Siamo proprio sicuri di volere questa Onu?

7 gennaio 2005

di Rita Bettaglio

Il giorno di Santo Stefano, mentre la maggior parte di noi stava ancora sonnecchiando, appesantita dalle libagioni natalizie, un terremoto di intensità devastante ha scosso il pianeta: 9° grado della scala Richter, epicentro a 225 chilometri SSE di Aceh, Nord Sumatra. Poco dopo gigantesche onde di tsunami hanno raggiunto, propagandosi alla velocità di 300-500 Km orari, le coste di 12 paesi che si affacciano sul Golfo del Bengala, seminando morte e distruzione. Il bilancio dei morti è in continuo aumento ed ha già abbondantemente superato la cifra di 100mila: migliaia i dispersi e solo Dio sa quante vite umane abbia spazzato l’onda assassina.

Il mondo si è immediatamente mobilitato, in una gara di generosità senza precedenti. Ma un oscuro funzionario, che nessuno ha eletto, tal Jan Egeland, sottosegretario generale delle Nazioni Unite per le Emergenze Umanitarie, si è affrettato a puntare il dito sugli Stati Uniti e, grondando indignazione dinanzi all’iniziale stanziamento americano di 15 milioni di dollari, ha spiccato il folle volo: “Tirchi” – ha detto. Taccagni impenitenti e duri di cuore! Ma dov’era l’illibato Kofi Annan, mentre l’onda si ritirava ed i corpi straziati emergevano dal diluvio?

Il signor Annan, secondo il London Telegraph, stava trascorrendo le vacanze di Natale nella modesta casetta (un ranch di 160 acri) di James Wolfensohn, presidente della Banca Mondiale, nel Wyoming. Forse bloccato da uno tsunami di neve, Annan è arrivato a New York solo giovedì 30 dicembre. Alle richieste di spiegazioni da parte di Jonathan Hunt di Fox News, durante una conferenza stampa newyorchese di giovedì, Kofi si è offeso ed ha risposto che «viviamo in un mondo in cui si può operare da qualunque posto. Non è necessario essere fisicamente presenti per parlare con i capi di stato ed i governi».

Che dire del neo-ministro Fini, che si è barricato per giorni alla Farnesina? Non sapeva che si poteva fare tutto comodamente da Cortina? Se vi sentite scandalizzati per questo, cercate di ricomporvi, perché nel pentolone delle Nazioni Unite bollono scandali ben maggiori. Ricordate il famoso programma Oil for Food? Varato a metà degli anni ’90 dalle Nazioni Unite come programma umanitario per aiutare il popolo iracheno, Oil for Food è stato manipolato per riempire le tasche di Saddam Hussein con la complicità di un numero imprecisato, ma emergente, di funzionari ONU.

Stanno emergendo pesanti prove del fatto che Saddam, oltre ad arricchire il suo personale patrimonio, abbia utilizzato i fondi delle Nazioni Unite per corrompere politici, funzionari e uomini d’affari tra i membri del Consiglio di Sicurezza ONU, come Russia e Francia, allo scopo di far eliminare le sanzioni nei suoi confronti. Ed i funzionari che dovevano sovrintendere all’amministrazione dei fondi? Benon Sevan, l’uomo indicato da Annan come capo del Programma, è accusato, in un rapporto dell’ispettore statunitense Cherles Duelfer, di aver incassato un “buono” per l’equivalente di 13 milioni di barili di petrolio da Saddam Hussein.

Sotto inchiesta anche il figlio di Kofi Annan, Kojo, che lavora per la compagnia svizzera Cotechna: il figlio di papà sarebbe stato incaricato dall’ONU di ispezionare, in territorio iracheno, le merci umanitarie in arrivo. Kojo è ora sotto inchiesta da parte del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti. A Capitol Hill sono in corso non meno di 5 importanti indagini su Oil for Food: stanno investigando la Sottocommissione Investigativa del Senato, presieduta da Coleman, per conto del Congresso ed altre importanti commissioni parlamentari e della Casa Bianca.

Anche l’ONU ha avviato un’indagine in proprio, “indipendente” è stata definita, dal costo di 30 milioni di dollari e guidata da Paul Volcker, ex presidente della Federal Reserve. Annan e Volcker hanno rifiutato di mettere a disposizione del Congresso degli Stati Uniti il materiale raccolto in non meno di 55 audizioni interne sullo scandalo Oil for Food e non permettono ai funzionari ONU di testimoniare davanti al Congresso.

Negli USA sono moltissime le voci, sia politiche che della società civile, che chiedono le dimissioni di Annan e ritengono che gli Stati Uniti debbano fare qualcosa, al limite ritirarsi, da un consesso internazionale che sta dando prova di corruzione, inefficienza e altre, forse peggiori nefandezze. Ultima, in ordine di tempo, è quello che è stato definito da Weekly Standard “The U.N. Sex Scandal”.

Il mese scorso un rapporto riservato delle Nazioni Unite costrinse Kofi Annan ad ammettere che i peacekeepers ONU avevano abusato sessualmente dei rifugiati di guerra nella Repubblica del Congo. 150 casi, parecchi documentati da videotape, di pedofilia, abusi, stupri. Le rivelazioni cadono esattamente 3 anni dopo un analogo rapporto su abusi sessuali sui rifugiati dell’Africa Occidentale: allora venne fuori, era il 2001, che le violenze sessuali erano un fenomeno “endemico”.

Un anno più tardi una coalizione di organizzazioni religiose inviò una lettera al Segretario di Stato Colin Powell, in cui si chiedeva pressantemente agli USA di inviare osservatori in Congo per monitorare il rispetto dei diritti umani di quelle popolazioni. Ma sono almeno 10 anni che si parla di abusi sessuali e comportamenti gravemente illeciti da parte del personale operante sotto l’egida dell’holl ONU in Kossovo, Sierra Leone, Liberia e Guinea.

Jane Holl Lute, assistente del Segretario Generale ONU, in una recente conferenza stampa, ha ammesso che gli abusi e le violenze sessuali nel corso di missioni di pace sono un problema reale e che le contromisure adottate non sono state adeguate. Altro scandalo per le Nazioni Unite viene dalla regione del Bunia, dove ci sono circa 16mila rifugiati: violenze sessuali nei confronti di donne, su cui vennero, inoltre, fatte pressioni perché non denunciassero i fatti.

Secondo l’Economist, nel MONUC (la Missione dell’ONU in Congo) ci sarebbero infiltrazioni di pedofili organizzati. Kofi Annan ha insistito sulla tolleranza zero, ma finora poco è stato fatto e molti soldi sono stati spesi, perché anche le indagini per accertare i crimini hanno costi elevati. Gli Stati Uniti sono il maggior contribuente al mondo dell’ONU, ma da molte parti sorge il malcontento: i maggiori think tank, da American Enterprise, a Heritage, a Cato Institute, ribollono di analisti che chiedono provvedimenti seri. O una reale riforma delle Nazioni Unite (Annan la promette da 6 anni) o l’uscita degli USA dal consesso internazionale che ha dato e continua a dare così eccelsa prova di sè.

Gli attriti sugli aiuti alle popolazioni del Sud Est asiatico mascherano un’unica, triste realtà: il controllo e la gestione dei fondi per le operazioni “umanitarie”. In un comunicato-stampa del 31 dicembre 2004, il direttore regionale per l’Asia orientale di Oxfam, Ashvin Dayal, ha dichiarato: «Il gruppo guidato dagli USA deve rientrare sotto l’ombrello delle Nazioni Unite, per risultare efficace». Chi ha orecchie per intendere intenda.