Il Partito radicale in Italia, appunti per una storia

radicali2Il Corriere del Sud n.7 16 luglio 2012

Omar Ebrahime

Se la Rivoluzione francese che scoppia nel 1789 è unanimemente considerata dagli storici all’origine delle scuole politiche della modernità ­ in primis, per avere teorizzato e direttamente promosso la nascita di quelli che saranno i futuri partiti di massa e delle relative ideologie che segneranno la vita del Vecchio Continente per due secoli, fino alla caduta del Muro di Berlino (1989) ­ una data ugualmente significativa per le immediate ricadute sociali sulla vita della Nazione italiana è forse da ricercarsi nel febbraio 1956, quando cioè a Roma fu costituito il Partito Radicale dei Liberali e Democratici Italiani (PRLDI).

Il neo­partito, nato dopo una scissione “da sinistra” del Partito Liberale Italiano (PLI) consumatasi negli anni della segreteria di Giovanni Malagodi (1904-­1991), si richiamava però a radici molto più antiche. I suoi primi ispiratori ideali, come Agostino Bertani (1812­1886) e Felice Cavallotti (1842­1898), erano stati infatti leader di quella cd. “Sinistra storica” che aveva contribuito in modo determinante al processo di unificazione politica della Penisola passato poi alla storia come “Risorgimento”.

Era anzitutto alla loro concezione ideologica del liberalismo che i fuoriusciti del PLI (tra cui Bruno Villabruna [1884­-1971], Nicolò Carandini [1895-­1972], Mario Pannunzio [1910­-1968], Leopoldo Piccardi [1899-­1974] e Leo Valiani [1909-­1999]) ora si richiamavano per fare avanzare energicamente sulla via delle “riforme democratiche” l’Italia post-­fascista del secondo dopoguerra.

Molti dei primi esponenti del PRLDI provenivano d’altronde da quel Partito d’Azione (1942­1947) che traeva il nome dall’omonimo partito fondato proprio da una delle figure principali del “risorgimento italiano”, Giuseppe Mazzini (1805­1872), nel 1853. Tra questi, lo stesso Leo Valiani che per breve ne assunse anche la guida, e soprattutto il giornalista e scrittore Ernesto Rossi (1897­-1967), uno dei promotori del celebre “Manifesto di Ventotene” per un’Europa federalista nel 1941 che era già stato sottosegretario alla ricostruzione nel Governo Parri (giugno­-dicembre 1945).

Il legame diretto con l’azionismo spiega peraltro anche l’importanza che i ripetuti riferimenti al laicismo repubblicano di derivazione culturale francese (molti azionisti erano stati esuli in Francia, al seguito di Carlo Rosselli [1899­-1937]), oltre all’antifascismo assumono, fin da subito nell’elaborazione dell’agenda politica del partito e dei suoi battaglieri programmi.

Oltre a questi, vanno ricordati almeno il giurista Stefan Rodotà (attuale firma del quotidiano La Repubblica, già primo presidente del Partito Democratico della Sinistra e socio onorario dell’associazione “Libera Uscita” per la depenalizzazione dell’eutanasia), Franco Roccella (1924-­1992), già fondatore dell’Unione Goliardica Italiana (UGI), si tratta del padre dell’ex sottosegretario alla salute, ora in quota PDL, Eugenia Roccella), il giornalista Eugenio Scalfari (fondatore e poi primo direttore de La Repubblica, nel 1976) e soprattutto Giacinto Pannella, detto “Marco”.

La prima immagine del partito appare quindi quella di un’organizzazione molto preparata culturalmente nei suoi vertici e che guarda con attenzione al mondo del giornalismo – e della cultura popolare – italiana nella convinzione profonda che riuscire ad incidere sui meccanismi della comunicazione pubblica possa contribuire in modo determinante (in tempi più o meno brevi) a favorire anche delle trasformazioni sensibili nel costume, nei comportamenti e quindi nella mentalità di un’epoca in senso radicalmente anti­conformista.

Non è un caso che in quegli anni, intorno ad esponenti del partito nascano o si affermino una serie di iniziative editoriali di grande successo destinate a lasciare il segno sul terreno della cultura politica del nostro Paese: dal settimanale Il Mondo (1949­-1966), diretto da Mario Pannunzio ­ da cui nascerà di fatto, il giornalismo d’opinione come oggi lo conosciamo – a L’Espresso (nato nello stesso anno di fondazione del partito), di cui Scalfari sarà il primo direttore amministrativo.

Dalla prima iniziativa, in particolare, e dai suoi due principali animatori (Pannunzio e Rossi), nascerà un vero e proprio club d’elìte intellettuale (chiamato gli “Amici del Mondo”) in grado di suggerire con intelligenza nuovi temi “politici”, allargando strategicamente in modo trasversale il fronte del consenso grazie anche a una rete di collaboratori di tutto rispetto che vede emergere, fra gli altri, figure come quelle di Giovanni Spadolini (1925­-1994), il futuro leader del Partito Repubblicano Italiano che nel Partito Radicale consumerà il suo primo vero apprendistato alla politica partitica, scrittori di rilievo internazionale come il premio Nobel per la letteratura Thomas Mann (1875-­1955) o Gorge Orwell (1903­-1950) e giornalisti di razza come Indro Montanelli (1909­-2001).

Sia Il Mondo che L’Espresso, comunque, si riveleranno strumenti importanti per dare visibilità alle istanze del partito ancora poco noto alla grande opinione pubblica facendo leva anzitutto sul prestigio indiscusso dei loro fondatori e/o direttori: essi fungeranno così da vera e propria cassa di risonanza ovvero da centro di aggregazione, prima, e di trasmissione, poi, di temi, rivendicazioni e questioni etiche e di costume che non sono presenti allora nell’agenda politica italiana e che entreranno invece così informalmente – ma non meno efficacemente ­ nel dibattito pubblico aggirando le stesse istituzioni tradizionalmente deputate e il Parlamento come “luogo centrale” della vita democratica della Nazione (da questo punto di vista non è errato, forse, cogliere nei vivaci protagonisti dei primi anni di vita del “movimento radicale” e nelle loro costanti polemiche “anti­-partitocratiche” e “contro il sistema” una via antesignana all’odierno filone dell’anti-politica.

Il debutto elettorale del partito arriverà invece alle elezioni amministrative di Roma nel 1956 che, pur senza trasformarsi in un successo, poterà comunque alla neonata compagine politica oltre 12.000 voti e un seggio contribuendo a legittimare – questa volta anche formalmente – l’esistenza di un’alternativa nuova alle tradizionali culture partitiche del nostro Paese.

Il bagaglio di novità portato da questo inedito ed atipico partito-­movimento (Pannella in effetti preferirà porre l’accento più sulla seconda connotazione, quasi a sottolineare ulteriormente la “distanza” ideologica che separa i radicali dal resto della politica italiana in senso stretto, e che più tardi si trasformerà compiutamente in movimento transnazionale sotto il titolo di “Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Trans-partito” [NRPTT]) va ricercato soprattutto nell’utilizzo di tecniche (e motivi) politici di aggregazione perlopiù “di frontiera”, sostanzialmente estranei alla nostra tradizione politica e frutto d’importazione (dal mito della New Left americana degli anni Sessanta che cavalcherà la rivolta giovanile, libertaria e anti­autoritaria, degli atenei d’Oltreoceano a figure suggestive come quelle di Gandhi [1869­-1948] o Martin Luther King [1929­-1968], ugualmente sconosciute allora tra le “icone” della Sinistra partitica italiana, ancora molto legata alla visione marxista della storia e alla concezione della lotta di classe).

Gli anni Sessanta vedranno però il partito affrontare anche diverse scissioni, causate dalle varie anime (azionista, socialista, liberale, libertaria) ancora in cerca di un’identità: particolarmente significativo a tal proposito sarà il cd. “caso Piccardi”, allora segretario nazionale. L’affaire venne alla luce quando alcuni studi dello storico Renzo De Felice (1929­1996) sulle origini del razzismo in Italia rivelarono la partecipazione attiva di Piccardi ad alcuni convegni italo­germanici degli anni Trenta da cui sarebbe poi scaturita la piattaforma giuridica delle leggi razziali.

La querelle che ne seguì porterà a un acceso confronto interno al termine del quale Valiani e Rossi, oltre allo stesso Piccardi, lasceranno il partito. Da qui in poi sarà Pannella ad assumere decisamente la leadership e a dettarne ­ con successo ­ le alleanze e la strategia politica da adottare di volta in volta.

La prima battaglia vincente, che passerà alla storia, sarà quella per l’istituzione del divorzio nell’ordinamento giuridico italiano inaugurata già nel 1965, in concomitanza con la presentazione alla Camera dei Deputati del primo progetto di legge divorzista a firma dell’esponente socialista Loris Fortuna (1924­-1985), più tardi titolare di doppia tessera (PSI e PR). Il progetto viene infatti promosso da un organismo appositamente costituito: la Lega Italiana per l’introduzione del Divorzio (LID), fondata nel gennaio del 1966 dallo stesso Pannella che ne sarà segretario fino all’approvazione definitiva del testo (1 dicembre 1970, con la legge nr.898 sulla “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”).

All’indomani dell’approvazione, quando le forze pro­famiglia e anti­divorziste promuoveranno il referendum abrogativo (il primo nella storia repubblicana del nostro Paese) sarà ancora il partito di Pannella a mobilitare le mase, sfidando l’inerzia dello stesso PCI, che non voleva aprire uno scontro frontale con la DC su un tema considerato marginale: il 12 e 13 maggio 1974 il voto degli oltre 37 milioni di elettori confermò però a sorpresa (anche per le non poche divisioni interne al fronte referendario) la legge divorzista con una maggioranza del 59%.

Nella strategia di propaganda, aggregazione e consenso, come pure nella comunicazione pubblica ufficiale, come nelle battaglie degli anni a seguire – indipendentemente dall’esito che avranno – troveranno qui il loro fondamentale punto di riferimento.