‘I comunisti responsabili di un saccheggio materiale e morale’

Cuba_AvanaIl Corriere della Sera, 30 gennaio 2005

Requisitoria Il leader dei dissidenti Oswaldo Payà:“L’Avana è più corrotta per colpa di Castro”

Oswaldo  Payà

Una volta ebbi occasione di chiedere ad un amico cileno in visita da noi: cosa te ne pare dell’Avana? Mi rispose che è una città eccezionale, una grande città ma che dava l’impressione di essere stata abbandonata quarant’anni fa da tutti i suoi abitanti e, ritornando improvvisamente, di averla trovata in rovina, come paralizzata nel tempo.

Il mio amico cileno non era un turista. Per questo motivo si era inoltrato qualche metro più in là dei palazzi oggi riservati agli stranieri e aveva visto l’interno delle cittadelle malamente tenute in piedi da impalcature di fortuna, dove si ammucchiano migliaia e migliaia di abitanti di questa città che sentono il puzzo di urina che circola per le strade. Vedono la loro città, quella dei cubani, trasformata in un enorme quartiere periferico e degradato, in tutti i sensi. In questo anniversario della fondazione della nostra città, in qualità di cittadino dell’Avana, voglio far sentire la mia voce in difesa della mia città saccheggiata.

L’Avana è stata fondata con una messa

Tanto basta per ricordare le radici cristiane di questa città e della nazione cubana che accanto al saccheggio in senso fisico, materiale, ha subito, fin dall’inizio, il saccheggio culturale e il saccheggio spirituale dei suoi abitanti. Ha subito un processo di decristianizzazione forzata, l’annichilimento di tutte le sue istituzioni, la profanazione di molti dei suoi templi, trasformati in saloni dell’ingiuria e pascoli della menzogna dalle persecuzioni e dall’apostasia.

Si deve riconoscere il saccheggio spirituale se vogliamo capire perché all’Avana c’è più prostituzione di quanta ce ne sia mai stata prima. È un oltraggio il fatto che molti turisti, ma anche molti poliziotti, trattino le donne cubane come se fossero prostitute fino a prova contraria. Quest’oltraggio è possibile e tollerato perché i cittadini dell’Avana e i cubani hanno perso i diritti civili nel loro stesso Paese.

È questa la ragione per la quale i neocoloni si divertono e fanno affari facendo uso di manodopera “in affitto”, perché sanno che lo Stato di Cuba non riconosce alcun diritto ai suoi cittadini. Così alcuni, che provengono quasi sempre da Paesi dove da lungo tempo vengono proclamati i diritti civili e si fanno leggi in difesa degli stessi, godono del morboso piacere di sentirsi superiori e adulati.

Il cartello invisibile

Non vi sono mai stati in questa città più quartieri periferici, contando quelli che lo sono diventati e che non lo erano, come la stessa Avana vecchia.

Non c’è mai stata tanta delinquenza, corruzione, povertà e più disparità sociale. Non era mai successo che un cittadino dell’Avana venisse discriminato nella sua stessa città, né un cubano all’Avana o a Cuba, per il solo fatto di essere cubano. Nel centro storico campeggia un cartello invisibile che recita: “Cittadino dell’Avana, questa Avana non è per te. È stata prostituita e svenduta al piacere straniero e tu fai solo parte dello sfondo. E se sei nero, o vesti poveramente, sappi che a qualunque angolo di strada un poliziotto potrà chiederti i documenti e il tuo denaro non vale niente, accontentati di guardare gli esseri che per decreto dispotico adesso sono superiori”.

Queste pratiche umilianti, supportate con la forza da agenti in divisa da fascista (o da stalinista, che è lo stesso), ricordano che il dispotismo trasformato in bava, per disertare una storia ora sotto sequestro, non manca tuttavia di artigli per la repressione.

Esiste un’amara barzelletta popolare in cui si chiede ad un bambino cubano: “Cosa vuoi fare da grande: il medico il pilota, l’avvocato, il pompiere…?” e il bambino risponde: “Io voglio fare lo straniero”.

I demagoghi si strapperanno le vesti, ma tutti sanno che è vero: molti hanno perso l’autostima e vi è grande disorientamento dovuto ad anni di umiliazioni, discriminazione, violazione dei diritti individuali, e sopra tutto la corona di spine costituita dai privilegi di cui godono gli stranieri nel nostro Paese.

I cubani di altre province sono limitati da leggi create allo scopo di proibire loro di vivere nella capitale del loro stesso Paese. Invece di disprezzare i nostri fratelli delle altre province, il governo dovrebbe realizzare le aperture necessarie affinché tanta povertà, miseria e mancanza di prospettive non obblighi tanti cubani ad emigrare all’Avana, per continuare ad essere poveri. La soluzione non è quella di occupare l’Avana con poliziotti o truppe esterne, seminando così tensioni e diffidenza tra i cubani, dato che siamo tutti parte di uno stesso popolo.

Una città da rivendicare

Sappiate che è esistita una Avana dove si pubblicavano più di dieci quotidiani, dove andavano in onda molte emittenti radiofoniche, con un grande sistema di trasporti e dove almeno i poveri avevano un po’ di soldi che si potevano spendere e che avevano un valore. Una Avana dove gli orientali e i cubani delle altre regioni non sono mai stati disprezzati.

Di questa città, ora dicono che era quanto c’era di peggio, e insistono aggiungendo che era infestata dalle prostitute. È per questa ragione che tutti noi cubani dobbiamo protestare, perché la maggioranza di noi non ha quell’origine, e chi voglia invece rivendicarla per sé, faccia pure. È il momento di rivendicare la rettitudine e l’educazione dei nostri genitori. Questa era una città in cui venivano rispettati le donne, gli anziani, gli insegnanti e i cittadini, anche nel pieno della dittatura precedente.

È il momento di ricordare che la gran parte della città, anche quella che adesso è in rovina, esisteva già nel 1959. Come è naturale, vi erano le zone in cui abitavano i ricchi di allora, e un’area immensa dove viveva quella che veniva definita la classe media. Tutto ciò prima che il socialismo realizzasse un regime di uguaglianza in cui i quartieri ricchi diventarono le zone congelate oggi ufficialmente definite, in cui i morigerati dirigenti abitano in quelle che una volta erano le residenze dei ricchi e in altre, nuove, costruite appositamente. È l’uguaglianza più disuguale che si possa concepire, mentre ogni sabato dalle tribune alcuni dei ricchi gridano ai poveri “socialismo o morte”.

Socialismo o morte

Si, perché all’Avana c’era grande vitalità, migliaia di piccole imprese di persone oneste e lavoratrici, famiglie intere che con abnegazione, per decenni, aprirono ristoranti, negozi, officine di tutti i tipi, piccole fabbriche, tipografie, caffetterie, lustrascarpe e tutti i servizi e prodotti che potevano essere creati. Tutto è stato distrutto, ucciso dalla cosiddetta “offensiva rivoluzionaria” che trasformò l’Avana e Cuba in una zona postbellica. Eliminarono ogni traccia di libertà economica. Ciò condusse Cuba verso la miseria, l’angoscia e le carenze di cui soffrono oggi le maggioranze povere. Tutto in nome del socialismo e della metropoli sovietica. Così hanno prosciugato l’Avana.

Rubarono il frutto del lavoro di centinaia di migliaia di famiglie, chiusero i loro esercizi per trasformarli in rovine, trattarono i loro proprietari con odio e scherno umilianti, e li definivano sadicamente “siquitrillados”. Distrussero la vita di migliaia e migliaia di famiglie. Fra queste, quella di moltissimi immigrati che si erano già fusi con il popolo cubano. Ebrei, arabi, cinesi e, soprattutto, spagnoli. Questi ultimi vennero trattati con particolare disprezzo mentre li spogliavano di quello che avevano costruito con il loro sudore, partendo dal nulla.

E tutto questo, a che scopo? Perché adesso alcuni funzionari politici si trasformino in dirigenti e imprenditori capitalisti, per sbattere in faccia ai cubani l’esistenza di imprese estere e fiorisca il capitalismo degli stranieri e di quelli che detengono il potere. Dietro il partito unico nascono quindi capitalisti unici. Ciò che stanno facendo è quello che l’autore peruviano ( José Carlos Mariátegui, ndr ) chiamò La Grande Truffa. Tutto per dire alla fine ai cubani: capitalismo sì, ma non per te. Per te: “socialismo o morte”.

Mentre i cittadini dell’Avana sono ammutoliti per la paura, altri vengono da lontano per bersi un mojito e dire loro: “come siete simpatici, come è allegra la vostra musica e come sono carine le ragazze”.

Coloro che entrano nella cattedrale, che è la chiesa di una comunità viva e vitale e non un museo, per celebrare il nostro anniversario come città, vedranno San Cristoforo con il Bambino Gesù sulle spalle; ricordino allora che là, davanti alla città, le orde della repressione affondarono il rimorchiatore “13 marzo”, annegando senza pietà più di venti bambini, che ancor oggi reclamano giustizia, ogni giorno, davanti all’Avana carnevalesca.

Dalla collina della baia, quasi accanto ai bastioni della “Fortaleza de la Cabaña”, in cui sono murati così tanti cuori di fucilati crivellati dalle pallottole, il Cristo osserva sempre vigile, quel Cristo che tanti cittadini dell’Avana hanno ancora paura di guardare, e di parlargli faccia a faccia. Forse hanno ancora paura di invitarlo nella loro città. Quando si saranno decisi, l’Avana sarà libera, e anche Cuba.

(Traduzione di Alicia Croce Ortega/ Oxford Group)