L’altra America di Russel Kirk

Russel kirk

Russel Kirk

Charta Minuta n°6 – Aprile 1998 (http://www.chartaminuta.it/)

Alfredo Mantovano

America. Si provi a pronunciare questo sostantivo e poi, come si usa in certi giochi di società, a chiudere gli occhi e a farsi venire in mente le parole a cui viene associato… Coca-Cola, Brooklyn, Manhattan, grattacieli, Las Vegas. E’ una certa idea dell’America, frutto dei luoghi comuni e dei condizionamenti dei mass media; è la patria del consumismo; è la fonte delle suggestioni di costume che più hanno inciso sulle giovani generazioni europee: dal rock’n roll agli hippies, dalla contestazione dei campus universitari alla teorizzazione del consumo di droghe; un mondo nel quale la tecnica e il denaro hanno sostituito i principi e l’ordine; un mondo edonistico e antiumano, in cui la vita, la famiglia, la solidarietà suonano arcaici e superati; un mondo che anche nei luoghi nei quali dovrebbe affermarsi il diritto (per esempio, le corti di giustizia) diventa la scena dove vince il più forte e il più ricco, ma non la giustizia.

Russel Kirk, la sua vita, la sua opera, sono la dimostrazione più chiara che esiste un’altra America: un’America per la quale la libertà è strettamente connessa con la verità; un’America amante dell’ordine, non in senso poliziesco, ma come stile di vita, come insieme di credenze e di consuetudini sulle quali si inseriscono le buone leggi; un’America aperta all’altro, soprattutto se perseguitato e sofferente, se si pensa alla quantità di immigrati accolti (Kirk è stato un esempio di vita anche in questa direzione: nella sua tenuta del Michigan ha ospitato decine e decine di profughi); un’America non relativista, ma ancorata ai principi; un’America piena di coraggio e di fermezza, pronta a correre in Corea o in Vietnam per affermare valori di libertà, al di là delle scelte doppie o strumentali dei vertici.

Se non ci si rende conto che esiste anche quest’America non si comprende come mai e da dove nel 1980, dopo il fallimentare quadriennio “liberal” di Jimmi Carter, spunta fuori un presidente degli States come Ronald Reagan (del quale non a caso Kirk diventa consigliere); o come mai un presidente molto spostato a sinistra all’inizio del suo mandato, come Clinton, in seguito è costretto ad assumere posizioni sensibilmente più moderate.

Un’America per la quale la tradizione è un elemento fondante: “Sulla superficie increspata del profondo pozzo del passato – scrive Kirk – vi è un’evanescente pellicola che chiamiamo presente, la quale si sta dissolvendo e sta sprofondando proprio mentre leggiamo queste frasi; nel frattempo il futuro, benché divertente come soggetto di congetture, rimane del tutto inconoscibile. Ignorando il passato, galleggiamo disorientati sulla superficie del pozzo per qualche momento e poi sprofondiamo nell’oblio”.

Un’America che non vuole ignorare la storia, nonostante la non brillante qualità dei suoi corsi scolastici (studiano la storia degli Usa soltanto gli iscritti alla facoltà universitaria di storia); un’America consapevole della frequente necessità di quel tipo di consultazione che Chesterton chiama “democrazia dei defunti”: che coincide col sistema culturale, prima ancora che politico, in base al quale, accanto ai pareri dei contemporanei, contano anche i giudizi degli uomini che ci hanno preceduto nel tempo; un’America che tiene alle proprie radici, dal momento che sa che per un albero sono importanti il tronco e i rami, ma senza radici è morto, e gli alberi morti non offrono riparo a nessuno.

Dunque, un’America conservatrice, nel senso migliore e più autentico del termine; un’America il cui pensiero in questo secolo conosce interpreti autorevolissimi – da Ezra Pound a T.S. Eliot, fino a Russel Kirk – ma che ha le sue radici in secoli di civiltà occidentale e cristiana. E Kirk invita a un pellegrinaggio alla ricerca delle radici dell’ordine americano che si articola nella visita ideale di quattro città: Gerusalemme, Atene, Roma, Londra. Ciascuna di esse ha influenzato la costituzione e la crescita degli Usa, e gli Usa non possono comprendersi adeguatamente senza di loro.

Da Gerusalemme l’America conservatrice mutua la percezione di un’esistenza morale non lasciata al caso, dotata di significato e soggetta a Dio. I credi del mondo antico coevi al regno d’Israele oggi sono polvere e cenere, ma il Decalogo di Mosè e la premessa del Decalogo (“Io sono il Signore Dio tuo”, che descrive la subordinazione dell’uomo a Dio) restano energia viva e sorgente di ordine. “Questo – è sempre Kirk che scrive – è il grande contributo d’Israele all’ordine sociale moderno: l’aver compreso che ogni legge autentica proviene da Dio, e che Dio è la fonte dell’ordine e della giustizia”.

Da Atene deriva l’autocoscienza filosofica e politica. I Greci erano perennemente litigiosi e incapaci di concepire la libertà se non con riferimento alla polis, ma non ai singoli che della polis facevano parte; eppure gli stessi Greci sono stati ricchi di insegnamenti e di influenze per la costituzione degli Usa: a Solone, più che a Platone o ad Aristotele, si deve la realizzazione di un sistema di pesi e di contrappesi per riequilibrare la costituzione ateniese, per evitare la tirannia e per realizzare l’eunomia, e cioè l’ordine virtuoso.

Fra la Repubblica di Roma e la Repubblica americana vi è una continuità ininterrotta, determinata dallo straordinario lasciato giuridico, posto a tutela dagli arbitrii del potere: un lascito che ha portato alla formazione del common law, e che pone al vertice delle fonti interpretative l’equità, rispetto alla quale sono subordinati il diritto consuetudinario e il diritto positivo.

Da Gerusalemme, e poi da Roma, si diffonde nel mondo il genio del Cristianesimo, annunciato in qualche modo dall’una e dall’altra: atteso non soltanto esplicitamente dalle profezie dell’Antico Testamento, ma dalla cultura antica nel suo insieme, e in particolare da quella latina: “Nel 713 dalla fondazione di Roma – sono sempre parole di Kirk -, quarant’anni prima della nascita di Gesù di Nazareth, Virgilio scrisse la Quarta Egloga. Il poeta proclamava che l’ultima età del mondo era alle porte e che un nuovo ciclo di generazioni sarebbe iniziato. (…) Dal cielo sarebbe discesa una schiatta di uomini migliori, giacché sarebbe nato un fanciullo che avrebbe cancellato l’Età del ferro e restaurato l’Età dell’oro”.

Volendo sottolineare ancora di più l’esistenza di una continuità, Kirk ricorda che Edward Gibbon, uno dei più importanti autori del “conservative mind”, fortemente critico della Rivoluzione francese, aveva concepito l’idea di scrivere la sua colossale opera storica sulla decadenza dell’Impero romano nel 1764, “seduto fra le rovine del Campidoglio, mentre dei frati scalzi cantavano i vespri nel tempio di Giove”, di fronte a quella chiesa di S. Maria in Aracoeli che custodisce ancora oggi i resti dell’altare eretto da Augusto per celebrare il dio sconosciuto destinato a nascere durante il suo regno.

Infine, Londra. Londra è il simbolo di una eredità spesso negata, ma sostanzialmente esistente e viva, che ha esercitato la maggiore influenza sulla fondazione degli Usa: il cosidetto Medioevo. Scrive Kirk: “Conoscere l’Inghilterra e la Scozia medievali è essenziale per comprendere l’ordine americano. Durante i nove secoli trascorsi fra l’arrivo di Sant’Agostino di Canterbury e il trionfo del Rinascimento e della Riforma, all’inizio del XVI secolo, in Britannia si svilupparono il sistema generale del diritto che abbiamo ereditato, gli elementi essenziali del governo rappresentativo, la stessa lingua che parliamo e la grandiosa letteratura antica, i modelli sociali che ancora influenzano la società americana, l’industria e il commercio rudimentali che costituirono la base delle nostre moderne economie, le scuole e le università emulate in America, le architetture gotiche normanna e inglese, che sono parte della nostra eredità materiale, e l’idea di gentiluomo che è ancora possibile riconoscere nella democrazia americana”.

Queste sono le radici dell’ordine americano. Ma rappresentano al tempo stesso i fondamenti conservatori dell’ordine politico; contro queste radici combattono gli sradicati di ogni epoca e a vario titolo: gli sradicati da un punto di vista materiale, perché trapiantati nelle città dalle comunità d’origine, e gli sradicati ideologici, privi di responsabilità e di principi. Per questo l’alternativa culturale e di modelli di vita non è tra un’America aperta al progresso o, a seconda delle prospettive, proiettata verso sponde liberal, e un’Europa retriva, o ancorata alla tradizione, ma tra due orientamenti di fondo, che consistono in due modi alternativi di intendere l’uomo e la storia, e che attraversano in egual modo, ciascuno per la sua, l’Europa e l’America.

Vi è un filone in senso lato utilitaristico, che conosce le varianti dell’utilitarismo collettivistico degli Stati totalitari, dell’utilitarismo maggioritario della felicità dei più, influenzato da Bentham, e dell’utilitarismo libertario della maggiore felicità propria, che fonda il radicalismo contemporaneo: un filone il cui riscontro sul piano giuridico e legislativo è riassumibile negli assiomi di Kelsen, per il quale le norme giuridiche valgono non in forza del loro contenuto, ma in quanto prodotte seguendo una regola predeterminata.

Vi è, al contrario, il filone della ragionevolezza, del buon senso, del diritto naturale, in base al quale i dati essenziali della vita dell’uomo si ricavano dall’osservazione della natura. E da essa si ricavano pure, come Kirk spiega magistralmente, i dati fondamentali di quell’ordine che è il presupposto del diritto.

Questo filone culturale, al quale Kirk ha fornito un contributo di chiarezza fondamentale, può costituire, per il suo radicamento non soltanto nel pensiero e nella breve tradizione americana, ma per il suo radicamento nella nostra cultura di occidentali, di europei e di italiani, la piattaforma di principio di una corretta azione politica; può rappresentarlo sia perché descrive nel modo più adeguato la realtà, sia perché viene incontro a quella esigenza di buon senso e di ragionevolezza che ha giustificato i consensi ricevuti dal Polo per le libertà.

La lezione culturale, ma anche politica, di Kirk, e con lui dell’intero “conservative mind”, è anche e soprattutto un appello all’umiltà, che deriva dalla adesione alla realtà e dal rispetto della volontà di coloro dai quali si è ricevuto la preferenza. Più propriamente, l’umiltà è figlia del ritorno al reale: “La sola saggezza che possiamo sperare di ottenere – scrive T. S. Eliot in un verso dei “Quattro quartetti” – è la saggezza dell’umiltà”.

La capacità di dare seguito concreto a questi insegnamenti consente di onorare la memoria di maestri come Kirk, Gibbon, Burke, Eliot, ma anche di fare del bene al corpo sociale e – pensando a talune critiche ricorrenti nei confronti dello schieramento italiano di centrodestra – di rendersi socialmente meno impresentabili.