Come cambia la lingua italiana nell’era dei social

Abstract: Come cambia la lingua italiana nell’era dei social. L’idioma cambia alla velocità di messaggini e social. E non necessariamente in meglio. le regole classiche della sintassi e della punteggiatura sono stravolte e questo aumenta l’incomunicabilità tra le generazioni: gli anziani non capiscono ciò che i giovani scrivono nei loro messaggi e i giovani sono sempre più incapaci di comprendere  un testo scritto secondo le regole classiche.

Panorama n.10 – 28 Febbraio 2024

A lezione di E-italiano

La struttura del discorso spesso «collassata», Migliaia di parole inglesi che colonizzano il vocabolario spesso per pigrizia più che per necessità. Una punteggiatura «naif» che ribalta il significato originale di pause e segni. L’idioma cambia alla velocità di messaggini e social. E non necessariamente in meglio

di Luca Sciortino

Lo chiamano «e-italiano». L’italiano scritto, e anche parlato nella vita di tutti i giorni, che si è diffuso con l’uso dei social network, nei messaggi WhatsApp, degli sms e delle e-mail, ha già un nome, con tanto di voce sui dizionari della nostra lingua. È caratterizzato da immediatezza, frammentarietà, semplificazione sintattica, massiccio uso di anglicismi, spesso distorti nel loro significato, errori ortografici, stravolgimento della punteggiatura e spesso assenza di coerenza logica.

«Watsappami ASP bro, ok?!!! Dv and XOXO», cioè: «Mandami un messaggio con WharApp al più presto possibile, amico fraterno, d’accordo? Devo andare. Baci e abbracci». E’ incomprensibile alla generazione più anziana, tanto è stata rapida questa evoluzione dell’avvento di computer e cellulari. Ma nessuno deve stupirsene. Quello che rende i  linguaggi umani così differenti dai mezzi di comunicazione degli altri mammiferi è proprio il loro grado di complessità, variabilità e adattabilità.

Più preoccupante è però il fatto che recenti indagini sui testi degli studenti destinati alla scuola, all’università e al lavoro rivelino carenze linguistiche imputabili anche alla diffusione il e-italiano. Insomma, la distanza tra un testo scritto su carta in italiano corretto e uno trasmesso dal computer o dal cellulare, molto vicino al parlato informale è aumentata a dismisura. E i giovani sembrano sempre meno capaci di discernere tra i due registri e di scrivere correttamente nei testi formali.

Nel corso di tre anni di ricerche effettuate dall’università di Bologna, Pisa, Macerata e Perugia su un campione di 2 mila iscritti a 45 atenei italiani, sono emerse difficoltà degli studenti nella produzione e nella compressione della lingua scritta, tutte riconducibili all’affermarsi dell’ e-italiano.

In un elaborato lungo tra le 250 e le 500 parole, analizzato dal punto di vista di grammatica, sintassi, lessico e punteggiatura gli errori sono risultati in media 20 e, di questi, 10 riguardano proprio quest’ultimo aspetto. Una delle conclusioni più salienti di queste ricerche è il completo stravolgimento dell’uso della punteggiatura. Così, il «punto fermo» non è più un segno che chiude una frase di senso compiuto, ma semmai esprime negatività, aggressività e a volte persino rabbia.

Come afferma Paolo D’Achille, presidente dell’Accademia della Crusca, «un punto alla fine di una frase o dopo il saluto “Ciao” in un messaggio può esprimere una totale chiusura a proseguire il dialogo o addirittura la volontà di non voler vedere più il proprio interlocutore. La tendenza a non usare il punto, o a renderlo un segno di interpunzione non più neutro, deriva proprio dall’ e-italiano in uso nei social o nei messaggi sms e WhatsApp».

Se il punto si carica di un significato negativo, quello esclamativo ne assume uno positivo. Così «Vieni a casa.» e «Vieni a casa!» Adesso hanno differenti valenze». La prima locuzione esprime un comando perentorio (il vieni è interpretabile come un indicativo piuttosto che come un imperativo); la seconda comunica invito accorato, implorazione virgola e ha dunque una valenza positiva.

Il punto e virgola, quello che l’autore di questo articolo ha utilizzato appena sopra, è di fatto scomparso dai testi scritti,  in particolare da quelli giornalistici. «Il fatto che su una tastiera del computer l’uso del  punto e virgola richieda una pressione su due tasti anziché uno può avere avuto un ruolo nella sua quasi scomparsa» afferma D’Achille, aggiungendo: «Un’altra concausa riguarda la sottigliezza di significato di questo segno: è una pausa necessaria tra proposizioni autonome che esprimano però idee e concettualmente molto vicine oppure una pausa in un elenco di frasi o sintagmi che seguono i due punti».

Anche i due punti sono quasi inesistenti nell’e-italiano. Dato che inducono spiegazioni e integrazioni di informazioni sono poco utili in una scrittura affrettata che deve adattarsi a un’esigenza di riduzione, contenimento e sintesi.

Di contro, puntini di sospensione, punti esclamativi e interrogativi hanno acquistato una seconda vita e vengono usati in una maniera davvero creativa. Come spiega Lucia Francalanci, linguista dell’Opera del vocabolario italiano – Cnr. «la forma ripetuta di puntini esclamativi e interrogativi è ammessa nella lingua italiana, tuttavia quello che si osserva è un ricorso sovrabbondante a questi segni».

Per esempio. Nei componimenti degli studenti si osserva questo: «!!??», ma anche «??!!» e «?!?!» o «!?!?», per non parlare di «!!!!!!!» e «??????».

«La differenza tra il punto esclamativo  e interrogativo è sempre più sfumata e la loro collocazione e spesso inusuale», aggiunge Francalanci:  «I puntini di sospensione superano il numero di tre o cinque, previsto dalle regole, sostituiscono spesso il punto e vengono collocati all’inizio e in mezzo alla frase, e non solo alla fine». Come i puntini, le virgole vengono spesso usate per sostituire il punto o mancano del tutto.

Questo uso della punteggiatura, lungi da essere fine a se stesso, rivela una mancanza di struttura e organizzazione nell’espressione del pensiero.

Ancora: le virgole servono – tra le altre cose – a separare le proposizioni principali dalle subordinate. I punti e virgola indicano che i concetti espressi in due frasi vicine sono legati fra loro e i due punti  introducono livelli più profondi di spiegazione, senza esplicitarli. Il loro venir meno va di pari passo con un collasso della struttura del discorso. D’altra parte, l’impoverirsi dei modi e tempi verbali o il loro cattivo uso non permette di comunicare efficientemente le sfumature di significato, come quando, mancando il congiuntivo, non si percepisce lo scetticismo del soggetto rispetto alla realizzabilità di un evento.

«Altre distinzioni che si perdono sono quelle fonologiche: per esempio, quelle pésca/pèsca e bòtte/bótte e, nel consonantismo, le distinzioni chiese, con la sorda, passato remoto di chiedere, e chiese con la sonora, plurale di chiesa. Razza con la sorda, che indica una serie di animali della stessa specie, e razza, con la sonora, che indica un pesce» dice D’Achille, aggiungendo però che queste distinzioni sono sempre state proprie soprattutto dell’uso toscano, o dell’italiano insegnato nelle scuole di dizione.

«Il linguaggio giovanile, dopo la morte di “codesto” e all’uso pronominale di ‘sto qua, ‘sti qua, sta stravolgendo anche l’uso degli aggettivi dimostrativi: per esempio, “Brizzi è questo scrittore…” invece di “Brizzi è uno scrittore”». I superlativi sono così inflazionati da avere perso la loro forza. Il suffisso -issimo viene ora esteso non solo ai nomi (occasionissima, finalissima, ecc.), ma anche ai participi passati con funzione verbale («lo spettacolo è stato applauditissimo» ma anche «fa riderissimo»). «Ben nota è anche la preferenza, specialmente nel  linguaggio giovanile, per alternative alla tradizionale forma di superlativo assoluto (come super-, iper-, mega-, maxi-)»

Nel frattempo, le parole nuove che arricchiscono il vocabolario della nostra lingua consistono ormai più che altro in anglicismi. Nel 1990 il Devoto-Oli includeva 1,600 anglicismi, oggi il numero è salito a quattromila. La penetrazione della lingua inglese riguarda anche l’esplosione delle forme ibride come «chattare», «brandizzare» o «zoomare» e l’impiego come prefissi di termini inglesi quali «cyber», «baby», «under» eccetera.

«In molti casi l’uso di termini inglesi viene reinterpretato come per “finalizzare”, scelto nel senso di “completare” piuttosto che nel senso di “prendere una decisione finale su un progetto”; o “aleatorio”, usato come “irrilevante” invece che come “incerto o determinato dal caso”» conclude D’Achille.

C’è comunque creatività nell’e-italiano, dalla punteggiatura alla formazione di neologismi fino alla variazione dei significati delle parole esistenti, comprese quelle con radici anglosassoni. E questo fa ben sperare. Ma meglio tenere a mente la lezione di George Orwell nel suo 1984. Lo scrittore britannico immaginò una «neolingua», imposta da una potenza totalitaria e costruita in modo da impedire ogni forma di pensiero eretico contrario al regime. Tra le sue caratteristiche vi era quella di attribuire a una parola significati differenti così che qualunque critica potesse sempre essere interpretata positivamente.

Con l’impoverimento della sintassi e del vocabolario il Partito mirava a rendere il linguaggio inadatto a esprimere la complessità di un pensiero articolato e più simile alla gamma dei versi di una specie animale. Insomma, mirava a trasformare l’uomo in una sorta di scimmia zelante priva di capacità critica e prona a soddisfare i suoi interessi.

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