E alla fine spuntò Occhetto

Achille OcchettoArticolo pubblicato su L’Italia Settimanale

di Francesco D. Caridi

Achille compirà nel mese di marzo, all’inizio della Quaresima, cinquantotto anni. Non ha mai lavorato. Ha fatto soltanto politica, cioè il secondo mestiere più antico del mondo , dopo il meretricio, ma più degradato di questo benché similare.

A Torino è nato, e gli è rimasto il birignao. A Milano ha studiato al liceo classico e alla facoltà di Filosofia dell’Università statale, e per questo si atteggia a pensatore. nel 1953 si è iscritto al Pci, cominciando a dirigere l’organizzazione degli Studenti Medi della Fgci, per finire nell’88 segretario nazionale del Partito.

Eletto dopo l’infarto a Natta eletto dopo l’ictus a Berlinguer eletto dopo l’apoplessia a Longo eletto dopo la trombosi a Togliatti. le occhiaie di Occhetto non promettono nulla di buono, e già preme il linfatico D’Alema. Auguri. Quarant’anni sul marciapiede comunista. Eppure Achille figlio di Adolfo si presenta ancora all’opinione pubblica come il Nuovissimo che avanza. Fa finta di credergli soltanto Eugenio Scalari. Dio ce ne scampi e liberi.

Occhetto ha avuto la mangiatoia bassa. Dunque non ha faticato per vivere. L’anno scorso, per fugare turpi sospetti di provvigioni illecite, si è dichiarato tanto povero da dover chiedere un mutuo per comprarsi una casa. Altrimenti non sapeva dove sbatter la testa e altro, lui con l’Aureliana Alberici, sua terza moglie e parlamentare. Due stipendi a carico dell’erario. Una famiglia sulle spalle degli italiani.

Il rapporto con la casa e con il sesso è stato sovente problematico per i vecchi dirigenti comunisti, di solito maschilisti e poligami. Palmiro Togliatti non poteva certo portarsi la giovane amante Leonilde Iotti ex timorata Figlia di Maria nell’appartamento requisito da Nenni a Federzoni in Via Principessa Clotilde al centro di Roma, dove c’era sua moglie, la rude ex partigiana Rita Montagnana, con il figlio malato di schizofrenia per colpa dell’illustre genitore.

Perciò a Botteghe Oscure s’aggiustò in soffitta, a copulare di nascosto dei compagni, che allora erano puritani e scacciavano la Iotti, ad eccezione di Emanuele Macaluso. Altro maschiaccio questo siciliano, lesto a sedurre le mogli altrui, come la signora inglese separata da Pirri Ardizzone. Amatore dell’usato. Ma sembra che non abbia disdegnato carne più fresca, come si è appreso da schedature del Sisde. Con quei connotati, come ha fatto? Confidò Li Causi a Riccardo Lombardi nel ’60: «Macaluso ha la faccia e il modo di fare dei questurini: ogni volta che lo incontro, trasalisco, perché mi ricorda il brigadiere di Ps che mi arrestò nel ‘28».

Achille ha superato Palmiro, quanto a infedeltà. Prima si è coniugato con Nina Raselli, poi ha preso una lunga sbandata per l’africana Kadigia Bove, producendo due figli, infine si è ritrovato sulla spiaggia di Caparbio tra i denti della detta Aureliana. Presumo che alle abbandonate abbia lasciato un tetto sicuro e pagato gli alimenti.

Diversamente, forse, quelle si sarebbero comportate come la moglie dell’avvocato milanese Mario Chiesa. Trascinando in tribunale lui e i suoi affari di partito. Riconosciamolo: ha avuto più stile. Nel passato ha avuto qualche noia abitativa. Con suo padre aveva affittato da un benestante romano un appartamento nei pressi del Pantheon, intestando il contratto ad una società di distribuzione libraria (un genere commerciale gradito alla sorella di Achille, capitata con la coda di cavallo nelle cronache di Mani Pulite per una tentata truffa all’Utet sanata con i soldi sporchi della Germania comunista).

Morto il proprietario l’appartamento fu ereditato dall’Ordine dei Cavalieri di Malta, che sfrattò gli Occhetto. Ma questi erano irremovibili. Per sbatterli fuori, l’avvocato dei cavalieri, Jannone, chiamò la forza pubblica. Occhetto umiliato gli sibilò: «Gliela farò pagare». Tanto per dire.

Achille nel ’56, anno della repressione sovietica in Ungheria, faceva il rinnovatore con Armando Cossutta e Rossana Rossanda . A guardare bene l’album di famiglia, con loro c’era pure il futuro terrorista Toni Negri, che andò a Mosca con Cossutta a prendere ordini per la sovversione, mentre Ugo Pecchioli cominciava la specializzazione in spionaggio antinazionale.

Achille gioca a tutto campo, secondo la tattica leninista. S’infiltra nell’Unione Goliardica italiana, dove si facevano le ossa marco Pannella, Bettino Craxi e Giorgio La Malfa. Compagnia in pianta stabile. Tiene un piede nell’Ugi, diventando vicepresidente, un piede nella Fgci e la zazzera rivolta alla segreteria nazionale del Pci, dove entra nel ’60. nel ’61 è nominato direttore del giornale della Fgci.

La scalata prosegue, finop alla direzione nazionale del partito, e da lì non si schioda più. Ai funerali di Togliatti, nell’agosto ’64, si consacra tessendo le lodi del morto con Luigi Longo, Leonid Breznev e Dolores Ibarruri. Come dire: la summa del più vetusto comunismo europeo.

Achille viene forgiato nell’Internazionale comunista. Gian Carlo Paletta se lo porta in Vietnam nel ’65 ad incontrare in un seminario ideologico i sanguinari Ho Ci Min e generale Giap. Si accredita poi a Mosca e a Pechino. Dopo questo rodaggio, nel ’66 s’insedia nell’ufficio di segreteria del partito e dirige la sezione stampa e propaganda. Andate a vedere i parti ideologici della sua gestione, e capirete l’uomo .

Nel ’69, in un momento di svolta della politica italiana, Occhetto viene spedito a dirigere il Pci in Sicilia. Ci starà fino al ’77, ponendo le basi per il compromesso tra i comunisti e i democristiani sostenuti dalla mafia. Una storia tutta da riscrivere. Quando, nell’estate dell’89, Achille segretario nazionale ordina ai dirigenti comunisti siciliani di rompere i patti stipulati con la Dc, uno della vecchia guardia del Pci, Michelangelo Russo, uomo di Macaluso, accusato di aver stretto alleanze con il sistema politico-mafioso, gli risponde pubblicamente: «Non accetto né prediche né rampogne da chi ha diretto il partito in Sicilia proprio nel periodo più caldo del consociativismo, con risultati a dir poco deludenti».

Occhetto, infatti, aveva fatto accordi con Rosario Nicoletti, che frequentava assiduamente anche fuori dalle occasioni politiche, per godere del fascino della moglie del democristiano, che ricambiava la galanteria.

In una trasmissione televisiva del gennaio ’90, Occhettto rimpiangerà quell’esperienza: «Avevo creato veramente una specie dio pace in Sicilia con il patto di unità autonomista. Tra l’altro avevo messo da canto Ciancimino e gli uomini legati alla mafia». Invece Ciancimino dirà ai magistrati di Palermo: «Nel periodo della politica di solidarietà nazionale, avviata nel 1976, partecipai agli incontri con gli esponenti del Pci, tra i quali Luigi Colajanni, data la collaborazione tra i rispettivi partiti».

Richiamato a Roma, Achille aspetta il suo turno. Dirige, prepara, tresca. Il destino gli da una mano. Leva il disturbo Berlinguer. In seguito, all’infartuato Natta che vorrebbe resistere ancora un po’ sulla plancia di comando, impongono la via dell’esilio in Liguria. Meglio che crepare di amarezze e di tradimenti. Infatti, via dalla presenza di Occhetto, si riprende subito, e ricomincia a parlare in latino.

Il furbo Achille capisce al volo il significato della politica di Gorbaciov. Ma prima di fare la grande svolta trasformista, vuole rassicurarsi. Va a chiedere lumi al Cremino, dove Michail gli dice senza tante perifrasi: si chiude bottega, soldi non ci sono più, l’Urss sta per morire e anche il Pci non ha più senso.

Achille rientra immediatamente a Roma e vara l’operazione Quercia, mentre si fanno gli ultimi conti dei finanziamenti sovietici e a Botteghe Oscure girano agenti disperati del Pcus, per riciclare il malloppo con l’aiuto di qualche compagno fidato. Ne sa di più il senatore Cossiga, e sarebbe il caso che ce lo raccontasse in prima visione.

Epilogo. Achille figlio di Asdolfo adesso vorrebbe fare ilo presidente del Consiglio, per completare la versione italiana del disegno strategico marx-leninista, unica nel suo genere in Europa. E’ disposto, oggi come ieri, a impegnare le sue mutande, per realizzare il suo sogno di potere e di gloria. Ma gli andrà male, lo si capisce dalle sue occhiaie e dai baffetti di D’Alema.

Alla zazzera di Occhetto dedichiamo un vecchio monito di Breznev: «Sacrificando principi per ottenere dei vantaggi tecnici, si rischia di conservare i capelli ma di perdere la testa. E probabilmente per questo, Lenin era calvo».