La bellezza, finestra dello spirito

giugno 2013

Stefano Chiappalone

La bellezza è la grande necessità dell’uomo; è la radice dalla quale sorgono il tronco della nostra pace e i frutti della nostra speranza” (Benedetto XVI). Non occorre scomodare le grandi cattedrali o i monumenti delle nostre città (spesso più noti ai turisti che ai residenti): Roger Scruton ad esempio parla di una “bellezza minimale” – ma non meno importante – la cui ricerca scandisce inconsapevolmente tutta la nostra vita quotidiana, “per esempio nell’apparecchiare la tavola, nel mettere in ordine una stanza, nel progettare un sito web […]. Non ci si dedica anima e corpo a queste cose come, invece ha fatto Beethoven con gli ultimi quartetti, né ci si aspetta che entrino nel novero delle opere d’arte destinate a imperitura memoria. A dispetto di ciò, desideriamo che la tavola o la stanza o il sito web , e il fatto di presentarsi bene è importante nello stesso modo della bellezza – non solo nel senso che anche l’occhio vuole la sua parte, ma anche perché veicola significati e valori che per noi hanno un peso e che mettiamo in gioco consapevolmente”.

Pur essendo spesso dimenticate quando si parla di bellezza, “queste bellezze minimali sono di gran lunga più importanti nella nostra vita quotidiana […] Esse fanno parte del contesto in cui conduciamo la nostra esistenza, e il nostro desiderio di armonia, di appropriatezza, di garbo trova sia espressione sia conferma in loro”. Il nostro desiderio di armonia, di appropriatezza, di garbo, ma se vogliamo anche di familiarità, di calore o, a seconda delle circostanze, di eleganza, di autorevolezza, di grazia, di fascino, in una parola quel “complesso psicologico-artistico”, richiamato dal ven.

Papa Pio XII, insito nella natura umana che trascende la semplice funzionalità delle cose per cui tendiamo a comunicare a noi stessi e agli altri non solo con la parola, ma anche con l’abbigliamento – e con tutti gli “abiti” di cui “vestiamo” la nostra vita, fino al “grande abito” dell’architettura e del paesaggio con cui le società si vestono comunicando qualcosa della loro anima.

Perché non sostituiamo i mobili di casa nostra con semplici scaffali? perché cerchiamo di curare il nostro aspetto? perché scegliamo una determinata musica? “La funzione di ogni arte [e aggiungiamo, di ogni comportamento estetico] sta infatti nell’infrangere il recinto angusto e angoscioso del finito in cui l’uomo è immerso, finchè vive quaggiù, e nell’aprire come una finestra al suo spirito anelante verso l’infinito” (Pio XII). E a nessuno piace abitare in una casa priva di finestre.

Giungiamo così a comprendere l’importanza che Plinio Correa de Oliveira attribuisce agli “ambienti” – cioè “l‘espressione dell’anima che, attraverso il gioco delle forme e dei colori, una persona è riuscita a comunicare a oggetti materiali” – come causa ed effetto della conversione (o dell’apostasia) dei singoli e delle società, nella misura in cui “le forme, i colori, i suoni, gli odori, i sapori hanno un’analogia non puramente convenzionale con le disposizioni dell’anima umana”.

Nessuno degli innumerevoli “messaggi estetici” che costellano la nostra vita è neutro, ma vanno a costituire un ambiente che, a seconda dei casi: “o sarà buono e favorirà le anime nella considerazione e nell’assimilazione di Dio, o sarà cattivo e agirà in senso opposto” facendo di essi – semplificando – una “preparazione remota” alla contemplazione o viceversa all’apostasia.

J.R.R.Tolkien ci offre splendidi esempi dell’analogia tra gli ambienti e il relativo clima spirituale che vi si respira, dalla campagna serena e ordinata della Contea, all’accogliente Casa di Tom Bombadil, alla tetra Terra di Mordor. Ma è sufficiente constatare la differenza tra la bellezza di alcune città storiche – pensiamo a Siena – evidentemente scaturite da un clima spirituale differente da quello che invece plasma le disordinate periferie – e talvolta il centro stesso – delle nostre città, divise tra l’anti-estetica di periferie e metropolitane, e la “la bellezza mendace, falsa, una bellezza abbagliante che non fa uscire gli uomini da sé per aprirli nell’estasi dell’innalzarsi verso l’alto, bensì li imprigiona totalmente in se stessi” (Benedetto XVI), ravvisabile nel lusso tutto funzionale di uffici, locali pubblici, persino le stesse abitazioni: in entrambi i casi si tratta di ambienti che rendono difficile “uscire dalla quotidianità, dal mondo dell’utile, dell’utilitarismo” (Benedetto XVI).

Un ambiente sempre più privo di quella “catechesi ambientale” costituita dalle “mura, i campanili delle chiese, le croci ai bivi, le immagini sante sulle pareti delle case e delle stanze: tutto ciò [che] in qualche modo catechizza” (Giovanni Paolo II). Nicolas Gomez Davila affermava: “Respiro male in un mondo non attraversato da ombre sacre”: nel mondo moderno spesso si soffoca e forse c’è un nesso tra la crisi della bellezza e la crisi della speranza…