«Trump può spezzare il potere di Davos. L’Italia stia pronta»

La Nuova Bussola quotidiana 21 Novembre 2025

«L’elezione di Trump alla Casa Bianca ha mandato in crisi i propositi di governance globale del World Economic Forum. Solo lui può spezzare questo dominio che condiziona gli Stati. L’Italia stia pronta». Intervista a Maurizio Milano, in libreria con la seconda edizione del Pifferaio di Davos.

di Andrea Zambrano

A giudicare dai riscontri in libreria, il suo Pifferaio di Davos (D’Ettoris editore) è stato un caso editoriale che ha rotto il muro della narrazione dominante: un’analisi organica e sistematica del nuovo (dis)ordine mondiale che ha messo in fila, dati alla mano, la strategia del Grande reset del capitalismo. Ora Maurizio Milano, analista finanziario e firma della Bussola, torna in libreria con una seconda edizione del suo libro (QUI per ordinare).

Perché gli ultimi stravolgimenti sullo scacchiere internazionale, a cominciare dal ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, impongono un aggiornamento su come si sta adattando ai nuovi tempi la filosofia del “Pifferaio”, inteso quel complesso e variegato mondo che fa capo a Davos che sta guidando da 20 anni a questa parte le sorti delle politiche degli stati nazionali.

E in questa intervista spiega bene perché.

«Dopo la svolta Trump il quadro è diverso negli Usa e di conseguenza anche in Europa», dice Milano.

Che cosa c’è di nuovo?

La constatazione che la narrazione degli ultimi anni sta perdendo colpi, molte persone stanno capendo che le cose sono cambiate.

In particolare?

A partire dalla narrazione pandemica che si è frantumata di fronte all’evidenza che il vaccino non era sicuro, che il Green pass è stato un sopruso, oppure la narrazione climatica che ha danneggiato pesantemente l’industria europea. E anche lo sviluppo dei conflitti bellici in corso mostrano che la narrazione non corrisponde alla realtà dei fatti. Una parte del mondo l’ha capito e la vittoria di Trump-Vance ha allontanato la saldatura tra gli Usa e l’Europa proprio come blocco univoco portatore dei “valori” di Davos.

Trump è diventato il “nemico” del mondo…

Già dai primi ordini esecutivi si vede la sua determinazione nel contrastare l’agenda del Great reset così come l’ha teorizzata il patron del Word Economic Forum di Davos Klaus Schwab: ha preso le distanze dagli accordi di Parigi sul clima e anche l’attacco frontale alla cultura Lgbt attraverso la guerra ai protocolli “Diversità inclusione” ha svegliato gli americani: il capitalismo woke stava danneggiando l’America. E così il discorso della cancel culture, Trump ha capito che il problema era culturale.

In Europa però non è stato recepito granché. Vance a Monaco non ha ricevuto molti applausi…

Il suo discorso è molto importante e segna un’inversione a 180 gradi rispetto a quella che era l’agenda Obama-Biden. Ha messo il Vecchio Continente di fronte alla realtà dicendogli in faccia: «State silenziando il dissenso».

JD Vance

Sembra che il mondo occidentale si stia dividendo in due?

È evidente: da un lato il globalismo ideologico che puntava a una governance globale al di sopra degli stati nazionali, con i media, il mondo accademico e le grandi ong è entrato in difficoltà perché chi tirava le fila erano gli Stati Uniti; dall’altro personaggi come Macron o Starmer in Inghilterra stanno portando lo scontro di potere ad un livello fortissimo e l’iniziativa del Great reset si sta arroccando in Europa. Anche la caduta in disgrazia di Schwab con i risvolti giudiziari sulle sue azioni, hanno imposto a Davos di adeguarsi alle nuove strategie.

In questo adeguamento rientra anche la “conversione” di Bill Gates sul green?

È una conversione tardiva, era chiaro a tutti che il discorso del cambiamento climatico era una forzatura per controllare gli investimenti in una certa direzione, adesso la direzione è cambiata a livello europeo: la priorità non è più il verde, ma il grigio verde, la corsa agli armamenti in modo frettoloso e poco sensato. Se pensiamo ad una situazione di ansia e di paura che saremo invasi dai russi, tutti quelli che si occupano di strategia militare dicono che è un non senso. È vero che gli stati hanno il dovere di promuovere il bene comune e che gli Usa vogliono allontanarsi dall’Europa per portarsi verso l’indo-pacifico, quindi è giusto rafforzare gli armamenti, ma va fatto con intelligenza e con calma. La fine dell’Europa non è l’alternativa, l’impressione è che si voglia usare questa leva per togliere sovranità per andare verso un super stato europeo.

Eppure, se non proprio la sua fine, almeno il declino dell’Europa è evidente. Nel libro, a proposito della difficoltà a passare all’elettrico lei dice che rischiamo un “effetto Cuba”.

Il tentativo di falsificare gli investimenti va avanti. Pensiamo alla tematica dell’agenda 2030 ambiente, società e governance aziendale: sotto questo nome ci sono metriche definite da Davos che hanno come obiettivo il convogliare solo determinati investimenti. Così ci troveremo avviati in un percorso di deindustrializzazione, di crisi morale e di perdita di rilevanza geopolitica. Per non considerare la censura che sta aumentando. Queste élite stanno danneggiando i popoli europei nel tentativo di creare un super stato europeo, ma otterranno l’effetto opposto cioè aumentare le liti tra gli stati.

A proposito di Europa. La Von der Leyen, che è la massima espressione della politica applicata ai desiderata di Davos, sta entrando in crisi?

Direi che sta entrando in crisi il modello Von der Leyen: i centri di potere mantengono il controllo, ma senza consenso: Starmer è sotto il 20%, Macron non ha i numeri per stare in piedi. La Von der Leyen di consenso non ne ha. Pensiamo alla vicepresidente della Commissione Ue Kaja Kallas: quando questi personaggi vanno in visita all’estero ormai non li considerano neanche più.

E l’Italia?

L’Italia la vedo meglio. Abbiamo una posizione chiave nel Mediterraneo. La Meloni si barcamena in un approccio cerchiobottista: sta facendo bene rispetto al contesto, tenendo i conti in ordine, ma il Paese non cresce perché siamo dentro una gabbia che non ci consente di fare di più, ma se la gabbia dovesse rompersi potremmo avere un approccio più attivo.

Chi può rompere questa gabbia?

Il governo italiano non ha la forza. Se saltasse il governo in Inghilterra, se saltasse Macron, gli equilibri tra i sovranisti e i globalisti si sposterebbero a favore dei sovranisti, anche se so che questo è un termine improprio, diciamo quelli che non seguono sogni ideologici. Se la Meloni riuscisse a reggere potrebbe essere l’ago della bilancia. Allo stato attuale solo Trump può spezzare la gabbia, ma vediamo quanto è osteggiato, attentati compresi. 

Che fine ha fatto il concetto di Europa dei popoli?

È importante che il nostro Governo goda di un consenso, sennò non si ha la forza, ma è soprattutto un lavoro culturale per far prendere la consapevolezza alle persone che richiede anni. In ragione di questo credo che la Meloni dovrebbe osare di più per scardinare l’asse franco-tedesco.

Nel libro spiega bene che siamo entrati in una fase di socialismo liberale…

Se pensiamo a Mario Draghi, che in un’intervista a un giornale tedesco si definì un socialista liberale, capiamo la visione di tipo tecnocratico che fa dire a questi signori di pensare di essere i migliori che devono governare, ma nella struttura di Davos deve esserci una collaborazione tra il pubblico e questi privati plutocratici. È una cabina di regia, della serie: «Noi guidiamo il mondo e controlliamo gli Stati». Questa è una prospettiva da socialismo liberale.  

Perché socialista?

Perché non rispetta più la proprietà privata.

E perché liberale?

Perché punta in maniera distorta a creare un mondo nuovo.

Invece?

Invece bisogna riproporre il principio di sussidiarietà che nasce dal basso, per questo è opportuno difendere gli stati nazionali. Gli stati sono andati contro la sussidiarietà, ma visto che si vuole andare verso una governance ancora più alta, anche lo stato italiano va difeso.

A proposito di proprietà privata a rischio: che cosa pensa del caso di Frederic Baldan, che dopo aver denunciato lo scandalo Pfizergate si è trovato i conti correnti bloccati?

Ho letto. Siamo di fronte a una prospettiva di controllo autoritario con i guanti di velluto dove non ti metto in galera, ma faccio in modo che tu non possa più fare nulla. È successo anche a Nigel Farage, è successo ad alcune emittenti di informazione indipendente anche in Italia. La banca non ha il potere di avere un rapporto, ma se crea problemi di immagine fa così. Ecco perché la prospettiva dell’euro digitale è molto pericolosa.

Perché?

Nel momento in cui tutte le informazioni che ti riguardano vengono centrate su un’unica identità, basta bloccare quella identità e sei condannato alla morte civile. Lo abbiamo visto col Covid, che nel libro definisco un “grande esperimento”. La divisa emessa dalla banca digitale è pericolosa perché la banca avrebbe il controllo diretto sul denaro: hai superato la Co 2 consentita? Non spendi; c’è un lockdown e tu lo vìoli? Ti blocco.

Una prospettiva inquietante…

Ma non ce la faranno. Dall’altra sponda dell’Atlantico Trump ha impedito alla Federal Reserve di emettere un dollaro digitale perché ha capito che deve riprendere il controllo della politica monetaria. Ha varato un provvedimento per emettere divise digitali ancorate al dollaro purché sotto ci siano riserve americane. Ma il vantaggio è che non darebbero un controllo su quello che fai. Invece in Europa il disegno è di controllo.

In questa perdita di libertà, sta montando anche un evidente odio anticristiano. Qual è il filo che lo lega a Davos?

Le politiche immigrazioniste sono state fatte in modo da destabilizzare il tessuto dell’Europa. Non dimentichiamo che Soros non si è mosso per motivi umanitari. Il multiculturalismo non sta funzionando, ma è propagandato dalle stesse “pseudo-elite” che hanno il comando e che sono radicalmente anticristiane e portatrici di valori anticristiani. Basti guardare la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi. E poi, diciamocelo perché è evidente: c’è un retroterra che porta a discriminare i cattolici: se si vuole creare un mondo nuovo si va in contrasto con la prospettiva antropologica cristiana, che richiama al fatto che la persona ha una identità.