“Gli angeli custodi, guardie dell’anima e del corpo”

Corrispondenza Romana n. 1918 del 1 ottobre 2025

di Cristina Siccardi

Il mondo non ci aiuta affatto ad avvicinarci alla dimensione soprannaturale, anzi, la sua tendenza è quella di indicarci non solo tutto ciò che è immanenza, ma addirittura a portarci verso passioni e vizi che sono svilenti della nostra natura, anche perché lo ha detto il Re dell’Universo: il principe di questo mondo è Satana. Purtroppo anche molti pastori della Chiesa, oltre ad essere essi stessi troppo presi con le cose del mondo, non aiutano i fedeli a guardare verso l’alto, indicazione che tuttavia ci viene ricordata dal calendario ogni giorno, con i suoi Santi e i suoi Angeli e la Regina degli Angeli e dei Santi.

Il 2 di ottobre Santa Madre Chiesa fa memoria di una festa molto importante, quella degli Angeli custodi. Ebbene sì, il Creatore, nella sua immensa bontà, ha assegnato ad ognuno un compagno buono, fedele, vigile e accorto per accompagnarci lungo il cammino della vita. Lascia scritto sant’Agostino: «Gli spiriti immortali e beati, che abitano le sedi dei cieli e godono della partecipazione al loro Creatore – per la cui eternità sono saldi, nella cui verità sono certi, per cui dono sono salvi – amano con grande misericordia noi, mortali e miseri, desiderando che  diventiamo beati e immortali; però non vogliono, e a buon diritto, che noi a loro scarifichiamo, ma solo a colui per il quale sanno che noi e loro siamo un sacrificio» (La città di Dio, 10, 7).

Molti santi hanno visto il loro Angelo custode, come per esempio Padre Pio, che parlava e colloquiava con lui, pregava e lodava Dio insieme a lui; ma non basta, egli dialogava anche con gli Angeli custodi dei suoi figli spirituali. «L’angelo custode», affermava il cappuccino stigmatizzato, «è il nostro amico più sincero e sicuro, quando non abbiamo il torto di rattristarlo con la nostra cattiva condotta», così diceva il santo mistico di Pietrelcina. Nelle sue numerose e terribili battaglie che sostenne contro le aggressioni demoniache, un personaggio luminoso gli stava sempre accanto per dargli coraggio, forza e vigore. Già da bambino, all’epoca di nome Francesco, vedeva il suo Angelo e la Madonna, convinto che queste celesti incontri fossero comuni a tutti quanti.

Fra’ Pio Maria da Verona riporta, in un articolo pubblicato su “Il Settimanale di Padre Pio” (n. 36, 28 settembre 2025), una lettera che il santo cappuccino scrisse nel 1915 a Raffaelina Cerase, una delle sue prime figlie spirituali: «Al nostro fianco c’è uno spirito celeste che, dalla culla alla tomba, non ci abbandona nemmeno per un istante, che ci guida, ci protegge come un amico, come un fratello e che ci consola sempre, specialmente nelle ore che sono per noi le più tristi. Sappiate che questo buon Angelo prega per voi: offre a Dio tutte le buone opere che fate, i vostri desideri più santi e puri. Nelle ore in cui vi sembra di essere sola e abbandonata, non dimenticate questo compagno invisibile sempre presente per ascoltarvi, sempre pronto a consolarvi. O deliziosa intimità! O felice compagnia».

Fu papa Clemente X, nel 1670, ad istituire la festa degli Angeli custodi, fissandola nel giorno del 2 ottobre. L’ esistenza degli Angeli benefici e malefici, presenti fin dall’Antico Testamento è un dogma di fede, definito dalla Chiesa nel IV Concilio Lateranense (1215) e nel Concilio Vaticano I (1869-70). I Padri della Chiesa e gli integri teologi hanno pronunciato ed elaborato considerazioni e insegnamenti che riguardano la loro creazione, spiritualità, azione, intelligenza, volontà.

Nel Catechismo della Dottrina cristiana di san Pio X si dice che «gli angeli sono i ministri invisibili di Dio, ed anche nostri Custodi, avendo Dio affidato ciascun uomo ad uno di essi». La parola angelo, dal latino angelus, che ha origine nel lemma greco ἄγγελος, significa messaggero, messo, servitore, venendo così espresso l’ufficio degli Angeli e non la loro natura, come ha dimostrato sant’Agostino (Cfr. Discorso 7, Il roveto bruciava ma non si consumava, discorso tenuto nel digiuno di quinquagesima).

L’Angelo custode, guardia dell’anima e del corpo, non ci lascia mai, né di giorno, né di notte, è sempre al nostro fianco. Se siamo ben disposti ci illumina, ci sospinge a buoni propositi e sentimenti; allo stesso tempo, ci protegge dalle tentazioni e dai pericoli morali o materiali. Al nostro Angelo siamo debitori e gli dobbiamo profonda gratitudine per l’aiuto che ci offre nelle necessità su questa terra e per il soccorso verso la salvezza eterna. Affermava san Francesco di Sales: «I buoni angeli desiderano il nostro bene e non disdegnano di assisterci. I nostri buoni angeli ci danno la forza e il coraggio di praticare la virtù. Tendete la mano al buon angelo affinché vi conduca al cielo».

La mistica Santa Teresa d’Avila, nelle sue memorie, descrive come fu un angelo a trafiggerle il cuore con un dardo dorato dalla punta infuocata, lasciandola immersa in un infinito amore per Dio. San Filippo Neri aveva un rapporto tutto speciale con il suo Angelo custode. Una volta venne sollevato in alto per evitare che una carrozza lo travolgesse in un vicolo di Roma. Un’altra volta il suo Angelo gli comparve nella forma di un povero che chiedeva l’elemosina: il santo era pronto a dargli tutto il poco che aveva con sé, ma a questo punto l’Angelo gli rispose che voleva solo vedere di cosa fosse capace, poi scomparve.

San Luigi Gonzaga aveva una forte devozione per l’Angelo custode che pregava con l’Angele Dei almeno tre volte al giorno. Anche Domenico Savio ebbe esperienza concreta della presenza del suo Angelo. San Francesco d’Assisi ricevette le stigmate da un Serafino con sei ali infuocate e nella chiesa della Porziuncola gli Angeli gli si manifestavano, mentre nella malattia lo confortavano con il loro canto. San Giovanni Bosco, invece, ebbe un Angelo custode che lo proteggeva e lo tutelava manifestandosi in un modo molto singolare. Per difenderlo e salvarlo dagli agguati a cui era esposto a causa dei valdesi e dei massoni, compariva misteriosamente un cane e sempre al momento opportuno. Don Bosco lo chiamava «il Grigio» e di questa eccezionale guardia del corpo confessò ironicamente: «Dire che era un angelo farebbe ridere. Ma non si può dire nondimeno che fosse un cane come gli altri». Il Grigio, che arrivava da chissà dove e spariva non si sa dove, non prendeva mai cibo ed acqua, riapparve dopo ben 32 anni dalla prima volta, giovane come un tempo, addirittura dei testimoni lo videro poi nel 1959.

Questa la testimonianza lasciata da Renato Celato (1923-2020), autista di ben quattro Rettori maggiori salesiani (cfr. Don Bruno Ferrero, https://www.infoans.org/sezioni/interviste/item/530-rmg-ho-accarezzato-il-grigio-incontro-con-il-signor-renato-celato): «Ho potuto vedere, toccare, accarezzare quel misterioso cane. Era il 5 o il 6 di maggio del 1959 […]. Eravamo di ritorno da Roma con l’urna di don Bosco. L’urna era rimasta a Roma vari giorni. Era venuto ad onorarla anche Papa Giovanni XXIII. In contemporanea c’era a Roma anche l’urna con le spoglie di San Pio X. L’urna di don Bosco rimase due giorni a San Pietro […]. Siamo partiti da Roma nel tardo pomeriggio. Cominciava a farsi buio. Dovevamo arrivare a La Spezia alle quattro del mattino, sennonché eravamo stanchi e don Giraudi ci consigliò di fermarci un paio d’ore a Livorno dai Salesiani. Arrivammo a La Spezia verso le sette invece che alle quattro. Il confratello sacrista, signor Bodrato, aveva aperto le porte della Chiesa alle quattro e mezzo e aveva visto questo cane accovacciato davanti alla porta e gli aveva rifilato un calcio per mandarlo via. Senza reagire, il cane si era ritirato in disparte ed aveva aspettato l’arrivo dell’urna.

Quando siamo arrivati, abbiamo portato l’urna in chiesa e l’abbiamo appoggiata su un bancone dei falegnami, il cane ci ha seguiti e si è accoccolato sotto l’urna. Lì per lì nessuno ci ha badato. Poi quando incominciò ad arrivare la gente e iniziarono le messe e le funzioni, il direttore si preoccupò e disse ai carabinieri: “Mandate via questa bestia che sta sotto l’urna!”. Ma non ci riuscirono. Il cane digrignava i denti e sembrava arrabbiato. Rimase là fino a mezzogiorno. A quell’ora chiusero la chiesa. Il cane uscì e cominciò a gironzolare tra i ragazzi in cortile. I ragazzi naturalmente erano felici di averlo in mezzo a loro: lo accarezzavano, gli tiravano la coda. Mi unii anch’io a loro.

Andammo a pranzo. C’erano l’Ispettore, tutti i direttori della Ispettoria, i novizi e i confratelli che erano riusciti ad entrare. La sala da pranzo era al piano superiore. Durante il pranzo vedemmo questo cane che tranquillamente spinse la porta con le zampe anteriori ed entrò. Cominciò a gironzolare tra le tavole. Don Puddu, segretario del Consiglio Superiore, gli sferrò un calcio, ma il cane non si scompose e continuò a passeggiare. Gli offrirono pane, prosciutto, salame. Annusava in segno di gradimento, ma non toccò niente. Rimase lì per tutto il pranzo. Poco prima della preghiera finale, aprì di nuovo la porta da solo ed uscì.

Verso le quattordici, tornammo in chiesa per ripartire, perché il viaggio era ancora lungo. Il cane era di nuovo accovacciato sotto l’urna. Come aveva fatto a entrare? La chiesa aveva le porte sbarrate, com’è facile immaginare.

Caricammo la pesantissima urna sul furgone e il cane era ancora lì in mezzo a noi. Ho lasciato in archivio una fotografia che documenta quel momento. Partimmo per Genova Sampierdarena, passando per il valico del Turchino. Non c’era l’autostrada allora. Don Giraudi, che era in macchina con me, mi diceva ogni tanto: “Sta attento, guarda un po’ se c’è il cane!” C’era. Sempre dietro il nostro furgone, anche in città. Lo vidi ancora fino al terzo tornante della salita. Poi scomparve».

Perché nelle nostre case, nelle nostre parrocchie non parlare ai bambini come agli adulti di queste vicende di carattere spirituale, che appartengono alla linfa della nostra religione e che sicuramente verrebbero accolte da tante anime assetate di cose divine perché ormai stanche, annoiate e sature di mondo laico e ateo? Forse si tace per vergogna oppure per colpevole incredulità?