stiamo andando verso dei bei tempi, e lo dico da padre”.

In questo capolavoro che è La zona di interesse non c’è tortura o violenza. Sembra un documentario e quello che si vede è storia, seppure in forma cinematografica. Ne La zona di interesse ci sono soltanto persone ben curate e pulite che si comportano in accordo con il loro sistema di valori, a pochi metri dal male.

Non mi è mai piaciuta la definizione di “banalità del male” di Hannah Arendt. Perché il male non è mai banale. Per questo ho scritto il libro Ippocrate è morto ad Auschwitz.

Né ho ho mai pensato che la storia del nazismo fosse un monito contro il fascismo (il fascismo italiano o il franchismo spagnolo sono stati altra cosa rispetto a Treblinka e Belzec), ma che fosse più la storia di come il nichilismo metafisico, la cultura della morte, l’eugenetica e lo scientismo potessero prendere il sopravvento sulla civiltà. Non c’è altra spiegazione sul perché la nazione più illuminata, progredita e colta d’Europa, che finora aveva vinto la stragrande maggioranza dei Nobel per la medicina e la fisica, decise di autodistruggersi in una manciata di anni e di perdere la guerra, condannandosi all’esecrazione per l’eternità, pur di riuscire a bruciare 10.000 ebrei al giorno.

Da dove è sbucato Hitler? Eric Voegelin, uno dei più lucidi filosofi della politica del Novecento – per questo uno dei meno tradotti in Italia, che non ama pensare – spiega in alcune lezioni tenute a Monaco nel 1964 che non ci si può sbarazzare della domanda considerandolo un pazzo che ha imposto la sua follia a una società avversa. Il nazismo, spiegava Voegelin, cresce sulla medesima radice della modernità: l’ateismo e la gnosi. L’ateismo, perché “l’uomo è ‘imago dei’. Il rifiuto del divino è sempre seguito da una disumanizzazione. Non è possibile negare la propria divinità senza negare la propria umanità”. La gnosi, perché si innestano progetti di edificazione di una realtà nuova, costruita “a misura d’uomo” (quale?) da qualcuno che pretende di conoscere (di qui la “gnosi”) il segreto ultimo del mondo e della storia.

Il regista Alfonso Cuaron, vincitore di quattro Academy Awards, ha detto che la Zona di interesse di Jonathan Glazer è “probabilmente il film più importante di questo secolo”. Non so se lo sia, ma so che parla di qualcosa di profondo, ci parla della civiltà. Lo aveva già scritto Cormac McCarthy in The Sunset Limited: “La civiltà occidentale è andata in fumo nei camini di Auschwitz e Dachau, ma ero troppo infatuato per vederlo. Ora lo vedo”. McCarthy per Il passeggero si è ispirato alla Shoah.

Se il caso non esiste, non è un caso che il film esca dopo il 7 ottobre, con Hamas che ha sterminato 1.200 ebrei in un solo giorno, più che in qualsiasi altro momento dal 1945, e di nuovo l’ordine di uccidere e fare a pezzi i figli in braccio alle madri e le madri di fronte ai figli, di sterminare nel modo più crudele possibile, di sventrare e violentare le donne di qualsiasi età, anche bambine, da vive e da morte, in modo tale da spezzare il bacino e le gambe, di bruciare vive intere famiglie insieme al rogo dei loro oggetti, di tutti i simboli della loro vita, di tagliare le teste e di venderle, di entrare nei kibbutz e razziare anche i vestiti mentre si decapitava nella stanza accanto, per diventare il leader assoluto dell’odio contemporaneo osannato da milioni di seguaci in Europa, in un’orgia di odio mai visto prima nella storia recente.

E così l’Europa, che aveva sistemato la Shoah negli armadietti del “Never Again”, non ha retto di fronte alla verità (quella vera) del 7 ottobre, che è quella sviscerata dal grande storico della Shoah, Jeffrey Herf.

Glazer è rimasto disgustato dalla follia genocida di Hamas. “In confronto, tutto il resto sembra frivolo”, ha detto dell’attacco pochi giorni dopo, dalla sua casa di Londra. “Ho perso interesse per il film e tutto ciò che lo circonda”.

Ma Glazer sbaglia e il film parla anche dei nuovi demoni

La Zona di interesse si apre con suoni inquietanti e potenti. Appare il titolo del film, carattere minimalista, bianco. Lo schermo rimane nero. Il suono rimane. Il regista ci dice che dobbiamo ascoltare, non solo vedere.

Gli uccelli cantano. Una piccola festa e picnic sulle rive di uno specchio d’acqua. Puro piacere: famiglia, sole, natura, pace. Arrivano in una grande casa. Sentiamo i cani abbaiare. C’è qualcosa di sinistro in questi latrati. Si sentono grida. Ruggiti industriali. Marito e moglie si ritirano nei loro letti separati.

Il giorno dopo, il paterfamilias viene bendato. I figli lo guidano per mano. Lo conducono su una canoa. È il loro regalo di compleanno. Papà indossa l’uniforme nazista.

Papà è Rudolf Höss, mamma è sua moglie Hedwig. I bambini dicono il loro “Seig heils” e vanno a scuola. Hedwig, tenendo in braccio il suo bambino, passeggia nel giardino e sussurra al figlio i nomi dei fiori. Un servitore appende lenzuola bianche immacolate su uno stendibiancheria.

Höss è il comandante di Auschwitz. Lui e la famiglia vivevano in una villa che condivideva un muro con il campo di concentramento dove furono assassinati 1,1 milioni di esseri umani. Villa Höss era vicina alle camere a gas e ai crematori. L’indirizzo della casa è Legionów 90, 32-600 Oswiecim, il nome polacco di Auschwitz. È in polacco anche la segnalazione su Google Maps.

Al piano superiore nella camera da letto, davanti a uno specchio, Hedwig apre una borsa di tela: c’è una pelliccia di visone. Tocca l’orlo del cappotto. Fruga nelle tasche e trova un rossetto. Consegna il cappotto alla serva Aniela e chiede che venga pulito.

Hedwig pranza con le mogli naziste. Spettegolano sullo “shopping” in “Canada”. Il film non si ferma a spiegare cos’è il “Canada”. Il “Canada” è lo slang di Auschwitz per indicare un magazzino di beni rubati ai prigionieri. La moglie di un nazista dice che qualcuno ha trovato un diamante in un tubetto di dentifricio. “Sono molto intelligenti”.

Aniela prepara un bicchiere di grappa su un vassoio d’argento. Se ne versa una sola goccia verrà uccisa. I venditori arrivati da Höss sono Fritz Sander e Kurt Prufer. Rappresentano la “Topf e figli”, un’azienda fondata nel 1878 che era il più grande fornitore di forni crematori per i campi. Spiegano a Rudolf un nuovo progetto di crematorio.

I figli di Höss, Klaus e Hans, tornano a casa da scuola e giocano con i soldatini. Rudolf e Klaus vanno a cavallo. Il ronzio della morte 24 ore su 24, 7 giorni su 7, è la colonna sonora della corsa. Rudolf chiede al figlio: “Hai sentito?”. Noi, il pubblico, sentiamo distintamente migliaia di persone uccise. Rudolf dice di sentire un tarabuso, un uccello dal verso insolito.

La sera Rudolf si gode la torta di compleanno con la famiglia. Annegret, la bambina, piange. Rudolf esprime un desiderio e spegne le candeline.

Rudolf fuma un sigaro che brilla di rosso nella notte. Sta guardando verso il campo. Poi cammina per il cortile. C’è una doccia sopra la piscina. Sembra che perda. Höss armeggia con la catenella. Entra in casa e va in giro, spegnendo metodicamente tutte le luci e chiudendo le porte. Il sigaro acceso è come i crematori. Il soffione della piscina come le camere a gas.

Di sopra, il figlio maggiore di Höss, Klaus, è nel letto a castello ed esamina, con la torcia, i denti d’oro. Il fratellino Hans chiede di vederli.

Rudolf e i bambini vanno in canoa. Rudolf insegna ai figli la migrazione delle cicogne. I bambini sguazzano nel fiume. Rudolf pesca. Tira su parte di un teschio umano.

Aniela deve pulire la vasca in cui hanno fatto il bagno i bambini. Fa una pausa prima di farlo. Cosa penserà?

Arriva Linna, la madre di Hedwig. Cita la Siemens, la grande azienda che gestisce una fabbrica di lavoro forzato ad Auschwitz. Rudolf ordina ai suoi ufficiali di trattare con cura i cespugli di lillà.

Hedwig fa fare a Linna un giro del suo giardino. Indica il suo cavolo e dice quanto i figli lo adorino. “Rudolf mi chiama la regina di Auschwitz”, si vanta. Linna è orgogliosa per sua figlia. Sentiamo le urla. La fotocamera si concentra sui fiori, una dalia rossa; lo schermo diventa completamente rosso.

Rudolf è vestito di bianco. C’è una festa sul prato. Informa Hedwig che sarà trasferito. Lei, furiosa, si rifiuta di andarsene. Chiede che le sia permesso di restare nel loro “paradiso”. Linna si alza di notte e guarda fuori dalla finestra il chiarore dei crematori. Sembra angosciata.

Elfryda, una tata tedesca, è in soffitta a ubriacarsi, mentre Annegret, la bambina affidata alle sue cure, piange.

Rudolf è nelle stalle e informa il cavallo che è stato trasferito. Lo accarezza e gli parla. Questa è una delle scene più assurde, enigmatiche e infernali del film.

Perché i nazisti erano dei veri animalisti. Su volontà di Himmler, capo delle SS, furono approvate direttive per il trasporto degli animali, furono ospitate a Berlino conferenze internazionali sulla protezione degli animali e promulgata una regolamentazione della macellazione dei pesci e di altri animali a sangue freddo. Una volta Himmler chiese al suo medico, noto cacciatore: “Come puoi, tu, dottor Kersten, gioire sparando, da un riparo, a delle creature indifese, che vagano per la foresta, incapaci di proteggere se stesse e prive di ogni sospetto? E’ un vero delitto. La natura è tremendamente bella e ogni animale ha il diritto di vivere”.

Ora Rudolf Höss è nel suo ufficio. Dice al suo interlocutore che domani arriverà un nuovo trasporto. “Digli che sono olandesi e potrà scegliere. “Non sappiamo se “scegliere” tra schiave del sesso o lavoratori schiavi. Sappiamo che gli olandesi sono più desiderabili dei polacchi o degli ebrei perché sono più germanici. L’uomo a cui si riferisce Rudolf è Walther Durrfeld, un ingegnere della I. G. Farben che usò il lavoro degli schiavi di Auschwitz.

È notte.

Al mattino, a casa Höss, la camera da letto dove alloggiava Linna è vuota. Se ne è andata di notte, dopo aver visto fiamme e fumo dai crematori. Ma ha lasciato un biglietto. Hedwig, infastidita, lo legge in silenzio, poi lo brucia.

Un prigioniero che lavora nel giardino di Höss sparge ceneri umane come fertilizzante.

Rudolf è ora nel suo nuovo incarico, la città di Oranienburg. Sta assistendo a un concerto. In una sala conferenze gremita e ordinata, i comandanti del campo di concentramento locale si incontrano attorno a un tavolo. Rudolf consegna a ciascuno una cartella che riassume il suo discorso. Oswald Pohl, amministratore capo dei campi di concentramento, delinea il piano per uccidere tutti i 700.000 ebrei ungheresi, al ritmo di 12.000 al giorno.

Rudolf è su un lettino. Un medico gli palpa l’addome e gli chiede quanto spesso evacui e urini. Parla con la moglie al telefono: “La chiamano Operazione Höss”, dice con gioia. Da lui prende il nome lo sterminio di massa degli ebrei ungheresi.

“È fantastico. Sono felice per te”, dice Hedwig.

Rudolf scende una scala. Sul pianerottolo di una rampa si ferma, si china e ha conati di vomito. Scende un’altra rampa e vomita. Rudolf si guarda intorno, controlla se qualcuno lo ha visto. Guarda verso di noi, il pubblico. Sembra che stia guardando l’oscurità penetrata da un piccolo foro di luce. Alla fine quello spazio nero si rivela essere una porta che si apre.

Donne che entrano nella camera a gas di Auschwitz. Spazzano il pavimento. Lo puliscono. Entrano nelle sale del museo dove dietro un vetro sono stati raccolti i bagagli degli ebrei assassinati. Le donne delle pulizie puliscono il vetro del display. Puliscono il vetro dietro il quale giacciono le scarpe degli ebrei, le stampelle, le protesi e le sedie a rotelle degli ebrei.

Ora siamo nel moderno museo di Auschwitz. E poi guardiamo Rudolf che continua a guardarci. Si gira e continua la sua camminata giù per le rampe di scale, sempre più giù nell’oscurità. Non lo vediamo più, sentiamo i suoi passi.

Titoli di coda.

Rudolf Höss,

Nel 1947, mentre è in una cella di una prigione polacca e aspettava di essere appeso al patibolo di Auschwitz oltre il giardino di casa, Höss chiese improvvisamente di vedere un prete. Aveva rinunciato al cattolicesimo quando si unì al partito nazista. Era routine. Il nazismo era anticristiano. Il film parla anche di questo, di cosa succede a una civiltà che uccide Dio. Ma parla anche di cosa succede quando un Dio di morte brucia la civiltà.

Il 28 maggio 2006 è una data destinata ad entrare nella memoria collettiva dell’Europa. Il Papa tedesco Benedetto XVI che andò ad Auschwitz a parlarci della teodicea, il problema di Dio di fronte alla storia della sofferenza. “Il passato non è mai soltanto passato”, disse Ratzinger. Anche sull’oggi incombono potenziali tragedie. Nel cuore degli uomini, disse, “forze oscure” si annidano e “l’abuso del nome di Dio induce i terroristi a colpire vittime innocenti”. Tre mesi dopo avrebbe detto le stesse cose sull’Islam a Ratisbona. Al popolo ebraico, Ratzinger da Auschwitz riservò parole toccanti: furono “messi a morte come pecore da macello”, perché i nazisti “volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità, eliminarlo dall’elenco dei popoli della terra”. Uccidendo questo popolo, aggiunse Benedetto, i nazisti “volevano strappare la radice su cui si basa la fede cristiana, sostituendola definitivamente con la fede fatta da sè”.

Siamo tornati lì, a quella radice da strappare via. Ora c’è una nuova ideologia che ha deciso che il frutto della storia e della religione del nostro tempo, la civiltà ebraico-cristiana e la cultura dei diritti umani che ne è figlia, è uno strumento di oppressione da fare a pezzi in nome della scelta demoniaca di radere al suolo la civiltà.

La testimonianza più vera sul 7 ottobre è questa: “Mi chiamo Prof. Aryeh Eldad dell’ospedale Hadassah Ein Kerem. Anni fa ho fondato la Skin Bank in Israele, che è la più grande del suo genere al mondo. La banca della pelle contiene pelle per la cura quotidiana e per i tempi di guerra. La banca della pelle si trova nell’ospedale ‘Hadasa Ein Kerem’ di Gerusalemme, dove ero direttore del reparto di chirurgia plastica. Un giorno mi è stato chiesto di inviare la pelle per una donna musulmana di Gaza, che era stata ricoverata nell’ospedale ‘Soroka’, dopo che i suoi familiari l’avevano bruciata. Tali orrori si verificano abbastanza spesso nelle famiglie musulmane quando si sospetta che la donna abbia avuto una relazione. Abbiamo fornito tutto l’omotrapianto (cellule della pelle dei donatori) necessario per il suo trattamento. È stata curata con successo dal mio amico e collega, il Prof. Lior Rosenberg ed è stata rilasciata nella sua casa a Gaza. È stata invitata a regolari visite di controllo presso la clinica ambulatoriale di Be’er Sheva. Un giorno è stata sorpresa al valico di frontiera con addosso una cintura esplosiva. La sua missione era quella di farsi esplodere nell’ambulatorio dell’ospedale dove le era stata salvata la vita. Dopo un’indagine sembra che la sua famiglia le avesse promesso che se l’avesse fatto l’avrebbero perdonata. Questo è un conflitto culturale, o meglio una guerra tra civiltà e barbarie. Ecco cosa attende il mondo se lui non si prende cura di fermarlo”.

Il male esiste. E non c’è male più puro ed efficiente di un Dio di morte che ordina agli uomini di seguirlo per bruciare la civiltà. E il fuoco attizza di più quando la civiltà è una vecchia impalcatura pericolante.

IL TRAILER DEL FILM