Pillole di storia afghana

guerra_anglo-afghanaArticolo pubblicato su Tempi n. 41,
12-17 ottobre 2001

Per arginare le incursioni della Russia zarista in Asia Centrale, e così proteggere le proprie colonie indiane (definite il «gioiello della corona»), la Gran Bretagna si muove verso Kabul nel 1839 per poi ritirarsi, due anni dopo, in quello che oggi è il Pakistan.

di Marco Respinti

Per arginare le incursioni della Russia zarista in Asia Centrale, e così proteggere le proprie colonie indiane (definite il «gioiello della corona»), la Gran Bretagna si muove verso Kabul nel 1839 per poi ritirarsi, due anni dopo, in quello che oggi è il Pakistan. Quando i signori della guerra afghani ne ridussero la guarnigione a un solo superstite (morirono 4.500 soldati e 12.000 civili), la guerra divampò, e così fino al 1842. La seconda guerra afghana (1878-1880) si conclude poi con l’insediamento sul trono di Kabul di Amir Abdur Rahman, un uomo voluto da Londra, e con la definizione russo-britannica dei confini di quello che sarebbe divenuto l’Afghanistan moderno.

Nel 1919, Amanullah, il figlio di Rahman sopravvissuto ai torbidi, lancia la Terza guerra anglo-afghana: stremata dal Primo conflitto mondiale (Rahman era rimasto neutrale), in agosto Londra abbandona ogni velleità sul Paese e firma il Trattato di Rawalpindi. Riformatore, Amanullah abolisce il chador e apre scuole miste, suscitando però il risentimento di molti capi tribali. Dopo la sua abdicazione nel gennaio del 1929, Kabul cade in mano ai tajiki. Molti i passaggi di mano prima dell’ascesa al trono, nel 1933, di Zahir Shah, re poi per quarant’anni.

Questi, coadiuvato dal primo ministro Shah Mahmud, indice elezioni e concede la libertà di stampa, aumentando le relazioni estere del Paese. Nel 1953, un colpo di Stato porta al potere il generale Mohammad Daud Khan, che si appoggia economicamente e militarmente all’Unione Sovietica, ma che pure si mostra neutrale durante la Guerra fredda. Leader fino al 1963 (si dimitte per dispute di confine con il Pakistan), abolisce la purdah, la pratica di sottrarre le donne alla vista.

Con la nuova Costituzione del 1964, l’Assemblea nazionale afghana decide dunque per il sistema bicamerale. Ma le elezioni del 1965 e del 1969 rivelano la crescita sia dei fondamentalisti islamici, sia del Partito Democratico del Popolo Afghano (Pdpa), comunista.

Il 17 luglio 1973, l’ex primo ministro Daud Khan mette fine all’instabilità del Paese con un golpe appoggiato dalla sinistra militare. Nel 1978 un nuovo colpo di Stato causa la morte di Daud e la vittoria dei comunisti: Muhammad Taraki, leader del Pdpa, diviene primo ministro. Firmato in dicembre un trattato bilaterale con Mosca, a Kabul giungono aiuti sovietici come un fiume in piena. La nuova ventata riformista suscita però ulteriori reazioni negative da parte della popolazione islamica.

Nel 1979, Hafizullah Amin, concorrente di sinistra di Taraki, prende il potere. Le rivolte popolari si moltiplicano, Amin rifiuta i consigli di Mosca che gl’intima di consolidare il proprio potere nella provincia e così, il 24 dicembre, truppe aviotrasportate sovietiche atterrano a Kabul con la scusa di un’esercitazione. Due giorni dopo uccidono Amin e insediano Babrak Karmal (il 4 maggio 1986 verrà sostituito da Mohamamd Najibullah, ex capo della polizia segreta). L’invasione sovietica in grande stile giunge da nord il 27 dicembre.

I 120.000 uomini impiegati da Mosca in Afghanistan non riescono però ad avere ragione dei mujhaddin, che, assistiti da Stati Uniti, Gran Bretagna, Pakistan, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, finiscono per scacciare l’invasore. Gli Accordi di Ginevra del 1988 sanciscono infine il totale ritiro sovietico a partire dal 15 febbraio 1989. I mujhaddin vengono, però, esclusi dal tavolo delle trattative e così il potere a Kabul resta vacante, mentre la spaccatura fra gli ex compagni di lotta s’inasprisce.

Il 30 dicembre 1992 nasce la Repubblica islamica afghana e Burhanuddin Rabbani ne diviene presidente, senza riuscire a sanare le gravi divisioni del Paese. Il 17 giugno 1993, Gulbuddin Hekmatyar, leader dell’”Hezb-i-Islami” (il gruppo ribelle preferito dalla Cia), viene proclamato primo ministro da una delle varie fazioni in lotta. Vigente una costituzione ad interim, sono indette le elezioni per il 1994. Il 19 settembre, dalla provincia meridionale del Kandahar emerge la fazione dei talebani, ex profughi in Pakistan. L’esercito di Hekmatyar, riconciliatosi con Rabbani e così divenuto ufficialmente primo ministro, viene decimato.

Dopo due anni di scontri, il 27 settembre 1996 i talebani conquistano Kabul esautorando il governo. Catturato Najibullah dall’edificio dell’Onu dove era rifugiato, lo torturano a morte e ne appendono il corpo sanguinante all’esterno del palazzo presidenziale. Il capo dell’esercito di Rabbani, lo sciita Ahmad Shah Massoud, guida le milizie antitalebane raggruppate nell’Alleanza del Nord.

Il 25 marzo 1997, dopo i colpi inferti alle truppe dell’uzbeko Rashid Dostum (ex comandante con Najibullah e grande rivale dei talebani), i talebani prendono Mazar-i-Sharif, ma tre giorni dopo sono costretti alla prima ritirata della loro storia. Ripresa la città in agosto, compiono il peggior massacro di civili di tutta questa guerra. Oramai ai talebani, che controllano il 90% del territorio, si oppone solo Massud, che però muore il 14 settembre 2001 per i postumi di un attentato.

Dopo essere transitato per il Sudan del macellaio Omar el Bechir ed essere stato ripudiato dal suo Paese natale, il miliardario saudita Osama bin Laden si stabilisce in Afghanistan, protetto dagli studenti di teologia delle madrasse pakistane. Per quale motivo lo si è capito l’11 settembre.