Il silenzio sugli innocenti

www.il corriere.it  31 gennaio 2007

Magdi Allam

Ciò che maggiormente colpisce nell’ennesima strage di sciiti in Iraq, ad opera di terroristi sunniti, è il silenzio assordante dei musulmani. Sempre pronti a scatenare la guerra santa se il Papa riflette ad alta voce sulla violenza in nome di Allah, ma latitanti quando decine di migliaia di musulmani innocenti vengono massacrati in Iraq, Libano, territori palestinesi, Somalia, Afghanistan.

La verità è che anche quando si sentono delle voci a favore o contro gli sciiti oppure i sunniti, non è perché i musulmani hanno a cuore la sacralità della vita, ma solo perché si ambisce o si teme il dominio assoluto di una delle due fazioni che si combattono da 1346 anni. Da quando, nel 661, fu assassinato Ali, cugino e genero di Maometto, nella lotta per il dominio del califfato islamico. Soltanto 48 anni fa il Grande sceicco dell’Università di Al Azhar, una sorta di Vaticano sunnita, promulgò una fatwa in cui riconobbe gli sciiti come una legittima scuola di pensiero islamico.

Ma per molti sunniti gli sciiti restano una «setta deviante». Lo scorso dicembre Abdul Rahman al-Barak, una delle più eminenti guide religiose saudite vicino alla famiglia reale, ha qualificato gli sciiti come «peggiori degli ebrei e dei cristiani». A suo avviso «questi eretici sono la setta più diabolica della nazione e hanno tutte le caratteristiche degli infedeli». Più recentemente, intervenendo alla Conferenza per il dialogo delle scuole islamiche (Doha, 20 gennaio), lo sceicco Youssef Qaradawi, esponente di punta dei Fratelli Musulmani, ha ammonito che «il proselitismo sciita nelle aree densamente sunnite è pericoloso e manda all’aria gli sforzi per la riconciliazione».

In questo contesto Iraq e Libano sono candidati a diventare i principali campi della resa dei conti tra sunniti e sciiti.

Da un lato l’asse sunnita, composto da Egitto, Arabia Saudita, Turchia e Giordania e, dall’altro, l’asse sciita che fa perno sull’Iran con il sostegno del regime alawita siriano, l’Hezbollah libanese e i palestinesi di Hamas. Questi ultimi, pur essendo sunniti, sono schierati con il nazi-islamico Ahmadinejad per interesse economico e condivisione dell’obiettivo di distruggere Israele.

Questa guerra interconfessionale riposa fondamentalmente sulla strategia eversiva e destabilizzante del regime degli ayatollah, mirante sia a dotarsi dell’atomica sia a promuovere un fronte internazionale anti-israeliano e anti-americano. L’Iran, roccaforte degli sciiti che vi rappresentano il 90% della popolazione, cerca di far leva sull’irredentismo religioso degli sciiti in Iraq e Bahrain (60%), Libano (40%), Kuwait (30%), Pakistan (20%) e Arabia Saudita (20% della popolazione).

Una strategia che ha remote probabilità di successo, dato che la leadership religiosa iraniana non è riconosciuta come l’autorità dell’insieme degli sciiti. A maggior ragione l’Europa dovrebbe smetterla di corteggiare l’Iran, incrinando l’alleanza con gli Usa, pur di tutelare i propri miopi interessi economici.