Fede e ragione: dalla distinzione alla separazione

ragione Il Timone – n. 13 Maggio/Giugno 2001

Per conoscere adeguatamente se stesso, il mondo e Dio, l’uomo non può separare la fede dalla ragione. Lo scrive Papa Giovanni Paolo II nella Fides et ratio.

di Laura Boccenti

L’enciclica Fides et ratio descrive il “dramma” della separazione tra fede e ragione (nn.45-48) che ha condotto all’indebolimento di entrambe: “A partire dal tardo Medio Evo, tuttavia, la legittima distinzione tra i due saperi si trasformò progressivamente in una nefasta separazione… ciò che il pensiero patristico e medievale aveva concepito e attuato come unità profonda… viene di fatto distrutto dai sistemi che sposarono la causa di una conoscenza razionale separata dalla fede e alternativa ad essa” (n.45).

Il filosofo che più di tutti ha saputo realizzare l’armonia tra ragione naturale e fede è stato San Tommaso D’Aquino (1224/1225? – 1274); egli era convinto che fosse possibile una filosofia distinta dalla teologia e dalla rivelazione, una filosofia sulla quale tutti gli uomini, in quanto esseri ragionevoli, potessero concordare.

Per san Tommaso la ragione in campo filosofico è sovrana, mentre in campo teologico può portare chiarimenti:, ma non può dimostrare nessuna verità di fede in modo definitivo; ad esempio l’incarnazione del Verbo di Dio è una verità di fede che non può essere dimostrata dalla ragione, mentre l’esistenza di Dio è una verità di ragione a cui l’uomo può pervenire con le sole forze naturali, senza appoggiarsi alla rivelazione, come ha fatto Aristotele con un argomentazione che l’ha condotto ad affermare l’esistenza di un motore immobile.

La conoscenza filosofica per Tommaso è fondata sull’esperienza intesa come avvenimento unitario in cui sono presenti tutte le facoltà dell’uomo, ciascuna secondo la propria natura; di modo che, mentre i sensi percepiscono la forma sensibile presente nelle cose, l’intelletto apprende la forma intelleggibile (il modo di essere dell’essenza) e ne giudica il senso. Si può dire die la nozione tomista di esperienza è “multidimensionale”, comprendendo in sé anche la capacità metafisica detta ragione.

Le premesse della separazione detta fede dalla ragione vengono poste quando viene prima messa in crisi e poi negata la capacità della ragione di astrarre dall’esperienza fisica un significato universale, riducendo l’esperienza a pura percezione sensibile. La cultura medievale ha dibattuto per secoli la “questione degli universali”. lì problema era stato posto in modo esplicito già intorno al III secolo d.C. nell’Isagoge di Porfirio.

L’argomento della disputa riguarda il fondamento e il valore della conoscenza; si tratta infatti di stabilire che tipo di relazione esiste tra un oggetto e la sua rappresentazione concettuale; dalla natura di questa relazione dipende se la conoscenza umana ha un valore oggettivo, e quindi rappresenta veramente la realtà oppure e’ pura convenzione.

Per comprendere il problema possiamo porci la domanda: che rapporto c’è tra il concetto di uomo e mia persona concreta? La parola uomo esprime una natura che ho in comune con altri individui, oppure la parola “uomo” è solo un suono che non corrisponde a nulla nell’uomo reale?

La disputa sugli universali divide i filosofi per più quattro secoli a partire dall’XI e ciò accade non semplice amore di discussione, ma per le implicazioni teologiche, filosofiche e politiche del problema: se gli universali sono solo nomi viene meno la corrispondenza tra i concetti e la realtà e con essa la possibilità di raggiungere la verità; viene meno anche la possibilità di parlare di Dio a partire dal mondo e la conoscibilità dl un ordine naturale comune agli innumerevoli individui.

Alla questione sono state date risposte diverse tra cui emergono quella del realismo cosiddetto moderato e quella nominalista. La posizione del realismo è rappresentata nel modo più compiuto da san Tommaso: ” … i sensi che sono facoltà corporee, conoscono i singoli determinati dalla materia: mentre l’intelletto, che è una facoltà indipendente dalla materia, conosce gli universali, i quali sono astratti dalla materia, e abbracciano infiniti singolari” (san Tommaso D’Aquino, Somma theol., I-II, q.2, a.6). Per Tommaso l’essenza o natura delle cose non è intrinsecamente individuale, se fosse tale non potrebbe accadere che essa si realizzi in modo universale nel concetto.

I concetti universali hanno un valore oggettivo quanto al contenuto (perché sono tratti da un oggetto), soggettivo quanto alla forma (perché l’universalità è il modo in cui l’intelletto, che è immateriale, è capace di conoscere). La posizione nominalista, teorizzata dall’abate Roscellino di Compiègne nel XII secolo, viene approfondita e articolata dal frate francescano Guglielmo di Ockham (1280-1349).

La visione di Ockham non si presta a facili sintesi, perché è strettamente connessa alla sua prospettiva teologica. Egli parte dall’infinita onnipotenza di Dio per affermare che è impossibile concepire un mondo in cui Dio sia vincolato e limitato nella sua opera dalla presenza di un ordine naturale; la realtà è costituita da una pluralità d’individui particolari che non hanno nulla in comune, pertanto non esiste nelle cose alcun fondamento reale dell’universale.

L’universalità e una caratteristica propria delle parole per il fatto che ogni parola indica più oggetti che hanno in comune solo una certa somiglianza. I principi costitutivi dei corpi sono quantità ed estensione, la scienza quindi dovrà essere fondata sulla descrizione degli aspetti delle cose percepibili dai sensi.

I concetti universali della metafisica, come le nozioni di ente e di causa, non possono essere colti dall’esperienza sensibile, quindi non hanno fondamento reale. Il valore dei concetti è esclusivamente logico-linguistico, Per questi motivi Ockham rifiuta il valore dimostrativo delle vie con cui Tommaso era pervenuto all’esistenza di Dio, affermando che tali argomenti possono avere solo un valore di persuasione.

Se la verità non è fondata sulla corrispondenza tra concetto e realtà, la ragione non può discernere il vero dal falso e anche il bene dal male non possono essere distinti; la condotta morale dell’uomo sarà guidata solo dalla rivelazione dei precetti divini. Dalla separazione della ragione dalla fede emergono una ragione depotenziata e una fede totalmente dipendente dalla volontà del l’uomo.

Glossario

Astrazione: dal latino abs-trahere = trarre fuori, separare. È il processo per cui l’intelletto ricava dall’esperienza delle nozioni universali, separando gli che l’oggetto d’esperienza ha in comune con altri dagli elementi strettamente particolari o contingenti.

Essenza: è l’elemento costitutiva di una cosa, ciò per cui una cosa è quello che è, ciò che assegna la cosa a una determinata specie e contemporaneamente la separa e distingue dalle altre cose.

Forma: nella metafisica aristotelica designa “l’essenza di ogni cosa “, nella filosofia moderna è diventato sinonimo di “figura e “struttura”. La “forma sensibile” è la raffigurazione nei sensi di un oggetto esterno, la “forma intelleggibile” è tratta dalla forma sensibile con un’operazione dell’intelletto e coincide con gli elementi essenziali dell’oggetto.

Bibliografia:

– Giovanni Paolo II, Enciclica Fides et ratio, Città del Vaticano 1998.

– Antonio Livi, Lessico della filosofia, Ed. Ares, Milano 1995.

– Alessandro Ghisalberti, Guglielmo di Ockham, Ed. Vita e Pensiero, Milano, 1972.

– Cornelio Fabro, Percezione e pensiero, Morcelliana, Brescia, 1962.