Le tasse alte sono illegittime

Abstract: Le tasse alte sono illegittime, perché ne beneficia soprattutto lo Stato innescando una spirale negativa che impoverisce la popolazione. E’ vero che vi è un dovere etico dei cittadini a pagare le tasse ma vi sono anche dei doveri da parte dello Stato, che deve limitare la sua azione

Il Timone n. 228 maggio 2023

Si alle tasse, ma solo se sono basse  

Le imposte hanno una loro giustificazione etica, ma quando sono alte ne beneficia soprattutto lo Stato. E viene una spirate negativa che impoverisce la popolazione

di Giacomo Samek Lodovici

A gennaio avevamo visto diverse critiche all’egualitarismo, specialmente inteso come  quella concezione che asserisce che bisogna eliminare le ineguaglianze economiche togliendo a chi ha di più e dando a chi ha di meno, mediante la redistribuzione fiscale.

La legittimità delle imposte

Da un lato abbiamo criticato l’egualitarismo dall’altro però abbiamo anche detto che è giusto che in un Paese ci sia una tassazione parziale ed equilibrata (non rapace), e dunque una parziale redistribuzione economica.

Una prima giustificazione delle imposte è che lo Stato deve tutelare, a favore di chiunque, i diritti fondamentali: il diritto alla vita, alla libertà, alla proprietà, alla salute, all’istruzione, ecc., e perciò ha bisogno di risorse economiche per retribuire le le forze dell’ordine (onde proteggere la vita, la libertà e la proprietà, anche a favore di coloro che vengono tassati), ecc.

C’è però una seconda motivazione. Il filosofo liberale Robert Nozick (1938-2002) critica con valide ragioni l’idea secondo cui gli indigenti avrebbero diritto a una parziale espropriazione delle ricchezze altrui, tramite politiche redistributive (cfr. il suo Anarchia, Stato e utopia. Quanto Stato si serve?, Il saggiatore, 2000, pp.51-54, pp.181-182).

Si può però rispondere col filosofo contemporaneo Martin Rhonheimer che ogni persona non soltanto può ( a volte) giustamente rivendicare dei diritti nei riguardi degli altri, ma ha anche dei doveri verso gli altri, e alcuni di questi doveri sono originati dalla dignità delle altre persone (cfr. Lo Stato costituzionale democratico e il bene comune, in E.Morandi-R.Panattoni [a cura di], Ripensare lo spazio politico: quale aristrocrazia?, in «Con-tratto», 6, 1997, pp. 57-123).

In altri termini, Nozick pare dire che la logica della solidarietà eretta a giustificazione delle politiche fiscali calpesta la dignità delle persone perché esse vengono private di parte del loro denaro e dunque vengono danneggiate, ma si può rispondere che una parziale ridistribuzione, se è equilibrata, non è «un attacco all’uguale dignità delle persone, ma uno strumento per promuoverla», come dice Will Kymlicka, che è un autore vivente non già filocomunista, bensì simpatetico col liberalismo (crf. Introduzione alla filosofia politica contemporanea, Feltrinelli 1996, p.142). Uno strumento, tornando a Rhonheimer, sia per promuovere la dignità degli altri, sia per essere moralmente all’altezza della propria dignità, che esige una certa doverosa sollecitudine verso la dignità altrui.

In effetti, la giustizia richiede non solo di dare all’altro ciò che gli dobbiamo in virtù dei suoi diritti, ma anche ciò che a volte gli dobbiamo in rapporto a certi suoi bisogni, considerato che ognuno di noi ha (per varie ragioni che qui non è possibile riferire) una dignità ontologica incommensurabile, la quale rende doveroso provvedere a certi suoi bisogni davvero essenziali. Così, dice Rhonheimer, «dobbiamo all’altro non soltanto ciò che è suo diritto, ma anche ciò che corrisponde al suo bisogno», o meglio a certi suoi bisogni (come chiariremo fra poco), e questo – lo rimarchiamo – «anche se [l’altro] non possiede propriamente un titolo di diritto a tale debito. Si aggiunge così ai nostri diritti [il nostro dovere di solidarietà».

Ciò significa che, in certi casi, noi abbiamo il dovere di fare X a Tizio, senza che Tizio abbia il diritto di esigere X da noi. Sembra un paradosso, ma non lo è. Insomma, chi è benestante ha un certo dovere di soccorrere gli indigenti in stato di bisogno, ma nessuna persona può reclamare un diritto sulla proprietà (legittimamente) acquistata da un’altra persona (l’eccezione è il caso della sottrazione di cose altrui per sopravvivere in casi urgenti: bisognerebbe affrontare analiticamente il tema della destinazione universale dei beni e devo rimandare almeno al Compendio della dottrina sociale della Chiesa, §§ 171-184, 192-195). Per Ronheimer, quanto più si possiedono risorse materiali e opportunità di vario tipo, con ciò «aumenta anche il dovere di solidarietà verso quelli più bisognosi».

Ma c’è bisogno e bisogno

Certo, non ogni bisogno dà origine a un altrui dovere di solidarietà: è necessario distinguere i bisogni essenziali da quelli superflui, così come occorre valutare eticamente e con saggezza la situazione e le potenzialità del bisognoso, il quale ha un dovere di migliorare, se possibile, la sua condizione, deve darsi da fare, deve cercare lavoro se non ce l’ha, ecc.

Fin qui abbiamo ragionato sui doveri del singolo. Passiamo adesso allo Stato

Ebbene, nella prospettiva personalista che stiamo seguendo, e che qui possiamo solo presupporre ma non argomentare, la giustificazione di una politica di equilibrata e non rapace ridistribuzione risiede nel fatto che lo Stato esiste in vista del bene comune politico, il quale include il rispetto e la protezione della dignità umana e dunque esige la sollecitudine verso quei bisogni umani veramente fondamentali senza la cui soddisfazione la dignità umana è offesa. Ma anche lo Stato deve soddisfare solo alcuni bisogni delle persone e comprendere come soddisfarli richiede grande saggezza politica ed etico-filosofica.

L’egualitarismo è benefico per gli apparati

Ma la redistribuzione che stiamo giustificando dovrebbe essere piuttosto limitata, per ridurre un altro problema dell’egualitarismo, che si aggiunge a quelli menzionati su Il Timone un mese fa. E’ un problema rimarcato da Bertrand de Jouvenel (1903-1987) nel suo L’etica della redistribuzione. Infatti, come dimostra la storia, la redistribuzione economica va a beneficio soprattutto dello Stato e delle sue burocrazie, spesso dando vita ad apparati politico-burocratici costosi e inefficienti, che hanno come loro scopo principale la propria sopravvivenza. In altri termini, per erogare i suo molteplici e sempre numerosi servizi, lo Stato assistenziale crea degli apparati elefantiaci, che finiscono spesso per impiegare una percentuale enorme di quanto viene prelevato al cittadino per il proprio funzionamento e sostentamento: non solo per stipendiare i funzionari, ma anche per foraggiare i propri referenti e (nel caso dei politici) le clientele necessarie per essere rieletti. Come spesso si nota, la spesa pubblica si accresce a dismisura e conseguentemente aumentano le imposte in una vera e propria spirale negativa, che , come argomenta l’autore, impoverisce mediante, mediamente, la popolazione. E tra gli apparati è spesso diffusa la corruzione.

Uno Stato che interviene in tutti i campi, sostituendosi ai singoli e alle associazioni, diventa ipertrofico e insieme dispersivo, meno efficace, anzi spesso deficitario, nello svolgimento di altri compiti, cioè dei compiti che solo l’autorità politica può eseguire: se viceversa lo Stato si focalizza su questi suoi compiti esclusivi e specifici, viene davvero perseguito il bene comune.

D’altro canto, proprio quella promozione della dignità della persona che abbiamo sopra richiamato per giustificare la tassazione, implica che anche una certa limitazione del ruolo dello Stato: infatti la dignità della persona esige che se ne promuova l’iniziativa e la libertà (purché esercitata in modo non ingiusto verso gli altri), invece che deresponsabilizzarla e magari anche mortificarla togliendole delle mansioni. Per fare un paragone, se un capoufficio ci toglie delle mansioni che siamo capaci di svolgere e se ce le toglie non già perché siamo sovraccarichi di lavoro né perché esse non ci aggradano, solitamente ci fa sentire mortificati.