La Cina dopo Mao e la crescita dell’economia

Abstract: la Cina dopo Mao e la crescita dell’economia sono in buona parte una illusione. Non si sa esattamente cosa accade in Cona sul piano economico mentre il controllo del partito comunista sull’intero sistema economico-sociale resta ferreo. La Cina deve affrontare “un’intera serie di problemi strutturali di lunga data, originati da lei stessa”,

Tradizione famiglia Proprietà Newletter 5 maggio 2023 

Un mito da sfatare:

dopo Mao, la Cina si è mossa coerentemente verso

più socialismo, non verso meno socialismo

di John Horvat

Il libro La China After Mao: The Rise of a Superpower (La Cina dopo Mao: l’ascesa di una Superpotenza) è una cronaca dietro le quinte dell’ascesa della Cina a potenza mondiale. Il pluripremiato autore olandese Frank Dikötter è un esperto di Cina che basa la sua ricerca sull’accesso a documenti governativi e su ciò di cui è stato testimone. La sua storia è particolarmente avvincente giacché non ha uno scopo che vada oltre il tentativo di spiegare ciò che ha osservato.

Quattro decenni dopo la morte di Mao Zedong, la nazione comunista è passata dall’avere la 126th economia mondiale alla seconda. Gli ottimisti occidentali attribuiscono la responsabilità di questa trasformazione alla crescente economia di mercato e al libero scambio. Tuttavia, l’autore mette in discussione la narrazione del “miracolo economico” della Cina dopo Mao.

Al di là dello scintillio delle metropoli e della base industriale della nazione, si nasconde un immenso sistema di contraddizioni, illusioni, corruzione, banche ombra e intrighi politici. L’estrema ricchezza esiste accanto all’abissale povertà. La condizione critica del popolo cinese povero rimane terribile di fronte a un programma politico che serve solo al Partito Comunista e ai suoi leader. Se c’è un miracolo da constatare è che la Cina sopravviva ancora.

È questa la narrazione più oscura e paradossale che ci viene fornita da Dikötter. Mentre i protagonisti, i fatti e le politiche cambiano continuamente, una cosa spicca: il Partito Comunista Cinese è incredibilmente coerente nella sua marcia di quattro decenni verso un socialismo sempre più spinto, non un’economia di mercato.

Il libro descrive nel dettaglio, quasi all’eccesso, le lotte di potere e la brutalità di questa marcia per mantenere la Cina comunista. Tuttavia, uno dei grandi meriti dell’opera è quello di mettere in evidenza, tra altre, almeno quattro coerenze del PCC.

Quello che continuiamo a non sapere

La prima nota costante è la mancanza di dati su ciò che sta accadendo in Cina. La Cina è un mistero in cui l’unica regola è che nessuno sa nulla della Cina… compreso il governo cinese. Data la proliferazione di statistiche false, non c’è nemmeno modo di calcolare quanto sia grande il Paese. Dikötter osserva che nella maggior parte delle cose “sappiamo quello che non sappiamo. Ma per quanto riguarda la Cina, non sappiamo nemmeno cosa non sappiamo”.

Il governo centrale insiste affinché ogni settore raggiunga i propri obiettivi. I giovani funzionari comunisti devono presentare il miglior quadro possibile per mantenere il potere e i favori. Così, la Cina produce costantemente cifre gonfiate su cui nessuno può fare affidamento. In senso opposto, i debiti e le carenze vengono sottovalutati per evitare che il fallimento venga percepito e punito.

I dati sono pericolosi in Cina ed è meglio lasciarli sconosciuti e inconoscibili.

Un’economia permanentemente controllata e poco libera

I media occidentali promuovono il mito di una Cina che mette il turbo all’iniziativa e agli investimenti privati. La realtà è una politica coerente di inettitudine socialista, che Dikötter documenta con grande abilità e dettaglio. Dietro le quinte c’è una costante lotta di potere tra ideologi ossessionati dalla crescita a scapito dell’efficienza economica. Una volta che le fabbriche sono state impiantate, non vengono mai chiuse e producono in sovraccapacità, poiché sono sempre garantite da sussidi e salvataggi governativi.

Nell’economia socialista pianificata cinese, il mercato è raramente considerato. Lo Stato fissa gli obiettivi di produzione e i funzionari del Partito lottano per raggiungerli anche quando non c’è domanda. Il governo sostiene industrie “zombie” che sarebbe meglio lasciar morire. I magazzini si riempiono di merci in eccesso. Questi prodotti vengono poi scaricati sul mercato mondiale con forti sconti.

Allo stesso modo, i funzionari governativi si contendono i progetti infrastrutturali finanziati dal massiccio debito bancario ombra e dagli aiuti pubblici. Così, la Cina è una nazione di centri commerciali vuoti, parchi industriali e aeroporti inutilizzati. Le città “fantasma” sono sorte ovunque, senza che nessuno le abbia popolate.

Inoltre, la ricchezza non è ben distribuita, poiché la maggior parte va allo Stato e non al popolo. L’allora premier cinese Li Keqiang riferì nel maggio 2020 che più di 600 milioni di cinesi vivevano con appena 140 dollari al mese.

Controllo consistente del commercio

La Cina mantiene una politica commerciale coerente che favorisce in modo schiacciante lo Stato comunista. I funzionari cinesi sono diventati abili nell’attirare investitori e dirigenti stranieri a stabilirsi nel Paese e ad approfittare della manodopera a basso costo. Inoltre, hanno sempre fatto balenare la carota dell’accesso a un mercato da un miliardo di consumatori.

Tuttavia, Dikötter conclude che l’unico risultato di questi richiami è “un sistema abbastanza isolato in grado di isolare il Paese dal resto del mondo”. Lo Stato controlla tutti gli scambi commerciali che di solito vanno in un’unica direzione, verso l’Occidente. Nel frattempo, la Cina ignora i diritti di proprietà intellettuale e le norme ambientali che le consentono di produrre a costi più bassi. Le innumerevoli regole, le manipolazioni valutarie, le sanzioni, i bonus, le detrazioni e gli incentivi dello Stato fanno della Cina “il campo da gioco più irregolare della storia moderna”.

Quando le imprese emettono azioni, la maggioranza viene rilevata dal PCC e le cellule del partito vengono cooptate all’interno degli impianti per garantire il controllo anche quando sono in regime di partnership con aziende occidentali.

Orientamento socialista coerente

Nonostante le mutevoli lotte di potere e gli intrighi del Partito, la politica più coerente del PCC è la sua rigorosa adesione al comunismo. Durante i quattro decenni di liberalizzazione, la leadership del PCC non ha mai perso di vista i suoi obiettivi comunisti.

Dopo la morte di Mao, il Partito istituì i Quattro Principi Cardinali, tuttora in vigore. I principi sono: “Dobbiamo mantenere la strada socialista. Dobbiamo sostenere la dittatura del proletariato. Dobbiamo sostenere la direzione del Partito Comunista. Dobbiamo sostenere il marxismo-leninismo e il pensiero di Mao Zedong“.

Più in Occidente si insisteva sul fatto che la Cina stava diventando capitalista, più i leader del PCC affermavano apertamente la loro fede incrollabile nel comunismo. I compromessi con l’Occidente erano solo “strumenti capitalisti in mani socialiste”. La Cina non fa alcuno sforzo per nascondere questo programma.

Nel 1998, l’allora presidente cinese Jiang Zemin dichiarò: “Il sistema politico cinese “non deve essere scosso, indebolito o scartato in nessun momento. Il modello politico occidentale non deve mai essere copiato”.

Una tragica coerenza occidentale

Tuttavia, la coerenza più grande e tragica è quella occidentale. Come Marx aveva previsto la caduta del capitalismo, gli ingenui occidentali hanno visto la caduta “inevitabile” del comunismo. Hanno adottato una politica di credito, concessioni e sviluppo industriale senza alcuna prova di un reale cambiamento.

Il pensiero velleitario dell’Occidente presupponeva automaticamente che il libero commercio avrebbe inevitabilmente portato a una società libera. La democrazia sembrava sempre dietro l’angolo. La dirigenza e l’opinione pubblica chiudevano un occhio alle massicce violazioni dei diritti umani e alla brutale repressione delle proteste come quelle di Piazza Tienanmen nel 1989. Gli uomini d’affari hanno atteso con pazienza e costanza il miliardo di consumatori che presto avrebbero acquistato i prodotti occidentali. Nel frattempo, le nazioni occidentali hanno invece perso posti di lavoro a favore della Cina.

Il presidente Xi Jinping sta ora reprimendo il dissenso in Cina, rafforzando le sue forze armate e mettendosi contro l’Occidente in alleanza con Russia, Iran e altri. L’Occidente pagherà presto il prezzo delle sue velleità. Le politiche commerciali occidentali hanno creato un drago mostruoso, pronto ad attaccare le nazioni che ora dipendono dalle esportazioni sovvenzionate della Cina.

L’analisi finale di Dikötter, tuttavia, evidenzia alcuni problemi importanti del modello cinese. In questi quattro decenni, la Cina ha lottato per sopravvivere tra corruzione, cattiva economia e strutture difettose. Intrighi, brutale repressione dell’opposizione e aiuti occidentali hanno miracolosamente portato la nazione fino a questo punto.

Tuttavia, non tutto è perduto per l’Occidente se dovesse opporsi a questo sistema tanto arrogante quanto malfunzionante. L’autore osserva che la Cina deve affrontare “un’intera serie di problemi strutturali di lunga data, originati da lei stessa”, che potrebbero raggiungere proporzioni di crisi nel prossimo futuro. È giunto il momento di rompere la coerente politica di arrendevolezza e di affrontare il problema in modo frontale.

Fonte: Tfp.org, 25 Aprile 2023. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.

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