Se la psicologia politica si fa epidemiologia (2020)

PsyPolitics A blog about the psy disciplines and politics 20 Settembre 2020

di Federico Soldani

Su Political Psychology, una delle riviste professionali di riferimento nel settore della psicologia politica, due accademici americani hanno proposto nel decennio passato di “ampliare” (sic) il settore.

Dal retroterra storico della disciplina, ovvero la psicologia sociale, a quello delle neuroscienze e della psichiatria (ma persino della endocrinologia e della genetica), aggiungendo che la metodologia principe da utilizzare per l’ampliamento della psicologia politica alle sfere medico-scientifiche ‘neuro’ e ‘psico’ dovrebbe diventare quella dell’epidemiologia.

Due parole su queste discipline. La psicologia politica applica le conoscenze acquisite attraverso la ricerca in psicologia alla comprensione dei fenomeni politici, quindi si puo’ affermare che psicologizzi la ricerca nell’ambito delle scienze politiche.

Al contrario, quando si parla di bio-politica (M. Foucault) o di psico-politica (termine di uso non comune e di incerta definizione, del quale proveremo ad occuparci in seguito data la sua problematicità) si tende a fare un’operazione in un certo senso opposta, ovvero si politicizzano i provvedimenti e le pratiche che fanno riferimento alla salute fisica e/o mentale della popolazione.

Nel primo caso, quello della psicologia politica, si usa la visuale psicologica per studiare i fenomeni politici, sopratutto in un ambito di studio e ricerca. Nel secondo caso, quello della biopolitica, si usa la visuale politica per studiare i fenomeni relativi a provvedimenti e pratiche per la salute fisica e/o mentale della popolazione.

Lepidemiologia invece è lo studio della distribuzione degli stati di salute e di malattia nella popolazione con lo scopo di misurarli (volgarmente “contare”), studiarne le cause a livello di popolazione (operazione diversa, per sorprendente che possa sembrare, dallo studio delle cause a livello dei singoli), e studiare interventi su queste possibili cause per modificare le distribuzioni studiate. Il padre dell’epidemiologia è considerato John Snow, il quale studiando una mappa di Londra notò come i casi di colera si concentravano attorno ad una pompa dell’acqua nel distretto di Soho, tolta la maniglia alla quale i casi vennero contenuti.

Ai due studiosi americani che propongono di estendere i metodi dell’epidemiologia alla psicologia politica e alla tendenza di cui si fanno portatori, da alcuni nominata neuro-politica, hanno risposto studiosi svedesi evidenziando come si corra il rischio di portare a una “patologizzazione della politica”, che trasforma problemi politici in deviazioni biologiche.  

Nel suo libro Psico-politica tra le due guerre (Palgrave, 2020), Freis afferma: “Il tentativo psichiatrico di diagnosticare e trattare la società può far luce sulla storia politica del periodo tra le due guerre […] Pur sottolineando la loro posizione non politica, i membri di queste professioni non rinunciarono a dire la loro su come la società dovrebbe essere organizzata e amministrata.

Al contrario, una razionalità scientifica e tecnologica oggettiva e non partigiana appariva come una reale alternativa alla presunta miopia, emotività e interesse personale dei partiti politici. […] gli anni tra i due conflitti mondiali divennero il periodo di massimo splendore delle idee utopiche di “ingegneria sociale” e videro l’ascesa e la caduta della “tecnocrazia” – una nozione introdotta nel 1919 – come movimento organizzato.

La convinzione che la società dovesse essere rimodellata e i suoi problemi risolti razionalmente, oggettivamente e con mezzi tecnoscientifici unì esperti di diverse discipline dietro un’idea di politica antipolitica. In quanto influente “ideologia di fondo”, le idee tecnocratiche possono attraversare i confini tra i campi politici stabiliti e anche oltre i confini di una tradizionale definizione di politica. In fatto di “politica non politica”, la medicina non si distingueva.

Durante tutto il diciannovesimo secolo, i medici si erano allontanati con forza dalla sfera politica e insistevano sulla non partigianeria e autonomia della loro disciplina. Verso la fine del secolo, il rifiuto enfatico e la denigrazione di qualsiasi cosa fosse politica sempre più si accompagnò a richieste di un’appropriazione di responsabilità politiche da parte di esperti medici.

Come ha mostrato lo storico Tobias Weidner, questi due filoni del discorso medico sulla politica erano due facce della stessa medaglia, poiché il ripudio medico della politica divenne il fulcro di un’agenda antipolitica che rifiutò la tradizionale politica dei partiti a favore di idee scientocratiche.” Come usava dire il grande medico Rudolf Virchow “la politica è medicina su larga scala”.