Terra Santa Senza cristiani

Il Borghese n. 12 dicembre 2019

di Giuseppe Brienza

Se Gerusalemme era in origine una città pagana (fino all’anno 1000 a.C., si chiamava Gebus), c’è il rischio che lo ritorni a essere se continuerà nei prossimi anni l’esodo graduale indotto di tanti cristiani.

Oggi la Città Santa conta infatti quasi 900mila abitanti, il 60% ebrei e il 38% arabi circa, con soli 15mila i cristiani rimasti. I fedeli di Gesù sono oggi 170mila in tutto Israele, pari al 2%. Numeri incredibili se pensiamo che soli settant’anni fa i cristiani erano uno ogni 10 abitanti in Terra Santa.

Le cause? Oltre all’esodo graduale indotto (p. Giovanni Battistelli, Custode francescano di Terra Santa nel 2000, ha parlato di «piccole e grandi difficoltà che vengono continuamente create per noi Cristiani» dagli israeliani) anche la ridotta entità degli indici di natalità dei cristiani, che è molto inferiore a quella della popolazione locale musulmane e naturalmente degli ebrei.

Perché la Città Santa è così importante per i cristiani ancora oggi? Esclusivamente per motivi religiosi e culturali, non si tratta di rispolverare rivendicazioni politiche. Vale la pena ricordare che, secondo i vangeli sinottici, Gesù sale a Gerusalemme per celebrarvi l’Ultima Cena, mentre per il Vangelo di San Giovanni il Salvatore ci va più volte, seguendo le feste di pellegrinaggio, perché questa è la sua patria terrena.

Dopo la resurrezione, gli apostoli attendono il Suo ritorno a Gerusalemme (At 1,4-8), ed Egli gli annuncia lì la venuta dello Spirito Santo, che si manifesta a Pentecoste. D’allora la salvezza parte dalla Città Santa per raggiungere gradualmente tutte le nazioni.

La “nuova Gerusalemme”, patria dei battezzati, è quindi chiamata a superare quella della terra ma, questo, non può voler dire che possa vivere senza più cristiani, uomini e donne cioè che la abitino consapevoli del suo valore sacro e che siano un “presidio” al pieno rispetto, alla sicurezza e al libero accesso e pellegrinaggio in tutti i Luoghi Santi.

Non è un caso del resto che un Papa previdente come Pio IX (1846-1878) volle costituire fin dal 1847 il “Patriarcato Latino di Gerusalemme”, ordinando di finanziarne una sede episcopale residenziale.

L’attuale amministratore apostolico di Gerusalemme (nominato da Papa Francesco nel 2016) è mons. Pierbattista Pizzaballa, un biblista appartenente all’Ordine dei Frati minori francescani, promotore di molte opere di carità materiale e spirituale per i cristiani che vivono nella terra di Gesù.

Ma non solo, basti pensare che nelle aule scolastiche gestite dalla Chiesa cattolica siedono negli stessi banchi ebrei e palestinesi e sono ammessi anche musulmani. La storia della Chiesa testimonia e documenta come quasi ogni Successore di Pietro ha avuto a cuore la Terra Santa, i suoi popoli, le sue reliquie e le notevoli difficoltà che, lungo duemila anni di storia, i cristiani lì hanno dovuto affrontare.

I Pontefici che però si sono potuti recare in pellegrinaggio in Terra Santa sono stati solo 4 e Papa Francesco è stato l’ultimo (la Santa Sede ha allacciato relazioni diplomatiche con Israele solo nel 1993 e, a tutt’oggi, non è stato firmato un Concordato fra le due parti).

Ci sono stati naturalmente molti Papi che hanno espresso il desiderio di toccare la Terra Santa ma che non ci sono riusciti per vari motivi. Tra questi due grandi del Medioevo come Gregorio VII (1073-1085) e Urbano II (1088-1099). Quest’ultimo fu il Pontefice che, nel 1095, lanciò il famoso “appello di Clermont” che chiamò alla prima Crociata (1096-1099) per tentare di conquistare la Terra Santa.

È interessante osservare a questo proposito che l’attuale Stato di Israele si trova esattamente nella stessa posizione degli Stati crociati dei secoli XII-XIII, vale a dire una punta avanzata dell’Occidente in uno spazio geografico completamente islamizzato.

In definitiva è un fatto, e direi significativo, che i pellegrinaggi dei Papi in oltre duemila anni di storia del cristianesimo si sono realizzati di fatto solo nell’ultimo mezzo secolo, per la precisione tra il 1964 e il 2014.

Alcuni esempi contemporanei di mancato rispetto dei Luoghi Santi? In primo luogo il Santuario di Nazareth che, fino alla costruzione nel 1969 della Basilica dell’Annunciazione da parte della Custodia di Terra Santa sulla base di un progetto preparato dell’architetto milanese Giovanni Muzio (1893-1982), versava in una triste e umiliante condizione, deprecata persino da Giovanni XXIII quando vi si recò in pellegrinaggio diversi anni prima di divenire Pontefice.

Ma che il problema della sicurezza e del rispetto dei Luoghi santi esista l’ha confermato l’episodio drammatico dei 39 giorni di assedio della Basilica della Natività, edificata da Costantino Imperatore nel 330 d.C., dove nacque Gesù, dal 2 aprile al 10 maggio del 2002.

Durante la “seconda Intifada”, infatti, in questo triste frangente si sono visti carri armati israeliani schierati vicino a piazza della Mangiatoia e granate fatte esplodere nei paraggi della Basilica, il tutto per “stanare” 200 miliziani palestinesi armati rifugiatisi nel Luogo Santo.

Secondo l’allora sindaco di Betlemme, al termine del conflitto si sono registrati ben 15 morti. Poiché lo Stato di Palestina non rinuncia a considerare la città come sua capitale, la questione di Gerusalemme non può non continuare a costituire un tema destabilizzante e fonte d’insormontabili difficoltà nel processo di pace.

Ricordiamo che Gerusalemme è oggi tutta sotto il controllo israeliano e, fin dal 1950, lo Stato d’Israele l’ha proclamata sua unica e indivisibile capitale contro la volontà, espressa fin dal 1947, delle Nazioni Unite (lo Stato d’Israele è stato proclamato il 14 maggio 1948 allo scadere del protettorato britannico – a sua volta subentrato al dominio ottomano nel 1917, con l’occupazione in quell’anno della Palestina da parte del Regno Unito, cfr. Jill Hamilton, Il Dio in armi. La Gran Bretagna e la nascita dello Stato di Israele, Corbaccio, Firenze 2009 -).

Dal 1994 esiste l’Autorità nazionale palestinese ma, d’allora, ci sembra di poter dire che la condizione degli arabo-palestinesi è peggiorata progressivamente (il 90% dei cristiani in Terra Santa è di nazionalità araba). Fino al recente scacco del riconoscimento unilaterale (dicembre 2017), del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di Gerusalemme come capitale e sede del Governo di Israele (l’ambasciata USA è stata trasferita da Tel Aviv nel maggio 2018).

Per non penalizzare i diritti dei cristiani e degli arabi, Giovanni Paolo II ebbe a ribadire più volte fin dall’inizio del suo Pontificato la necessità di «uno statuto speciale che, sotto garanzie internazionali assicuri il rispetto della particolare natura di Gerusalemme, patrimonio sacro alla venerazione di milioni di credenti delle tre grandi Religioni monoteistiche, l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam» (Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, New York, 2 ottobre 1979).

La necessità di una presenza cristiana “stabile” e garantita a Gerusalemme è stata incoraggiata da Papa Francesco che, alla fine del suo pellegrinaggio in Terra Santa, rivolgendosi ai cristiani che ancora eroicamente vivono lì ha affermato: «La vostra presenza qui è molto importante; tutta la Chiesa vi è grata e vi sostiene con la preghiera. Da questo luogo santo, desidero rivolgere un affettuoso saluto a tutti i cristiani di Gerusalemme: vorrei assicurare che li ricordo con affetto e che prego per loro, ben conoscendo la difficoltà della loro vita nella città» (Meditazione nella Chiesa del Getsemani, Gerusalemme 26 maggio 2014).

Il fatto è che mentre due delle “parti in causa” godono di un sostegno internazionale (Israele da parte degli Stati Uniti, i palestinesi dalla Lega Araba), ai cristiani di Terra Santa manca quasi del tutto un interessamento da parte dell’Unione europea. Forse troppo impegnata nella contabilità…