La carta d’Europa testo deludente: freddo e giacobino

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Firma del trattato e dell’atto finale che stabiliscono una Costituzione per l’Europa

Ogni Costituzione nasce da un entusiasmo, da una passione e da una mobilitazione che questa Carta non ha certo alle spalle. Ma se la posta in gioco è davvero l’identità dell’Europa, meraviglia soprattutto il disinteresse e la distrazione che le forze politiche più rappresentative hanno dimostrato finora nel Parlamento europeo e nei Parlamenti nazionali

di Romanello Cantini

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che la Commissione di Bruxelles ha reso nota nelle ultime settimane e che il nostro Parlamento sta ora discutendo, è insieme un documento importante ma anche in buona parte deludente. Da un lato la proclamazione a chiare lettere dei diritti essenziali che l’Unione intende far propri ha un effetto selettivo e trascinante. Si pensi, ad esempio, al monito che il rifiuto della pena di morte rappresenta per altri Paesi europei o per Paesi che bussano alla porta dell’Unione pur mantenendo nel loro ordinamento la pena capitale.

E si immagini ancora quale effetto di spinta può avere la parte che riguarda i diritti sociali per molti Paesi dell’Europa dell’Est ancora lontani dai livelli di protezione sociale che la Carta richiede. Ma un principio di Costituzione ha valore soprattutto per il grado di omogeneità interna che una Carta fondamentale può suggerire, per una condivisione di valori facilmente riconoscibile e tale da far individuare l’aspirazione profonda che la anima. Ogni Costituzione è per sua natura anche un compromesso, ma la mediazione raggiunge un risultato quando compie una sintesi e non un’emarginazione dei valori in discussione.

Invece in molti punti della Carta Europea si ha l’impressione che gli estensori del documento abbiano voluto o dovuto girare al largo dalle radici. Per rincorrere l’unanimità si è persa per strada la specificità. Per essere onnicomprensivi si è rinunciato a essere incisivi. Si è voluto tenere conto dell’opposizione della Francia al richiamo all’eredità religiosa del continente, cancellando di fatto la stessa carta d’identità dell’idea d’Europa nata appunto mille anni or sono non da altro che da questa dimensione e fisionomia cristiana. Per soddisfare le obiezioni inglesi si è dovuta annacquare la parte sociale della Carta, tanto che in essa non appare, a differenza della nostra stessa Costituzione, nessun riconoscimento esplicito del diritto al lavoro e del diritto all’abitazione.

Il risultato è che spesso la Carta risulta più un elenco che un discorso. In molti punti si avverte una sorta di freddo tecnicismo giuridico, basato sulla ricezione automatica di una serie di diritti anche nuovi, ma ormai così consolidati nel sentire comune da risultare perfino innocui e talvolta banali. Dopo cinquant’anni dalla prima Dichiarazione dei diritti dell’Unione Europea, e con tutto quello che di nuovo e di inquietante è apparso nel frattempo (si pensi solo ai problemi posti dalla bioetica, alla crisi di natalità, ai rapporti irrisolti di sussidiarietà che stanno scuotendo gli Stati nazionali), è spesso proprio sul presente che attende una risposta che si tace o si evade.

Al di là del censimento apparentemente neutro e freddo dei diritti rivendicati da chiunque e dovunque negli ultimi anni, si ha spesso l’impressione che se si ricerca una qualche ispirazione sotterranea di questo documento, essa appare più giacobina che democratica, più individualista che comunitaria. In un certo senso si potrebbe dire più francese che europea. Non c’è praticamente niente nella Carta che faccia richiamo al Pluralismo civile e istituzionale, al riconoscimento delle comunità intermedie e alla loro libertà, non tanto e non solo per quanto riguarda la famiglia, ma anche per gli enti locali, per la scuola, per la cultura, per le associazioni, per le Chiese, perfino per la realtà sovracomunitaria e mondiale.

In qualche caso si ha la sorpresa di un arretramento o di una timidezza rispetto addirittura a documenti di oltre mezzo secolo fa. Proviamo, ad esempio, a confrontare l’articolo della Carta dove la famiglia è vista solo come oggetto di protezione sociale, con l’articolo molto più pregnante sul piano dei valori della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948: «La famiglia è il nucleo naturale della società e ha diritto a essere protetta dalla società e dallo Stato».

Oppure proviamo ad accostare l’articolo della Carta dove la libertà di educazione viene di fatto affidata alla discrezione delle varie leggi nazionali con l’articolo molto più prescrittivo ed eversivo dello statalismo della stessa Dichiarazione: “I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli”. Sempre nei riguardi della protezione della famiglia, la stessa Carta Sociale Europea del 1961 va molto più in là quando obbliga gli Stati «a promuovere la protezione economica e sociale della vita familiare, per mezzo di prestazioni sociali e familiari, di disposizioni fiscali, di incoraggiamento alla costruzione di alloggi adeguati ai bisogni delle famiglie, di aiuti ai nuovi focolari, e di ogni altra misura idonea».

In effetti è inutile nascondersi che in Europa ormai non siamo più nemmeno tutti d’accordo sul concetto di famiglia, come ha dimostrato per ultima l’Olanda equiparando le unioni di fatto anche fra omosessuali alla famiglia. E da questo punto di vista è certo che non cancella le perplessità un articolo estremamente generico e relativistico della Carta, là dove si afferma che «Il diritto di costituire una famiglia» è garantito «secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio».

Del resto la confusione che ormai regna negli Stati dell’Unione Europea sulla stessa visione della persona umana, non è certo risolta da una Carta che, per non incontrare opposizioni, proibisce la clonazione, ma solo quella “riproduttiva”, protegge l’integrità fisica del corpo umano ma solo quando se ne fa “una fonte di lucro” e in pratica lascia libero spazio a gran parte delle sperimentazioni genetiche. In effetti fino a oggi non sono chiari nemmeno il valore giuridico e il destino di questa Carta.

Non sappiamo se essa sarà l’ennesimo documento prodotto dall’Unione Europea, o invece il nocciolo di una Costituzione comunitaria. In quest’ultimo caso, l'”Assemblea Costituente” non può essere rappresentata certo da una Commissione come quella che ha redatto la Carta e in parte composta da rappresentanti anche senza investitura popolare.

Ogni Costituzione nasce da un entusiasmo, da una passione e da una mobilitazione che questa Carta non ha certo alle spalle. Ma se la posta in gioco è davvero l’identità dell’Europa, meraviglia soprattutto il disinteresse e la distrazione che le forze politiche più rappresentative hanno dimostrato finora nel Parlamento europeo e nei Parlamenti nazionali. I movimenti che almeno a parole si richiamano all’ispirazione cristiana e che in teoria dovrebbero essere in maggioranza nel Parlamento europeo, dovrebbero finalmente accorgersi che non si discute ora delle solite sovvenzioni o rottamazioni, ma né più né meno del sostegno o della demolizione della qualità della civiltà dell’Europa.