Europa: un ideale da realizzare

Europa_allegoriaTrascrizione da nastro della relazione tenuta a Firenze (Palazzo degli Affari)
prof. Leo Moulen

(docente di Storia all’Università di Bruxelles)

Geograficamente l’Europa non è definibile, ideologicamente è divisa in due parti nemiche, storicamente ella ha esitato – seguendo i secoli – tra le nostalgie del Sacro Romano Impero, i sogni di egemonia francesi o tedeschi, la minaccia turca, l’ostilità britannica a tutti i tentativi di unificazione e tra i sogni di revanche dei nazionalismi e sottonazionalismi. Ma nell’immagine vera dell’Europa, quella dei luminosi secoli del Medioevo e la rinascita del Rinascimento, si possono includere – come patrimonio storico – anche le inquisizioni, i gulag, i Buckenwald, le tirannie sanguinose, gli eccidi di una volta e di poco fa, che ugualmente hanno scandito la marcia della nostra storia.

Vorrei qui considerare un solo aspetto: quello che viene chiamato “Rivoluzione industriale”. Quella europea è la sola civilizzazione che abbia conosciuto il fenomeno della Rivoluzione industriale e spiegherò perché ho preso in considerazione questa “rivoluzione”. La questione è: sapere perché si è prodotta in Europa e perché si è prodotta pressappoco verso il 1750 in Inghilterra. Caso, fortuna, accidente storico o, come dico io, il frutto legittimo della storia millenaria dell’Europa?

Alcuni dicono che abbiamo avuto la fortuna di essere più forti di altri popoli, di essere stati animati da uno spirito di avventura che gli altri popoli, nella loro saggezza, non avevano. Per me bisogna allora spiegare perché noi soli, l’Europa sola, possedeva questa forza; onde veniva il gusto per l’avventura e per quale ragione l’Europa è stata per un certo momento della sua storia animata da un’audacia prometeica che ci ha propulsi, secolo dopo secolo, verso destini gloriosi, certo, ma sanguinosi.

Si dice che noi europei siamo stati animati dalla famosa “auri sacra fame“, dall’appetito esecrabile per l’oro. Va bene, accettiamo. Allora la questione, per me storico e sociologo, è: perché siamo stati i soli ad essere animati così violentemente da questa fame e da questa sete d’oro; perché ci siamo dispersi nel mondo; come mai abbiamo avuto gli strumenti per conquistare il mondo?

Per me, da un punto di vista – lo ripeto – per il momento unicamente storico e sociologico, tutti gli altri popoli (i grandi popoli, almeno) hanno avuto spirito di avventura. La questione è di sapere perché noi abbiamo avuto i mezzi tecnici per conquistare il mondo e andare dappertutto e da dove viene la superiorità tecnica che fino ad un certo punto ha caratterizzato il nostro mondo.

La superiorità tecnica e tecnologica europea è molto antica. Già nei secoli del Medioevo, che non so perché sono definiti “oscuri”, eravamo armati meglio degli altri popoli; nel secolo del Rinascimento e in quello successivo disponevamo di oltre cento arnesi, mentre ad esempio gli indiani ne avevano appena tre. Uno specialista di questi problemi ha dimostrato che l’invenzione tecnologica è il frutto dell’ambiente tecnico preesistente e che questo è orientato dai valori del gruppo e della società, è frutto inoltre della struttura mentale degli uomini che compongono questo gruppo e della loro visione del mondo.

Dunque gli oggetti, i prodotti, la ricerca scientifica e tecnologica non sono mai il frutto delle chance o dell’azzardo ma sono prodotti sociali, proiezioni di valori socio-culturali e lo spirito umano che crea questi oggetti e li inventa e anche lui è un prodotto dell’ambiente, della sua epoca. Se sono sbocciati e sono nati qui in Europa il pensiero scientifico e il razionalismo deduttivo non è effetto della fortuna ma è un prodotto nostro, è un fatto di civilizzazione.

Ciò spiega come certe società o certi secoli sono più fecondi di altri per la frequenza, l’originalità, l’ampiezza delle apparizioni e delle produzioni tecnologiche – per considerare solo questo aspetto -. Pensiamo dunque al secolo di Pericle, di Augusto, al ‘400 fiorentino. Altre civiltà non hanno questa produzione giacché tutto l’ambiente si rifiuta di essere orientato verso la produttività tecnologica. Ciò spiega anche le difficoltà che si conoscono oggi a trasferire nel terzo e quarto mondo le novità tecnologiche per l’impreparazione di queste a riceverle.

E’ vero che siamo una civiltà tecnologica, scientifica e razionalista. Questo è evidente; ma non siamo solo questo, come invece tanti dicono. Come spiegare altrimenti questa avventura straordinaria che si stende oltre la tecnologia e la scienza e che fa dell’Europa una civiltà unica, portatrice di valori umani che non si trovano in altre civiltà, pure grandissime?

Io trovo che in Inghilterra si è verificata una convergenza lungamente preparata di decine di fattori: religiosi, socio-culturali, ideologici, demografici, ed anche economici. Questa “Rivoluzione industriale” è venuta, dunque, dopo tutta una serie di rivoluzioni anteriori di tipo spirituale, intellettuale, religiosa, ecc. anche loro frutto di fattori che spiegano il destino particolare dell’Europa. Ecco perché uso le virgolette quando parlo di “Rivoluzione industriale”, poiché non la ritengo una rivoluzione.

Quali sono questi fattori? Uno importantissimo, ad esempio, è il rifiuto del panteismo pagano, senza il quale non si può spiegare lo sviluppo dello spirito scientifico e che potenzialmente si trova già nella Bibbia. Altri fattori sono la distinzione, fondamentale per la nostra civiltà, tra Dio e Cesare che troviamo nel Vangelo, la sacralizzazione del lavoro e della puntualità senza cui non si può spiegare la società moderna, la cui organizzazione è una idea monastica, benedettina. Vi sono poi altri fattori quali il risparmio, che ci viene dall’etica protestante.

Si nota subito che i fattori prima elencati sono tutti fattori religiosi, che sono profondamente e autenticamente europei e appartengono, si può dire, al retaggio della storia europea. Secondo me dunque la “rivoluzione” (sempre tra virgolette) industriale avrebbe potuto non verificarsi in Europa, però dove avrebbe potuto scoppiare se non in Europa? E dico questo senza cadere in un certo etnocentrismo, parziale o storico, che ha fortemente segnato il pensiero europeo del secolo passato e con sé tutte le forme di nazionalismo, specialmente il nazionalismo europeo.

Osserviamo come l’Europa ha solcato tutti i mari del mondo, lo ha evangelizzato, ha scoperto i Poli, ha proposto a tutti i popoli certe forme di pensiero. Anche la riflessione sul fenomeno economico e tecnologico dimostra che anche questo è un prodotto autentico di una certa civilizzazione europea cristiana. Non si poteva aspirare ad una tale avventura tecnologica ed economica senza la presenza del cristianesimo.

E’ evidente che l’Europa non si riduce a questa superiorità tecnologica ed economica. Essa è la patria dei diritti dell’uomo, della donna; della Croce Rossa, dell’idea di Università (nel 1600 ci sono più di cento Università mentre non ce n’è nessuna nel resto del mondo) E’ anche la patria dell’idea falsa e pericolosa, ma affascinante, del progresso lineare, continuo e irreversibile delle speranze insensate investite nell’idea di una evoluzione finale. Tutti questi mali sono prodotti nostri. Quali sono le sorgenti di questi mali?

E’ ormai banale dire che il patrimonio socio-culturale dell’Europa è costituita dal retaggio greco-romano e giudeo-cristiano condito di germanesimo, di celtismo e di slavismo. Su questo tanti hanno scritto delle belle cose, quindi non ne parlerò. Dirò solo poche parole su ciò che penso di questo patrimonio speciale; sui valori giudaico-cristiani, per cominciare.

Non c’è dubbio che i valori giudaico-cristiani sono la sorgente più abbondante e feconda del passato europeo . L’idea della dignità umana, per noi almeno, è una idea cristiana: siamo stati fatti a immagine e somiglianza di Dio e da Lui abbiamo ricevuto doti innate come l’intelligenza, la volontà, la potenza, l’autonomia, la responsabilità, la libertà.

Da secoli, anche in secoli oscuri, siamo, o dovremmo essere, uomini liberi; siamo persona e a questo titolo dobbiamo rivendicare il rispetto totale della nostra dignità. La dignità implica il diritto alla verità e il dire la verità. Altro valore fondamentale del messaggio giudaico-cristiano è l’eguaglianza, che con le altre nozioni di dignità e di libertà le vediamo con la creazione dell’ideale democratico che si trova già in germe nell’organizzazione degli ordini religiosi del medioevo.

Altro apporto decisivo alla formazione dell’Europa, cui ho già accennato, è la distinzione tra Dio e cesare la quale, anche se non è stata sempre osservata, come sappiamo ha messo al riparo l’Occidente dai sistemi teocratici e dal cesaropapismo, che sono gli antenati dei moderni totalitarismi.

Non solo la Chiesa si dimentica qualche volta della storia dell’Europa, proprio Lei che ha formato la sensibilità dei popoli europei; ci sono le eresie, movimenti profetici, interventi marginali e sotterranei che hanno levigato profondamente, più di quanto si pensa, la terra del passato cristiano. Le teorie del monaco Pelagio, ad esempio, durante i secoli in maniera latente o esplicita hanno dato inizio alla filosofia dei lumi, al roussoismo, ai miti della destra e della sinistra, alle attuali nostalgie per una società senza problemi di un paradiso infine ritrovato.

Le idee forza di democrazia, rivoluzione, rinascimento, progresso, senso della storia, socialismo, diritti dell’uomo e della donna sono tutte nate in Occidente. Io sono un sociologo della continuità e sono più sensibile all’osservazione della continuità che a quella delle rotture, perché queste mi sembrano avere le radici nel passato; nella continuità di una società. L’idea di rovesciare una società è un’idea che già si trova nella società che si vuole rovesciare.

Non posso immaginare che tra questi valori cristiani da una parte e i valori umanisti dall’altra ci sia stato unicamente antagonismo (i valori cristiani, si capisce, sono umanisti ma per distinguere mettiamo i valori cristiani da una parte e quelli umanisti dall’altra).

C’è stata, e c’è ancora, una lotta, un confronto; questo è un fatto storico ma io credo, dal mio punto di vista di sociologo, che in seno ai valori cristiani si trovano già i valori dell’Umanesimo e l’essenziale del messaggio umanistico. Per me non ci sono differenze importanti salvo, si capisce, le differenze storiche. Credo che i valori umanistici non sono che i riflessi laicizzati, secolarizzati e democratizzati, qualche volta sacralizzati, dei valori che venti secoli di cristianesimo hanno iscritto nel patrimonio socio-culturale dell’Europa.

La cosa è evidente per valori come libertà, dignità, eguaglianza, fraternità e, più in astratto, per la dignità umana; che sono un prodotto cristiano. Anche l’idea di progresso, che appartiene al secolo passato e provenendo da un Condorcet e da un Karl Marx sembra proprio una idea umanista, è un prodotto europeo autentico che non esiste in nessun’altra civilizzazione e deve il suo impatto all’immagine cristiana del tempo: lineare, continuo, provvisto di un senso, cioè di una direzione e di un significato.

I ritmi ternari del progresso, che sono di Comte, di Heghel e di Marx devono molto a quello spirito straordinario e più che mai attuale nella società che si chiama Gioacchino da Fiore. La nozione dell’evoluzione sorge dall’idea cristiana della resurrezione. Insomma l’idea – ripeto: laicizzata, secolarizzata, democratizzata – della stessa secolarizzazione è familiare da secoli al mondo cristiano attraverso il giudaesimo; almeno in germe.

Visto dal punto di vista unicamente sociologico e storico il cristianesimo può essere considerato come un fattore distruttore di religiosità; un fattore di razionalizzazione. Pensiamo alla strenua lotta della Chiesa cattolica contro il fenomeno sempre latente e minaccioso delle sette, delle superstizioni, della stregoneria, degli alchimisti, dell’astrologia e di altri falsi sogni della natura umana. Il cristianesimo è stato un controllore del sacro, una fede demistificata e demistificante.

Non solo. Se circostanze storiche hanno messo il cristianesimo in conflitto con la volontà umana di secolarizzare completamente il mondo, anche l’ateismo di Foeuerbach e di Marx – il quale scriveva nel 1844 «la critica della religione è la condizione di tutte critiche» – con la sua volontà di rifiutare tutte le forme di alienazione dell’uomo e specialmente l’alienazione religiosa (che per Marx è la principale) ha come punto di partenza il cristianesimo.

Anche l’ateismo dunque ha la sua ragione di essere nell’antropologia cristiana: nella tragedia di un Dio che si fa uomo per salvare l’uomo dalla morte e rendergli la sua totale e originale dignità.

L’uomo ormai sarà un dio per l’uomo: homo homini deus . Questa è l’idea profonda di Marx: rendere all’uomo la sua totale dignità. Da dove viene l’idea che l’uomo ha una dignità tale da poter costruire un mondo nuovo su questa idea, se non dall’antropologia cristiana? E’ così che si spiega come l’ateismo scientifico di Marx è nato in Europa e non altrove; perché si lega ad una idea fantastica, illuminata, esaltante dell’uomo tale da far pensare di poter creare un mondo tutto nuovo, senza, come dicono gli anarchici, maestro e senza Dio.

Io penso che tutti i valori umanisti hanno perso il loro significato, la loro forza nel venire meno dello slancio religioso. Questi valori sono stati religiosamente vissuti da tanti spiriti per lo più incoscienti da recepire e vivere valori cristiani, anche se questi valori non erano vissuti dal popolo cristiano.

Sono stato educato nell’odio della Chiesa e del cristianesimo principalmente perché la mia famiglia era delusa dalle abitudini della Chiesa e perché i cristiani non si comportavano come tali. Noi invece volevamo vivere quei valori umanisti, e non cristiani, ma li vivevamo religiosamente. I miei genitori hanno creduto al progresso (con la “P” maiuscola), all’istruzione pubblica (con la “I” maiuscola), alla rivoluzione (con la “R” maiuscola). Erano credenti ma non cristiani, perché i cristiani non lo erano abbastanza. Il solo uomo che mi hanno insegnato a rispettare è stato Gesù Cristo, che per i miei genitori è stato vittima dei ricchi e dei preti.

Lo ripeto: non vedo contraddizione tra i valori cristiani e i valori umanisti. Alcuni dicono che bisogna considerare il patrimonio greco e latino. Ad esempio per Karl marx l’idolo e l’esempio erano Prometeo e Lucifero perché uno aveva portato la luce agli uomini (Lucifero), l’altro aveva portato il fuoco, entrambi erano fedeli contro lo stato delle cose, contro l’ordine costituito dai potenti. Non credo però che Prometeo e Lucifero possano essere considerati, come dicono alcuni, la matrice culturale e sociale dell’Europa. Chi conosceva durante il medioevo, o anche dopo, Prometeo? Nessuno.

La sensibilità profonda del popolo cristiano durante il Medioevo evidentemente non è stata formata dall’idea prometeica e uomini come San benedetto, San Francesco d’Assisi o Sant’Ignazio di Loyola hanno impregnato l’Occidente delle loro speranze, della loro visione del mondo molto più profondamente di tutta la mitologia greca o di tutta la letteratura romana. Questo mi sembra evidente.

Si fa un gran chiasso quando si recita la frase del filosofo greco Pitagora: «L’uomo è la misura di tutte le cose». E’ esaltante, bisogna ammetterlo e sono d’accordo; ma chi prima del secolo scorso aveva sentito questa frase? Che influenza ha avuto sulla sensibilità profonda del mondo cristiano e della nostra Europa? In quanto agli altri miti moderni – quello di Faust, di Don Giovanni, di Amleto, di Don Chisciotte – sono riflessi della società moderna e non sono mai stati, fino ad un secolo fa, i motori di questa società. La sola eccezione potrebbe essere l’Ulisse di Dante, che è ugualmente punito e sta all’inferno. E’ la sola apparizione del passato che può aver dato una certa idea di sfida all’ordine stabilito delle cose, ma è poco.

Dopo tutte queste riflessioni non ci resta che definire cos’è l’Europa e qual è la sua vera faccia. Per me l’Europa non può essere definita se non in termini di valori. Non esiste geograficamente, politicamente, economicamente, storicamente. L’Europa è un piccolissimo continente che non si può definire altrimenti se non in termini di valori cristiani umanistici. Quando questi valori non sono rispettati, sono calpestati, come nel caso della Germania nazista, l’Europa cessa di esistere.

La Germania nazista era nell’area europea ma non era più Europa avendone rinnegato il retaggio culturale. Analogamente la Russia sovietica, che confonde sistematicamente nella sua ideologia Cesare e Dio (per parlare in termini che ci sono familiari) non è Europa, anche se ad esempio il generale De Goulle diceva che l’Europa si estende dall’Atlantico agli Urali. Per me è altrettanto evidente che la Polonia, la quale lotta per difendere i valori cristiani e lotta anche per noi che non siamo così coraggiosi, è parte integrante del patrimonio europeo.

Tutti i sistemi europei: economici, politici, socio-culturali, come si è fin qui visto, sono fatti di quei valori di cui si è parlato. Sono ad esempio l’incarnazione di quei valori le attività umane che si svolgono nei diversi campi, l’economia di mercato, il regime democratico, lo spirito scientifico, le tecnologie, gli apporti demistificanti delle scienze umane e sociali, le successive rivoluzioni nel campo delle arti, ecc.

Il pericolo maggiore per noi è che tutti questi sistemi sono continuamente rimessi in discussione e, per conseguenza, in disequilibrio permanente. L’Europa è per definizione instabile ed è per natura più minacciata dei grandi imperi del passato e del presente. La nostra civilizzazione non assicura la quiete dell’anima, né la pace sociale. L’Europa è una nave in alto mare, fatta per affrontare le tempeste che essa stessa suscita. E’ la sua stessa natura.

Insomma, è una civilizzazione che per la prima volta nella storia produce essa stessa, per sua natura, le tossine che l’avvelenano e che sono il prodotto di quello che fa; della sua gloria, della sua potenza, della sua nobiltà e della sua ragione d’essere. L’individualismo ad esempio, che è proprio una delle glorie della nostra civilizzazione ed il punto di partenza per il rispetto dell’uomo, abbandonato a se stesso e rimasto senza limiti, è scivolato verso il narcisismo. La volontà legittima di fondare le basi per una società più giusta sbocca in utopie che rivelano tendenze totalitarie.

L’amore per la pace accetta ormai tutte le abdicazioni. La tolleranza fa si che accettiamo l’intollerabile. Lo spirito critico affonda nel nichilismo. La ricerca della felicità, che è legittima, si è avvilita a livello di edonismo di bassa lega. Per la prima volta nel mondo le esigenze di una coscienza scrupolosa provocano una specie di cattiva coscienza paralizzante verso gli altri popoli, la volontà, in se rispettabile, di rendere giustizia agli altri ha fatto disprezzare in maniera eccessiva non solo noi stessi ma ha anche portato ad esaltare oltre misura le virtù del selvaggio, del terzo mondo o del barbaro capace di rivoluzionare tutto il mondo.

Narcisismo, egualitarismo, nichilismo, edonismo, mito del buon selvaggio e del buon rivoluzionario, obsoleto scientismo, nostalgie orientate verso utopie del paradiso perduto e delle società senza problemi. Queste tossine – prodotti della nostra società – poco a poco paralizzano la società. Non si deve dimenticare la tossina che secondo me è la più funesta: il crollo demografico dell’Europa. Anche questo crollo prende origine da un certo numero di tossine che ho già ricordato: narcisismo, edonismo, nichilismo e a sua volta è origine di altre tossine più gravi tra cui il pacifismo o la scomparsa dello spirito di avventura e d’iniziativa che è tipico della nostra civilizzazione.

L’Europa è a tal punto intossicata che lascia dire, ed essa stessa crede, che tutte le civiltà sono mortali; il che non è vero, specialmente per la nostra che per la prima volta nella storia ha in sé i motori che permettono alla società di riadattarsi e di reagire a tutte le sfide che le vengono lanciate dall’Europa stessa.

Quella europea è una civilizzazione del movimento e dell’avventura che in meno di un secolo ha subito una serie incredibile di choc, guerre, rivoluzioni, crisi e mutazioni folgoranti ognuna delle quali avrebbe potuto ferire a morte un altro tipo di sistema politico ed economico. La nostra civilizzazione invece è sopravvissuta; anzi, fino ad ora ha visto accrescere il suo slancio, la sua potenza, la sua ricchezza come se il suo acciaio indurisse al fuoco delle sue catastrofi, in modo tale che la sola forza capace di abbattere la nostra Europa sia l’Europa stessa, o più esattamente le tossine che essa stessa crea come prodotto naturale, autentico del suo patrimonio socio-culturale.

Ne consegue che non possiamo guarire né grazie a qualche soccorso esterno, estraneo al nostro sistema di pensiero e di valori, né grazie all’evoluzione naturale della malattia, poiché in tal caso sarebbe la morte.

Lo ripeto un’ultima volta: siamo noi stessi la sorgente primaria dei mali che ci accasciano. Dunque per me l’Europa perirà, è condannata a morire se non ha la volontà di salvarsi da se sola.