Il declino demografico della Cina, un disastro

Abstract: il declino demografico della Cina, un disastro causato dalle passate politiche del figlio unico. Le politiche governative avviate a partire dal 2015 appaiono impotenti a invertire la flessione del numero delle nascite, costante dal 2012 ad oggi: si è passati dai 16 milioni di nati vivi di allora ai poco meno di 10 milioni del 2022, che dovrebbero essere diventati poco meno di 9 milioni nell’anno appena concluso. Due volte e mezzo meno dell’India,

Tempi 8 Gennaio 2024

Il disastro demografico cinese ha un solo responsabile: la Cina

Il paese di Xi Jinping non è più il più popoloso al mondo e sembra destinato a vedere dimezzati i propri abitanti entro il 2100. Le nuove misure nataliste di Pechino non bastano a contenere i danni di trentacinque anni di politica del figlio unico

di Rodolfo Casadei

Chi è causa del suo mal pianga se stesso, dice il proverbio, raramente tanto appropriato come nel caso della demografia della Cina: il paese di Xi Jinping non solo non è più il più popoloso del mondo, sorpassato l’anno scorso dall’India, ma appare anche destinato, secondo le proiezioni della Population Division delle Nazioni Unite, a vedere dimezzata la propria popolazione da qui al 2100. Essa cioè passerebbe dagli attuali 1,4 miliardi di abitanti a 767 milioni.

Cala il tasso di fertilità in Cina

Le politiche governative avviate a partire dal 2015, quando è stata abrogata la politica del “figlio unico” che per trentacinque anni di seguito aveva compresso la fertilità cinese e sconvolto la vita di centinaia di milioni di donne e di uomini, appaiono impotenti a invertire la flessione del numero delle nascite, costante dal 2012 ad oggi: si è passati dai 16 milioni di nati vivi di allora ai poco meno di 10 milioni del 2022, che dovrebbero essere diventati poco meno di 9 milioni nell’anno appena concluso. Due volte e mezzo meno dell’India, che dovrebbe aver registrato 23 milioni di nascite nel corso del 2023, e poco più della Nigeria, che con una popolazione quasi sette volte inferiore a quella della Cina ha avuto circa 8 milioni di nascite.

Appena tre anni fa (2020) la fertilità totale cinese, cioè il numero di figli per donna in età feconda, era ancora di 1,30, insufficiente al rimpiazzo generazionale ma non più bassa di quella di paesi come Italia, Giappone, Spagna e Ucraina. Ora è una delle più basse del mondo: 1,09 figli per donna, contro i 2 dell’India e gli 1,66 degli Stati Uniti. In un lungo servizio apparso il 3 gennaio, il Wall Street Journal sintetizza così le cause della mancata ripresa: «Ci sono meno persone giovani che in passato, tra cui milioni di donne in età fertile in meno ogni anno. Queste donne sono sempre più riluttanti a sposarsi e ad avere figli, accelerando il declino della popolazione».

I danni della politica del figlio unico in Cina

La politica del figlio unico non ha portato soltanto a una generalizzata riduzione dell’incidenza delle classi d’età più giovani sul totale della popolazione (per esempio fra il 1970 e il 2020 coloro che hanno fra i 15 e i 24 anni sono scesi dal 19 all’11,5 per cento della popolazione totale, mentre coloro che hanno più di 54 anni sono aumentati dal 9 al 24,4 per cento), ma ad uno sbilanciamento del rapporto fra i sessi, a causa della preferenza delle famiglie, in base a motivi culturali ed economici, per i figli maschi rispetto alle figlie femmine.

Si è spesso parlato delle “missing women” e delle “missing girls” cinesi, calcolate in decine di milioni in meno di quelle che avrebbero visto la luce, sarebbero vissute e avrebbero generato figli se non ci fosse stata la politica del figlio unico fra il 1980 e il 2015, che ha spinto milioni di famiglie all’aborto selettivo e all’infanticidio delle femmine.

Anche qui il raffronto fra i dati demografici del 1970 e quelli del 2020 dà l’idea di quello che è successo: cinquant’anni fa i maschi cinesi fra i 15 e i 24 anni erano solo 4 milioni in più delle femmine (81 milioni contro 77 milioni), mentre nel 2020 erano quasi 13 milioni in più: 86,1 milioni contro 73,8 milioni. Il divario è ancora più accentuato nelle classi di età fra gli 0 e i 14 anni: nel 1970 si contavano 171 milioni di maschi contro 161 milioni di femmine, cioè un surplus maschile pari a 10 milioni, nel 2020 era quasi di 18 milioni: 129,2 milioni di maschi e 111,7 milioni di femmine.

Le nuove misure nataliste non bastano

Per ridare fiato alle nascite, le autorità cinesi hanno combinato misure nataliste classiche come la creazione di un gran numero di nidi e scuole materne e di nuovi reparti di maternità negli ospedali con trovate propagandistiche piuttosto grottesche, come messaggi di posta elettronica per l’equivalente cinese della festa di San Valentino con l’invito a sposarsi ed avere figli e la creazione di siti di incontri da parte di enti locali che hanno a disposizione tutti i dati sensibili dei cittadini, e invitano gli utenti a incrociarli. Le pressioni attraverso i social e i messaggi di telefonia cellulare hanno suscitato per lo più irritazione, ironie e proteste, le misure strutturali non hanno avuto successo.

Scrive il Wall Street Journal: «Nuovi reparti maternità sono stati costruiti solo per chiudere pochi anni dopo. Le vendite di prodotti per la cura dei bambini, compresi latte artificiale e pannolini, sono diminuite. Imprese commerciali che si concentravano sui bambini, ora si rivolgono agli anziani. Nelle nuove scuole per l’infanzia costruite per facilitare la maternità si fa fatica a riempire le classi, e molte hanno chiuso. Nel 2022, il numero di scuole per l’infanzia in Cina è diminuito del 2 per cento, il primo calo in 15 anni».

Diminuiscono gli aborti e i matrimoni in Cina

Nemmeno la riduzione dell’accesso ai servizi per la sterilizzazione e l’aborto ha avuto come conseguenza un rimbalzo delle nascite: nel 1991, al culmine della politica del figlio unico, furono eseguite 6 milioni di legature delle tube e 2 milioni di vasectomie. Nel 2020 sono state effettuate solo 190 mila legature delle tube e 2.600 vasectomie. Allo stesso modo, gli aborti sono diminuiti di oltre un terzo: da oltre 14 milioni nel 1991 a poco meno di 9 milioni nel 2020. Tutto questo non è stato sufficiente a invertire la tendenza alla decrescita della popolazione, che va a braccetto con la flessione del numero dei nuovi matrimoni. Quest’ultimo è crollato nel giro di pochi anni, e non certamente per un aumento corrispondente delle convivenze (poco o per nulla apprezzate nella cultura tradizionale cinese), passando dai 13 milioni di matrimoni contratti nel 2013 ai 6,8 milioni del 2022.

L’incapacità di prendersi cura di altri

A poco servono provvedimenti come quello di una contea della provincia dello Zhejiang, che ha stabilito una sovvenzione equivalente a 137 dollari in contanti per le coppie che decidono di sposarsi prima dei 25 anni di età: il costo medio della vita per una famiglia di quattro persone in una città cinese supera i 3 mila dollari mensili.

La riluttanza delle donne cinesi al matrimonio e alle gravidanze sembra avere motivi che vanno al di là del problema economico. Nella cultura cinese i figli hanno il sacro dovere di prendersi cura dei genitori anziani. La missione risulta certamente meno pesante quando può essere condivisa con altri fratelli e sorelle, diventa inevitabilmente gravosa quando ricade sulle spalle di una figlia unica “prodotto” delle politiche antinataliste degli anni Ottanta, Novanta e di inizio millennio. È quello che dichiara una certa Molly Chen, 28 anni, che il Wall Street Journal presenta così: «Le esigenze legate al prendersi cura dei parenti anziani e il suo lavoro come allestitrice di mostre a Shenzhen non lasciano spazio alla prospettiva di figli o di un marito. Tutto ciò che vuole fare nei suoi momenti liberi è leggere o scorrere video di animali domestici». Infatti dice: «Non sono in grado di prendermi cura di nient’altro all’infuori dei miei genitori e del mio lavoro».