Critica all’egualitarismo

Abstract: critica all’egualitarismo

Il Timone n.224 – Gennaio 2022

Tutti uguali? Anche no

Una critica all’egualitarismo: mentre la povertà è da combattere sempre, la diseguaglianza può essere a volte causa di aumento dell’agiatezza nella popolazione  

di Giacomo  Samek Lodovici

«Bisogna combattere la povertà e perciò bisogna eliminare le diseguaglianze economiche togliendo a chi ha di più e dando a chi ha di meno, mediante la redistribuzione fiscale»: E’ un discorso antico, quello dell’egualitarismo, che ovviamente è stato martellante all’epoca del predominio culturale comunista, e risuona a volte anche ai giorni nostri, per esempio quando si discute la legge di stabilità e certe singole tasse. Ora, le seguenti righe, in modo assolutamente incompleto intendono criticare questa impostazione.

Perché la proprietà privata

La premessa per farlo è un’argomentazione in favore dell’esistenza della proprietà privata, che richiederebbe molto spazio. Qui si può solo accennare, con John Locke, che l’uomo, mediante il lavoro e la sua intelligenza lavora la terra e ne fa la sua degna dimora. Anche Karl Marx dice che l’uomo con il lavoro trasforma la natura nel suo «corpo inorganico». Ora, prosegue Locke, per ogni uomo «il lavoro del suo corpo e l’opera delle sue mani sono propriamente suoi». In origine la terra non era di nessuno e quelle parti di terra in cui qualcuno ha versato qualcosa di suo divennero sua proprietà. Poi l’uomo, riversando il suo lavoro in parti di materia, produce degli oggetti che sono dunque sua proprietà: egli «ha congiunto [alla natura] il suo lavoro», ha cioè mescolato, «unito [alla materia] qualcosa che gli è proprio», e così facendo «rende [le cose prodotte] proprietà sua».

Ora le varie forme di possesso privato dei beni «assicurano ad ognuno lo spazio effettivamente necessario per l’autonomia personale e familiare, e devono essere considerati come un prolungamento della liberà umana. Costituiscono in definitiva una delle condizioni delle libertà civili» (Concilio Vaticano II Gaudium et spes, 71). La proprietà dà al possessore molti grandi vantaggi: condizioni di vita migliori, sicurezza per il futuro, più ampie opportunità di scelta. Chi non ha alcuna proprietà rischia spesso di diventare proprietà, cioè di venire asservito da chi ha forza e denaro.

Tassazione, ma equilibrata

Ciò detto, da un lato è giusto che in un Paese ci sia una tassazione parziale ed equilibrata (non rapace) e dunque una parziale redistribuzione economica, perché lo Stato ha bisogno di risorse economiche onde tutelare per chiunque – anche per chi viene tassato – i diritti fondamentali: il diritto alla vita, alla libertà, alla stessa proprietà, alla salute, all’istruzione, ecc. sono cose che richiedono la retribuzione delle forze dell’ordine (per proteggere vta, libertà e proprietà), dei sanitari e dei dicenti (per garantire la sanità e l’istruzione), ecc.

Dall’atro è decisamente discutibile l’egualitarismo, che promuove la maggior uguaglianza economica possibile, fino akk0eguaglianza radicale, togliendo a chi ha di più e dando a chi ha dimeno. O fino ad avocare allo Stato la proprietà di tutti i mezzi di produzione. Intanto, portare via i suoi guadagni e proprietà a chi li ha onestamente e laboriosamente ottenuti è una ingiustizia, in certi casi un furto.

Inoltre va chiarito che, mentre la povertà è da combattere sempre, non è sempre da combattere la diseguaglianza, la quale non è per forza causa di povertà, bensì può essere a volte causa di aumento dell’agiatezza della popolazione.

Frustrazione dello spirito di iniziativa

Infatti, l’economia non è per forza un gioco a somma zero in cui l’arricchimento di X comporta l’impoverimento di Y, Z, ecc. Ad esempio, se un imprenditore espande la sua attività e accresce i suoi profitti può darsi che lo faccia solo a beneficio suo e degli azionisti, ma può anche darsi – ed esistono casi concreti – che decida di aumentare gli stipendi ai dipendenti e che decida di creare nuovi posti di lavoro e perciò di erogare dei nuovi stipendi, accrescendo la ricchezza di un maggior numero di persone.

E in una situazione del genere, è vero che ci sarà diseguaglianza ma è in linea di principio possibile che ci sia chi guadagna, per esempio, 20.000 € al mese (l’imprenditore), chi guadagna 12.000 € (il manager) e chi guadagna 5.000 €, 4.500 €, 4.000 € (i dipendenti a seconda della loro qualificazione ed esperienza), ma questa diseguaglianza non comporta povertà perché anche lo stipendio più basso è tutt’altro che povero.

Come esemplifica A. Rodrìguez Luño (Stato e libertà. Un’introduzione all’etica politica, Edusc, Roma 2022, pp. 67-76), se in una classe il docente restituisce una verifica e i voti che dovrebbe dare sono 10, 8, 6, 4, 2, in prospettiva egualitarista metterà a tutti 6. Ma il risultato di un simile livellamento è che alla successiva verifica gli studenti bravi si impegneranno molto meno per eccellere, e quelli scarsi non si impegneranno per migliorare, perché comunque il voto di tutti sarà 6.

Fuor di metafora, l’egualitarismo distruggerà lo spirito di iniziativa economica, l’impegno, lo sforzo che rendono possibile l’accrescimento di ricchezza per molti. Anche un non credente può essere d’accordo con Giovanni Paolo II: «L’esperienza ci dimostra che […] una pretesa “eguaglianza” di tutti nella società riduce, o addirittura distrugge di fatto lo spirito d’iniziativa, cioè la soggettività creativa del cittadino. Di conseguenza sorge, in questo modo, non tanto una vera eguaglianza, quanto un “livellamento in basso”» (Sollecitudo rei socialis, 15).

Ci sono sì situazioni di diseguaglianza che vanno cancellate perché sono frutto di azioni ingiuste, ma altre sono frutto di decisioni personali libere e legittime di maggiore/minore impegno, di maggiore/i fatica, ingegnosità, ecc.

Da ultimo, la diseguaglianza è una caratteristica della condizione umana. E, sia dal punto di vista etico-filosofico, sia dal punto di vista religioso (cfr la parabola dei talenti). Certe diseguaglianze di intelligenza, di incontri, di opportunità avute lungo la vita, ecc., un Dio giusto le terrà in conto. Il discorso fin qui svolto non toglie che lo Stato debba stroncare frodi, corruzioni, manipolazioni. E deve in positivo garantire a tutti pari dignità e pari (veri) diritti fondamentali, l’eguaglianza di fronte alla legge e la possibilità di partecipare liberamente ai processi economici e alle dinamiche sociali. Ma l’eguaglianza di fronte alla legge non equivale a eguaglianza economica

Il livellamento verso il basso

A proposito del poc’anzi citato livellamento verso il basso, c’è un altro problema nell’egualitarismo radicale (per altre forme di egualitarismo il seguente discorso non vale): poiché è impossibile un’eguaglianza radicale verso il meglio, verso l’alto, l’egualitarismo radicale, se è coerente, deve promuovere l’eguaglianza verso il basso, che è più facilmente avvicinabile, quasi come in un famoso racconto di Dino Buzzati, dal titolo La rivolta dei cretini (1967, reperibile online).

Nel Paese immaginato da Buzzati, il Governo egualitarista cerca di rendere tutti ugualmente ricchi ma, siccome non ci riesce, decide di rendere tutti poveri, espropriandoli di ogni cosa; però rimane la diseguaglianza intelligenti/stupidi e, non riuscendo a rendere tutti ugualmente intelligenti, il Governo rende tutti stupidi attraverso la somministrazione generalizzata di psicofarmaci; rimane però ancora la diseguaglianza belli/brutti e il Governo, non riuscendo a rendere tutti uguali nella bellezza, rende tutti brutti attraverso iniezioni deturpanti e ingrassanti.

Anzi, una forma di uguaglianza economica radicale sarebbe raggiunta con la morte di tutti: infatti, se tutti fossero morti nessuno possederebbe più nessun bene economico e tutti sarebbero economicamente uguali. Detto in altri termini (riecheggiando Totò de Curtis), la morte è una grande livella…

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