I fini dell’azione politica. Temi e valori dell’uomo e della società

politicaTrascrizione dell’intervento che si è svolto
il 21 giugno 2002

presso l’Auditorium della Mostra del Mobilio

di Ponsacco (PI)

di Mauro Ronco

(Ordinario di diritto penale all’Università di Padova, Membro del Consiglio Superiore della Magistratura)

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Credo che se la nostra Città ha buoni fondamenti, debba anche essere assolutamente buona
Platone, La Repubblica, IV, 427

Oggi si tende ad affermare che l’indifferentismo ed il relativismo scettico sono la filosofia e l’atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche e che quanti sono convinti di conoscere la verità ed aderiscono con fermezza ad essa, non sono affidabili dal punto di vista democratico perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. Bisogna invece osservare che se non esiste alcuna verità ultima che guidi ed orienti l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo come dimostra la storia

Giovanni Paolo II enc. Centesimus annus¸ n. 46

Il guasto peggiore è che viviamo in un ambiente morale inquinato. Abbiamo contratto una malattia morale perché ci siamo assuefatti a dire cose diverse da quelle che pensiamo. Abbiamo imparato a non credere in alcunché, ad ignorarci l’un l’altro, a preoccuparci soltanto di noi stessi. Concetti come amore, amicizia, compassione, umiltà o perdono hanno perso spessore e dimensione, per molti di noi, essi rappresentano soltanto singolarità psicologiche o fumosi ideali del passato un po’ ridicoli nell’era dei computer e della navicelle spaziali. Quando parlo di atmosfera morale inquinata mi riferisco a tutti noi. Tutti ci siamo assuefatti al sistema di potere comunista, tutti lo abbiamo accettato come una realtà immutabile e quindi contribuito a perpetuarlo

V. Havel – 1.1.1990 Discorso di Capodanno alla nazione dopo l’insediamento quale primo Presidente della Repubblica cecoslovacca dopo il crollo del regime comunista

Presentazione dell’avv. Andrea Gasperini

Il prof. Mauro Ronco è avvocato, docente di Diritto Penale all’Università di Modena e da poco più di un anno membro laico del Consiglio Superiore della Magistratura. Credo che quasi tutti sappiano cos’è il CSM, l’organo, dice la Costituzione, di autogoverno dei giudici. È uno dei luoghi dove principalmente si esercita oggi lo scontro politico perché vi si trattano le questioni principali relative al governo della magistratura.

Il prof. Mauro Ronco, eletto all’indomani della vittoria del 13 maggio 2001, è stato nominato dalla maggioranza del Centro-destra a far parte di questo organismo dove sfociano gran parte dei conflitti politico istituzionali di questo nostro paese nel quale le sinistre ancora, di fatto, detengono tutti i gangli vitali della società. Stasera il tema della conferenza non parte dai temi della magistratura.

Il prof. Ronco da molti ani è studioso di Dottrina Sociale della Chiesa e di politica ed è stato invitato a parlare della politica. Sappiamo tutti cos’è, ma quando si tratta di definirla non è molto facile. Proprio perché non è facile definirla è anche facile che scada , che si riduca ad affarismo, a spoil sistem, a occupazione del potere quando non a fini meno nobili.

Siccome non era questo il nostro scopo, ma era quello di cambiare in meglio le cose, di incarnare dei valori nella nostra realtà, è giusto che ogni tanto queste cose ce le ricordiamo. Ci ricordiamo cos’è la politica, quella con la P maiuscola. La politica come la intendevano i classici, quella per cui ha senso dare qualche cosa di noi stessi, al limite anche la vita. Non si dà niente di noi stessi per un incarico di Presidente del Consorzio tal dei tali, si dà tutto quello che abbiamo, perfino la vita, per dei valori.

Stasera il prof. Ronco ci parlerà di questi temi, di questi valori.

Intervento del prof. Mauro Ronco

Ringrazio gli amici del Gruppo Consiliare della Casa delle Libertà che hanno avuto il coraggio di affrontare un tema così difficile, segno di un animo nobile. Bisogna avere animo nobile oggi per affrontare i temi della politica non sotto il profilo meramente utilitaristico, ma sotto il profilo dei valori. Mi ha fatto piacere essere qui con voi perché ho incontrato molti amici di Alleanza Cattolica con i quali abbiamo condiviso molte battaglie, forse più difficili o facili, ma comunque diverse da quelle che dobbiamo combattere oggi.

Io credo che mai titolo di conferenza e citazioni a commento del titolo siano così adeguate, più combacianti. Le tre importanti citazioni riportano a tre figure a diverso titolo magistrali. La prima di Platone, la seconda di Giovanni Paolo II e la terza di una personalità molto importante, un combattente contro il comunismo, di un esponente di un umanesimo occidentale che vuole ritrovare i suoi fondamenti. Tutte e tre le citazioni meritano di essere brevemente commentate perché illuminano bene il tema che stasera si vuole trattare. Platone, La Repubblica.

Gli studiosi contemporanei riconoscono sempre più in Platone il più grande filosofo di tutti i tempi. Forse è stato il più grande filosofo di tutti i tempi. Platone ha dedicato alcune opere, due in particolare, al tema della politica, ed è stato, probabilmente, il più grande metafisico di tutti i tempi. Due opere fondamentali del suo itinerario filosofico sono dedicate al tema della politica. La prima è intitolata Il Polittico, la seconda La Repubblica. Nel Polittico individua nella politica l’arte regia, la scienza è l’arte regia.

La scienza è la più importante delle arti, quella che si può trattare soltanto essendo metafisici. Metafisici che sono filosofi, uomini saggi che cercano le radici della loro vita nei fondamenti permanenti della verità. In realtà Platone dice che non si può essere uomini politici se non si è filosofi, se non si è uomini saggi amanti della verità. Uomini dotati di tutte le virtù naturali che sono le virtù che non conosciamo e non ricordiamo più nella loro terminologia, nei loro contenuti: la prudenza, la saggezza, la giustizia, la fortezza e la temperanza.

Non si può fare la politica se non si è indirizzati verso l’acquisizione e la pratica di queste virtù, che sono le virtù dell’uomo naturale. E Platone, nella parte finale del Polittico, paragona le varie scienze umane alla politica e dice che non sono nulla rispetto alla politica, perché sono tutte “arte dei mezzi” mentre la politica è “scienza e arte dei fini”.

Le altre sono scienze dei mezzi. Le paragona ad esempio – siamo in tema – all’arte e alla scienza dei giudici, oppure all’arte e alla scienza degli strateghi militari. Pensate ad una società del V-IV secolo, ateniese, a quale importanza avevano gli strateghi! Eppure, in fin dei conti, dice che queste sono arti dei mezzi, cioè dati certi principi si tratta di applicarli adeguatamente alle circostanze.

Ma chi è che individua i fini? Soltanto il politico. Il politico è colui che conosce la verità permanente, la verità dell’uomo e sull’uomo soprattutto. Ecco allora la frase che qui, oggi, è stata ricordata: “Credo che se la nostra città ha buoni fondamenti debba essere anche assolutamente buona”. Qual è il fondamento della città? È il bene, è la verità. O meglio, è la verità e il fine è il bene, il bene comune. Ed è il bene comune a tutti, cioè che è di ciascuno ma, come tale, è capace di espandersi, non è esclusivo di uno o dell’altro ma si diffonde. Questa è la grande idea che sta alla base della nostra civiltà occidentale.

Noi godiamo ancora dei frutti di una civiltà che si è radicata e si è costruita sull’idea di verità e sull’idea di bene. Dice Giovanni Paolo II nell’enciclica Centesimus Annus che l’atteggiamento democratico sarebbe l’atteggiamento relativistico e scettico e invece, coloro che affermano e che vogliono riportarsi alla verità, al criterio del comportamento politico sarebbero in qualche misura nemici della retta democrazia.

Invece, Giovanni Paolo II, con frase tassativa, dice: “bisogna osservare che se non esiste alcuna verità ultima che guidi ed orienti l’azione politica allora le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia”. Qui siamo al tema iniziale che vorrei con voi trattare questa sera.

La nostra civiltà, da almeno due secoli, sta girando intorno a un problema di mezzi, trascurando completamente il tema dei fini, mettendolo in disparte come se non esistesse. Vediamo il tema della democrazia. Il tema della democrazia è diventato il tema della distribuzione del potere. Allora, si è democratici se abbiamo la divisione dei poteri giudiziario, legislativo, esecutivo… per carità, sono importanti, ma nella totale trascuranza dei fini. E chi ci dice quali sono i fini?

I mezzi possono essere anche i più raffinati, ma se i fini non vengono individuati, se sono soltanto materiali, se sono soltanto economici, le conseguenze sulla vita civile sono assolutamente improduttive. E allora il tema della democrazia da due secoli a questa parte si svolge intorno ai mezzi, si è democratici nella misura in cui si riconoscono determinati diritti, perché i poteri sono separati, ecc. Ma qual è il fine dei tre poteri?

Si è dimenticato, come diceva Platone, che prima della tematica relativa ai mezzi vi sta una tematica relativa ai fini. Da questo punto di vista noi non dobbiamo dimenticare che vi sono due fondamentali aspetti: una tematica relativa al governo, alle forme di governo (in cui trova spazio il problema della distribuzione dei poteri interna agli organi dello Stato) e una tematica relativa alle forme di stato, cioè la tematica relativa ai fini.

E dice molto bene Giovanni Paolo II, in maniera che migliore non potrebbe essere, che se non vi è una verità permanente, non vi sono dei valori permanenti che guidano ed orientano l’azione politica, i mezzi possono essere i più raffinati, ma essi possono essere strumentalizzati ai fini del potere e si possono trasformare in una società di tipo totalitario, magari subdolamente, magari in maniera occulta, ma del tutto identica a quella del peggiore totalitarismo aperto, palese.

E questo è il grande rischio della nostra epoca contemporanea: noi abbiamo vissuto una lunga epoca storica drammatica, l’epoca della minaccia del Comunismo. Epoca terribile, epoca dei totalitarismi, anche prima, dei nazionalismi sfrenati. Pensiamo alle guerre degli imperialismi nazionalistici dell’inizio del secolo scorso, pensiamo alla fase delle guerre civili europee, pensiamo al Comunismo e alla minaccia comunista su tutto il mondo.

Pensiamo a ciò a cui siamo riusciti a sfuggire in anni in cui sembrava veramente impossibile che anche noi sfuggissimo, sembrava quasi che non ci fossero più prospettive, più speranze. E non esageravamo nel paventare il rischio del Comunismo, sia chiaro questo! Ce lo hanno dimostrato le nazioni che ne sono state vittime, che ne sono state distrutte, annientate e ne vediamo antropologicamente gli effetti dalla visione degli uomini e delle donne che provengono disastrati da quel mondo. Non avevamo torto.

Noi siamo in cattive condizioni da un punto di vista morale, ma coloro che vengono da quelle terre sono in condizioni ancora più disastrate da un punto di vista sociologico. E il rischio era reale, non era inventato come oggi si dice, quasi che si volesse strumentalizzare gli uomini per opposizioni comunque inutili. Abbiamo combattuto in quella prospettiva per mantenere gli spazi di libertà individuale, delle nostre famiglie, economica, delle nostre tradizioni. E poi, questo enorme mondo eretto sulla menzogna che ha massacrato ed annientato intere nazioni è crollato, è imploso su se stesso.

Io penso che questo sia stato l’effetto di una grande opera “preghiera”, nascosta, di coloro che hanno sofferto, dei martiri che hanno patito. Ha detto Giovanni Paolo II in molte occasioni, ma soprattutto nel momento conclusivo del millennio, nell’atto di introduzione del grande Giubileo del 2000: «il XX secolo è stata l’epoca della storia che ha conosciuto il maggior numero di martiri».

E lo sta dimostrando, anche dal punto di vista formale, canonico, come si suol dire. Chi avrebbe pensato venti anni fa che sarebbero stati canonizzati a centinaia i martiri della lotta contro il Comunismo in Spagna, della resistenza contro il Comunismo in Spagna? Eppure i martiri sono proclamati sugli altari, a centinaia, tutti gli ordini religiosi hanno i loro martiri, ormai, della guerra di Spagna; della guerra comunista, laicista, anarchica, di tutte le sinistre unite in Spagna. Chi avrebbe pensato questo? E allora sono le preghiere, sono le sofferenze dei martiri e dei santi che hanno consentito questa svolta storica.

Questo mondo che sembrava inarrestabile e che sembrava dover governare con la violenza è imploso su se stesso. E allora si è aperto uno spazio di libertà da dieci-dodici anni a questa parte. Ma questi spazi devono essere da noi conosciuti e apprezzati e poi devono essere utilizzati. Non dobbiamo pensare che questi spazi di libertà ci siano stati aperti perché noi non facciamo nulla, perché noi gettiamo via il tempo che ci viene offerto.

Questo tempo deve essere utilizzato per conoscere la verità storica, la verità politica, le verità fondamentali perché la società occidentale risorga ed abbia una nuova fioritura. E in questi anni proprio il messaggio cogente che viene dalla parola del Sommo Pontefice è che noi riscopriamo la nostra missionarietà cristiana che, da laici, dobbiamo saper strutturare, fondare, su una nuova civiltà umana. Cioè dobbiamo riconoscere i valori fondamentali umani: il valore della famiglia, della società libera, del lavoro libero, della libertà produttiva, fruttuosa, proficua.

Dobbiamo scoprire i valori fondamentali del potere politico come servizio, perché se una società cristiana è stata possibile nei secoli precedenti alla Grande Rivoluzione è perché, fondamentalmente, vi è stata una idea nuova, grazie al Cristianesimo, del potere politico. Il potere politico non come dominazione, ma come servizio.

Preannunciato attraverso i “semi” della grazia nelle religioni pre-cristiane, nella grande filosofia di Platone, e poi portato a compimento dall’opera missionaria della Chiesa e delle società che attraverso la sofferenza, l’impegno, la fatica, la generosità, la magnanimità dei combattenti cristiani e dei laici cristiani nei secoli hanno portato a grande frutto. Allora noi dobbiamo pensare, finalmente, di utilizzare la libertà che ci viene concessa per degli scopi positivi. Ecco il tema dei fini dell’azione politica.

Quali sono i fini? Noi dobbiamo avere grande rispetto dei mezzi, grande pazienza per le condizioni drammatiche in cui si trova la nostra società contemporanea. Noi dobbiamo partire dagli uomini “come siamo” nel momento storico attuale, nelle nostre difficoltà estreme, nella nostra debolezza e fragilità, di fronte a questa ideologia del potere, dell’utilitarismo, dell’economicismo e dell’edonismo.

Dobbiamo saper combattere contro questi mostri che ci stanno intorno, forse cominciando proprio dall’ultimo, dall’edonismo. Sapere cioè tornare ad un’educazione severa, ad un’educazione generosa al sacrificio e alla sofferenza, perché soltanto dal sacrificio e dalla sofferenza, dalla fatica, dalla generosità e dalla pazienza può nascere qualcosa di forte. Lo sappiamo nella nostra vita lavorativa quotidiana, nella nostra vita familiare: solo dalla fatica, solo dalla sofferenza, solo dall’accettazione del limite possiamo fare dei passi avanti, noi e le nostre famiglie.

Allora qui stiamo già parlando in qualche misura di figli, non parliamo di ingegnerie costituzionali, come troppo spesso ci viene suggerito. Le cose miglioreranno se facciamo un tipo di governo piuttosto che un altro, un tipo di elezioni piuttosto che un altro, un tipo di rapporto di distribuzione di poteri piuttosto che un altro. Queste sono cose marginali da molti punti di vista, sono strumenti a seconda del periodo storico: ciò che conta è che partiamo da noi stessi, dai valori naturali.

Il primo valore è quello del servizio, della lotta contro il nostro egoismo, per dedicare qualcosa agli altri, al bene comune. Ecco perché oggi tutti quanti preferiscono l’amministrazione alla politica, perché l’amministrazione è governo delle cose, la politica invece è comunicazione e partecipazione con gli altri ai valori comuni.

Nel governo ci si può appropriare delle cose, è un rapporto in qualche misura tra padrone e schiavo, nella politica invece il rapporto è tra uguali, tra persone che si sostengono reciprocamente. Dobbiamo riscoprire realmente questo valore della politica come servizio. Questo è il primo fine, perché in questo “riscoprimento” sta, finalmente, il rovesciamento di una modalità meramente amministrativistica della politica.

E come si fa a fare questo? Con la testimonianza giornaliera nel campo che ciascuno si è prescelto di qualcosa di diverso, la dimostrazione che non si lavora solo per il proprio vantaggio particolare, ma si lavora per un valore di carattere comune, questa è la trasformazione.

Ma forse che noi abbiamo riacquistato la libertà – anche se noi, grazie a Dio non l’abbiamo mai persa, nella nostra società italiana, anche se dobbiamo pensare alla cappa dell’egemonia culturale della sinistra negli ultimi trent’anni – per gettarla via? Io in qualche momento sono tentato di stanchezza e di grande insofferenza, perché vedo da parte delle sinistre accusare il governo di centro-destra di essere economicista, di essere edonista, di essere coloro che spregiano il valore del bene comune, del bene statuale, valori cui la destra si era sempre richiamata nei momenti difficili in cui lo Stato era spregiato, tutto ciò che era “comune” veniva spregiato, distrutto, vilipeso.

Ora vedo un rovesciamento strano, una situazione in cui siamo accusati noi di essere addirittura sostenitori di un egoismo selvaggio. Noi dobbiamo dimostrare concretamente nei fatti due cose: prima di tutto che queste accuse sono strumentali da parte di coloro che vorrebbero indebolire la nostra capacità di resistenza.

Di questo dobbiamo essere consapevoli, perché queste forse non sono state schiodate dalla posizione egemonica culturale e amministrativa della società italiana. E allora attraverso queste accuse cercano di indebolirci, di infiacchirci sotto il profilo morale, per toglierci la legittimazione in noi stessi, nei nostri valori permanenti. Perciò dobbiamo renderci conto che queste forze, non solo in Toscana ma in tutta Italia, sono ancora potentissime, in tutti i settori della società.

I poteri forti sono ancora “ben forti” nelle loro posizioni. Secondo punto, però, dobbiamo cercare di togliere il più possibile da noi stessi le contraddizioni. La contraddizione è condizione storica della nostra vita su questa terra, non possiamo pensare di togliere per sempre la contraddizione. Saremo sempre, fino alla fine dei nostri giorni, combattuti tra la condizione di egoismo e la dedizione nel servizio agli altri, però, pur consapevoli di questa contraddizione, dobbiamo operare di più per gli altri, a favore della politica come servizio, della politica come generoso appello verso il bene.

Qual è il fine, in fondo, della politica? Io credo che bisogna dirlo chiaramente, perché troppo spesso diventiamo succubi di quello che gli avversari politici della sinistra vorrebbero che noi fossimo, cioè vorrebbero che noi non avessimo alcuna consapevolezza dei lavori permanenti a cui ci richiamiamo, dei valori storici della nostra civiltà occidentale.

E allora qual è il fine della politica, per andare a una risposta più complessiva? Il fine della politica è creare le condizioni storiche, economiche, amministrative, ambientali perché tutti gli uomini possano praticare liberamente e consensualmente le virtù naturali. Ce lo ricorda Platone nel Polittico e, ancora di più, nella Repubblica che è un testo di un’altezza metafisica straordinaria.

Cioè la politica non è altro che questo: cercare di creare le condizioni ambientali (economiche, amministrative, ecc.) e di paralisi nei confronti del male, cioè nei confronti di coloro che si rendono protagonisti di azioni malvagie, perché gli uomini possano praticare più agevolmente le virtù naturali. E allora vedete quale enorme compito sta di fronte a noi? In ogni settore della vita sociale noi abbiamo da combattere, abbiamo da dire il contrario di quello che viene concretamente fatto. Pensate soltanto il caso della temperanza.

Mi rendo conto che soprattutto questo settore infiacchisce tante energie, giovanili e non solo. Bisogna che la politica si renda attrice di iniziative contrastanti l’infiacchimento e il logoramento dei costumi. La politica ha questo compito. Ci hanno insegnato che la pornografia deve essere libera? La pornografia non deve essere libera! Perché è un virus, è un veleno, per tutti noi.

Se la politica persegue realmente dei fini nobili, dei fini veri nel rendere cioè possibile l’esercizio delle virtù, noi dobbiamo combattere contro la pornografia. La fortezza. Pensate al nostro Esercito, alle nostre forze dell’ordine, alle nostre istituzioni vilipese sino a non esistere più: l’Italia non esisteva, ci si vergognava di essere italiani.

La fortezza invece vuol dire che noi dobbiamo essere fieri della nostra identità e della nostra storia. La nostra è l’identità di una nazione che è stata faro di civiltà per tutte le altre nazioni. E allora come essere di nuovo veicoli di questa grande civiltà? Educhiamo i nostri figli a una fortezza completamente trascurata, alla capacità di resistere contro il malvagio, alla capacità di rispondere al malvagio e di individuarne fino in fondo la perversione nella riflessione.

Il sofisma del contemporaneo, che non fa nulla di positivo ma distrugge soltanto, sistematicamente ogni valore e ogni principio. Ce ne sono tanti di personaggi che pontificano sui giornali, nelle riviste, nella cultura, nella magistratura. Dobbiamo saper contrastare questa perversione della riflessione, sapendo riflettere e sapendo pensare. Ma per far questo bisogna educarsi sin da giovani alla fortezza.

Non si può acquisire questo habitus alla controversia fondata sulla verità se non ci si esercita nella fortezza sin da giovani, se non si sa dire no e se non si sa contrastare con certezza e con convinzione le menzogne che vengono continuamente propalate. Sotto tutti i profili, sotto tutti i campi. La giustizia. La giustizia significa rimettere al centro dei rapporti intersoggettivi i doveri più che non i diritti. I doveri verso Dio, verso gli altri, verso se stessi. Questo è il fondamento di una vita sociale nuovamente ordinata, questi sono i fini della politica.

I diritti, certo, sono un aspetto della vita sociale, ma fondamento della vita sociale sono i doveri. Tutti i doveri. Il dovere di pietas prima di tutto, che è pietà anzitutto verso Dio, certamente, ma anche verso i Padri, senso di patria. Non nazionalisticamente, non sentimentalmente soltanto, ma come senso della continuità, della Tradizione, come senso di rispetto per ciò che i nostri Padri hanno fatto, anche sotto l’aspetto di questa meraviglia che sono le condizioni agricole, dell’alimentazione, dei beni materiali. Dobbiamo saper risvegliare in noi stessi il senso di paternità, per poterlo inculcare ai nostri figli ed avere una continuità generazionale.

E allora se le famiglie, se noi genitori, riacquisteremo questo senso profondo della pietas verso i nostri antenati, verso la nostra patria, allora i nostri figli saranno verso di noi rispettosi, finalmente attenti a ciò che noi trasmettiamo. E ci sapranno accompagnare con serenità alla morte, perché sapremo di aver trasmesso qualcosa e di non essere anche storicamente del tutto morti. Perché ci han fatto perdere il senso della famiglia?

Perché ci han fatto perdere il senso delle generazioni, della Tradizione? Non vi è civiltà senza tradizioni. Hanno cercato di spezzare la nostra tradizione storica, la nostra identità nazionale e la nostra identità di popoli accomunati dalla professione della fede cristiana. Quindi dobbiamo riacquistare il senso della giustizia, della pietas.

Qui, invece, siamo di fronte a quelli che non riconoscono nulla a coloro ai quali devono riconoscenza. Io mi ricordo negli anni ’50 il senso di devozione che avevamo nei confronti dei nostri insegnanti, il senso di riconoscenza, tutto si è perduto, ma se vogliamo realmente rinnovare la politica dobbiamo riacquistare tutto questo, rinnovare il senso della gratitudine. Ma anche il senso della rettitudine, il riconoscimento di ciò che è mio e di ciò che è tuo.

Anche se costa! Perché costa riconoscere ciò che è degli altri. In una società di diritti si vuole solamente ciò che è per se nella trascuranza completa di ciò che è degli altri. Ma è nel riconoscimento di quello che è dell’altro che sta la soddisfazione profonda della vita sociale.

È nel riconoscimento, anche psicologico, di aver fatto qualcosa per l’altro, di aver riconosciuto il diritto dell’altro che sta la profonda soddisfazione della vita politica. La insoddisfazione sta nel volersi appropriare delle cose e, in qualche misura, dei diritti. Bisogna saper individuare la gerarchia tra i mezzi e saper individuare i fini, anzitutto.

Occorre riconoscere anche le radici della nostra fede, fede che è il coronamento di una società, come la nostra, che abbia radici in cielo e fioritura sulla terra. Ecco allora che in un momento così importante ma difficile, in cui vedo tante disillusioni (ma si delude soltanto chi si illude) non è possibile realizzare una nuova civiltà senza politica, senza impegno, senza trasformazione, senza conversione.

E con conversione non intendo soltanto uno stato di carattere religioso, ma una conversione ad un uomo virtuoso, ad un uomo che sa sacrificare il proprio egoismo e che sa mettere avanti, come fondamento, il bene comune. Bene comune che unifica invece di dividere.

Siamo nella società della divisione, noi vogliamo una società della riunificazione. Tenendo conto che vi saranno coloro che permanentemente si opporranno a questa volontà di riunificazione. Escogiteranno tutti gli strumenti, i mezzi, gli inganni e le menzogne per impedire che si riunifichi la società intorno a valori condivisi.

Ma noi dobbiamo puntare alla condivisione dei valori, alla trasformazione dei sentimenti, attraverso la modifica delle volontà e attraverso la diffusione delle verità fondamentali che abbiamo troppo a lungo dimenticato, spregiato, e che nei nostri appuntamenti continuiamo a disattendere. E allora queste considerazione, che partono in qualche misura dalla grande frase di Platone – “Credo che se la nostra città ha buoni fondamenti debba essere anche assolutamente buona” – dobbiamo ricominciare ad usare dei termini che sono usati dal più grande metafisico di tutti i tempi che è Platone.

Non dobbiamo avere timore di usare i termini “bene” e “male” nella nostra relazione con gli altri, nel rapporto con i nostri figli. Non dobbiamo avere timore se li ha usati Platone, colui che più a fondo è andato nello scoprire la verità delle cose, la natura necessaria della Redenzione di Dio sulla terra.

Nella Repubblica di Platone c’è un passo meraviglioso in cui individua in Socrate il sacrificio profetico, il sacrificio di un uomo che riscatta l’umanità da una colpa, originaria. Ebbene, nel suo maestro Socrate, in qualche misura, Platone vede la figura che ci ha riscattato. E allora, se abbiamo queste consapevolezze dobbiamo trasformare il nostro agire.

Io non voglio scendere nei particolari, anche qua in Toscana dove il potere delle forze di sinistra sembra molto pesante dobbiamo pensare a rinnovare, dobbiamo saper obiettare a coloro che ci mettono in difficoltà dicendo che siamo egoisti, dimostrando concretamente che non lo siamo.

Noi pensiamo di creare delle condizioni diverse per la maggiore pace sociale, eliminando delle incrostazioni che derivano da una ideologia ugualitaria che ha voluto distruggere, attraverso il suo ugualitarismo, le legittime differenze. In una società vi deve essere qualcosa di gratuito, qualcosa di positivo. E la gratuità è la gratuità del bene capace di donarsi e capace di far marciare verso il progresso.

Allora, ho detto qualche cosa, un po’ animatamente, su questo grande tema dei fini della politica. Adesso cedo la parola agli amici, agli ascoltatori per fare le domande e le osservazioni su qualche tema, magari, approfondendo ulteriormente le considerazioni svolte.  

La prima domanda non è udibile nella registrazione. [n.d.r.]

Risposta – … prima di tutto perché nessuno si è mai illuso che le cose possano cambiare in meglio in breve tempo. Siamo in presenza di condizioni storiche di estremo radicamento. Ma poi, secondo aspetto, non bisogna mai illudersi perché siamo consapevoli della nostra fragilità, della nostra debolezza e della nostra piccolezza. Nostra, di ciascuno di noi, anche di loro che sono riusciti a rovesciare il potere delle sinistre. Non è che sia possibile per la persona di maggiore buona volontà e maggior capacità di modificare dall’oggi al domani una situazione storicamente datata. Poi, devo dire la verità, che l’estrema complessità della società contemporanea comporta una serie di vincoli legali a cui nessuno si può sottrarre in breve tempo.

Si tratta di creare delle condizioni migliori, delle condizioni di maggior sopportabilità della vita sociale. Terzo aspetto che merita di essere qui ricordato è che occorre l’apporto di ciascuno per il miglioramento e per il cambiamento, occorre cioè che si formino delle nuove classi dirigenti. […] Grande rispetto per coloro che hanno saputo resistere sul terreno dell’onore per tanti anni, senza potere e senza alcun riconoscimento; però un conto è fare una battaglia di opposizione, un conto è fare una battaglia di carattere propositivo.

Quindi bisogna dotarsi di strumenti nuovi, di strumenti ulteriori, di approfondimenti culturali che precedentemente non si avevano. Se si pretendesse di trasformarsi in uomini di governo da uomini di opposizione, senza studiare, senza faticare, si commetterebbe un errore straordinario. Tanto è vero che vediamo situazioni abnormi, di uomini che pretendono di essere diventati uomini di Stato senza studiare giorno per giorno. Questo vale in sede funzionale ma vale anche in sede locale. E poi non bisogna mai attribuire troppa responsabilità al prepotere degli altri: bisogna saper riconoscere anche le proprie capacità.

In una amministrazione locale del 2002 vi sono dei problemi talmente complessi, talmente gravosi che bisogna occuparsene a tempo pieno, e se qualcuno deve continuare col proprio lavoro quotidiano deve sacrificare le sue serate o le sue nottate. Questi sono aspetti fondamentali che rientrano in quel riconoscimento dei fondamenti e dei valori della politica di cui parlavo precedentemente.

Se noi non ci rendiamo conto che la politica richiede un radicamento su quei valori – in questo caso della temperanza e della fortezza, valori naturali essenziali – vanamente pretenderemmo di cambiare le cose, diventeremmo ancora più arroganti dei nostri avversari, i quali, almeno utilitaristicamente ed economicisticamente, si sono dotati di una serie di strumenti e di mezzi per poter modificare e cambiare le cose. Comunque governare, almeno in tema di potere.

Domanda. Io penso che quello che stasera il professore ci ha detto sfondi una porta aperta per tanti di noi. Chi ha militato a destra in questi anni, probabilmente non l’ha fatto per amministrare, per raggiungere obiettivi materiali, ma l’ha fatto perché credeva in qualcosa. Il problema, però, è che ora abbiamo di fronte a noi l’altro apparato che tuttora è dotato di strumenti di comunicazione e di potere ed è ancora molto ben radicato. Quindi noi, oltre a portare avanti questo discorso di militanza disinteressata, dobbiamo tener conto di questa struttura. Noi rischiamo di combattere questa guerra con le baionette e gli altri con i carri armati. Ecco allora che anche per noi diventa importante porci l’obiettivo di conquistare certi strumenti di lotta. E questo qualcuno lo farà anche per avere il piccolo potere o la “seggiolina”, però certamente, Lei insegna, se nel CSM invece di esserci il 30% del Polo, ce ne fosse il 70%, probabilmente le cose cambierebbero. Ricordiamoci che noi abbiamo vinto le elezioni da un anno ma chi se ne è accorto? In TV, tutti i canali, ad esempio, fino a pochissime settimane fa, erano tutti schierati a sinistra. Quindi ecco, condivido i pieno ciò che diceva il professore, però bisogna attrezzarci per combatterli anche sul piano del potere.

Risposta. Condivido perfettamente, però Lei mi ha fatto un esempio del CSM: devo dire che spesso mancano proprio le capacità di carattere dialettico, di pazienza, ecc. per poter contrastare delle posizioni molto radicate che sono di consuetudine di larghe fette di uomini della cultura della sinistra. Quindi, bisogna in qualche misura attrezzarci culturalmente. Io sono perfettamente d’accordo con lei, però riporto l’attenzione sul profilo dei mezzi e sul profilo dei fini. Ciò vuol dire che bisogna meglio conoscere i fini, cioè non dare per scontato i fini. E un grande difetto è questo: dare per scontato i fini, quindi non conoscerli e non praticarli.

Quando ho parlato, per esempio, di certi aspetti relativi alle virtù naturali ho detto qualcosa che viene accolto da tutti, però poi difficilmente diventa sostanza della nostra concreta vita quotidiana. Perché le acquisizioni morali e pratiche delle virtù richiedono modifiche di comportamento radicali. Se vogliamo trasformare realmente la società dobbiamo prima di tutto trasformare noi stessi: è l’opposto dell’idea del Comunismo. L’idea socialista era questa: attraverso la trasformazione della società verrà trasformato l’uomo. E hanno fatto uno sforzo plurisecolare in questa direzione. E hanno ottenuto e realizzato l’uomo a una dimensione. Adesso per modificare le cose occorre che invertiamo radicalmente la prospettiva: per trasformare la società bisogna trasformare l’uomo.

So che Lei è d’accordo e che io sfondo una porta aperta, però bisogna impararlo nella nostra vita quotidiana – e non lo dico sotto un profilo spirituale o religioso, ma sotto un profilo umano – non realizzeremo nessuna trasformazione positiva della società. Naturalmente questo lavoro va di pari passo con quell’altro che lei ha menzionato. Se noi fossimo sciocchi e pensassimo solo a una dimensione individualistica non penseremmo anche a come trasformare le condizioni sociali, quindi non faremo quella parte. Però quella parte è relativa ai mezzi, agli strumenti.

Adesso facciamo un discorso realistico: vi sono, ad esempio, i mezzi di comunicazione. Se lei mi consente le cose non sono più come dieci anni fa, perché grazie ai soldi di Berlusconi, alcuni mezzi di comunicazione sono stati dislocati diversamente. Però quello che vedo è solo una diversa dislocazione “logistica”, meramente geografica, ma non vedo una trasformazione del modo di fare comunicazione. Per esempio la comunicazione deve essere “veritativa”, non dobbiamo avere una comunicazione in termini di aggressione. Attraverso la comunicazione bisogna trasmettere verità, partecipazione.

Tenga presente, poi, come Lei ben ha messo in evidenza, una certa trasformazione nelle cose è avvenuta grazie al fatto che sono stati dislocati diversamente personaggi che prima erano a sinistra. Prenda per esempio i più grandi giornalisti, uomini di spettacolo che adesso sostengono il centro-destra provengono dalla sinistra. Ad esempio Giuliano Ferrara è molto potente ed efficace, però ha un’educazione di carattere comunicativo che è tutta quanta formata nelle scuole di partito del PCI.

Io ricordo Giuliano Ferrara negli anni ’60 a Torino quando era un dialettico perfetto dalla formazione comunista, perché ha frequentato fin da ragazzo le scuole del PCI. Adesso si è dislocato diversamente, ma la sua forza sta nella grande formazione culturale che aveva acquisito. Allora non dobbiamo spregiare la formazione culturale, perché è essenziale, e deve essere espressa in termini “veritativi”. Giovanni Paolo II, per esempio, richiama molte volte ai doveri dei mezzi di comunicazione che devono comunicare verità, non menzogne o slogan. Con ciò, lei ha ragione per la parte che ha detto, però occorre fare queste cose, ma non dimenticare le altre.

Domanda. Io vorrei che ci facesse qualche esempio […] in particolare sui magistrati, visto lo sciopero dell’altro giorno… è possibile una domanda in questo campo?

Risposta. Io non mi sottraggo alle domande in questo campo. È un tema di cui tanto si parla, ma il cittadino comune è disorientato. La grande premessa che bisogna fare è questa: la nostra società, ma non solo la nostra società, tutto il mondo occidentale ha perso il senso della giustizia, quindi ha perso il senso della giurisdizione.

Una volta, per esempio, trent’anni fa, un avvocato relativamente ad un imputato sapeva in qualche modo quali erano i fronti su cui poteva muoversi. Oggi non è più così, oggi il difensore si trova sempre più in difficoltà a far riconoscere ai propri assistiti i limiti delle pretese. Poi, su questa crisi, si è inserita da molti anni una crisi della Magistratura che, in parte, ha dimenticato il senso del rendere giustizia e pensa, in definitiva, che il suo compito non sia tanto quello di rendere giustizia, quanto assumere una posizione che loro chiamano di “controllo di legalità” che è una posizione di potere dentro la società. Quindi ha trasformato un ruolo di rendita di giustizia ad un ruolo di contropotere all’interno della società.

Questo è un portato tipico della ideologia dei gruppi che vengono da sinistra che ha contagiato molta parte della Magistratura, soprattutto quella inquirente. Su questo aspetto se ne inserisce un altro, cioè che alla guida di questo movimento interno alla Magistratura vi sono alcune correnti di magistrati che ritenevano di aver acquisito un ruolo stabile di potere all’interno della società, diciamo così, “a guida post-comunista”. E questo è un dato politico rilevantissimo: il fatto che ci sia stata una operazione politica volta alla distruzione dei partiti della vecchia Prima Repubblica, per aprire un nuovo spazio a guida della sinistra politica è pacifico.

Queste forze politiche mai avrebbero potuto immaginare che in un sistema liberal-democratico ci sarebbe stato un rovesciamento di situazione. Noi ci troviamo di fronte ad un mondo che credeva ormai di aver assunto le redini politiche della società italiana che si è vista improvvisamente portare via questo potere. Questo ha portato a delle reazioni che sono tipiche di una parte della Magistratura. Tutto ciò, unito a delle situazioni di crisi che vi sono a causa delle debolezze degli uomini, dei governi, delle classi politiche ha portato a questo stato di cose.

Anche qui bisogna avere il coraggio di resistere con pazienza, non perdere il favore popolare con una riforma sociale basata sui nuovi principi di bene comune e libertà comune. Naturalmente ci devono essere gli esperti che in questo campo combattono giorno e notte, ma non bisogna distruggere il valore della giustizia, il valore della giurisdizione che, in una società complessa come la nostra, è fondamentale. Invece, in questo settore, vedo talvolta una certa aggressività di tipo giornalistico che mi pare controproducente.

Domanda. Sono perfettamente d’accordo sulla giustizia e sulla giurisdizione. I magistrati che manifestano in toga nelle piazze contro il Governo, episodi alla Borrelli, magistrati di Pisa che espongono nelle loro stanze foto dei lager nelle quali c’è scritto: “Attenzione! La Destra al potere porta a questo!” mi sembra che siano casi diversi e molto più gravi, e spero che il CSM intervenga anche pesantemente. Sebbene l’opinione dell’uomo comune non è proprio questa penso che il CSM prenda spesso provvedimenti contro cose del genere.

Risposta. Voglio dire che questi sono casi gravi, ma ve ne sono ancora di più gravi, qualitativamente, cioè che, per esempio, molte iniziative giudiziarie concernenti vicende rilevantissime (come il G8, ecc.) sono estremamente problematiche sotto certi punti di vista, bisogna però fare i conti con le istituzioni quali esse siano. E gli esempi che Lei faceva appartengono a quel “terzo livello” di cui parlavamo prima: c’è una fascia di magistrati che fanno parte attiva di un settore della Magistratura politicamente impegnato, però è il terzo aspetto, mentre noi dobbiamo tenere ben presenti prima di tutto gli altri due.

(Trascrizione non rivista dal relatore)