Ambiente e Creato, sono due visioni contrapposte

La Nuova Bussola Quotidiana

14 Ottobre 2019  

ll Sinodo dell’Amazzonia sta mettendo in risalto un altro punto di grossa confusione che esiste a proposito di ambiente e di clima. Si tratta dell’uso dei termini “ambiente” e “Creato” come se fossero la stessa cosa. In realtà si tratta di due visoni contrapposte e inconciliabili. La storia della Chiesa ci offre un esempio luminoso di cosa voglia dire “collaborare alla Creazione”, peccato che oggi i vertici preferiscano correre dietro a ideologie mondane.

di Riccardo Cascioli

Il Sinodo dell’Amazzonia sta mettendo in risalto un altro punto di grossa confusione che esiste a proposito di ambiente e di clima; è una confusione terminologica che riguarda direttamente il mondo cattolico e che ha gravi conseguenze sia dal punto di vista concettuale che operativo.

Si tratta dell’uso dei termini “ambiente” e “Creato” come se fossero la stessa cosa. O, meglio, come se Creato fosse il termine cristiano per indicare l’ambiente ma sostanzialmente con lo stesso significato.

Ma così non è, anzi l’uso delle parole ambiente e Creato rappresenta la realtà di due visioni contrapposte e inconciliabili. Ci riferiamo ovviamente al termine ambiente secondo la mentalità ecologista dominante, che è portatrice di una visione negativa dell’uomo.

Egli sarebbe elemento di disturbo di una natura che – sottinteso – sarebbe in condizioni molto migliori se l’uomo non ci fosse (ne abbiamo parlato anche a proposito del concetto di sviluppo sostenibile).

Si teorizza che la Terra sia un organismo vivente autosufficiente (è l’ipotesi Gaia, ad esempio), in equilibrio perfetto prima dell’intervento dell’uomo. L’unica possibilità per l’uomo di non “disturbare”, sembrerebbe quella di restare allo stadio primitivo, contando solo su ciò che la natura provvede. Da qui l’esaltazione dei popoli primitivi, come vediamo anche in questi ultimi tempi a proposito dell’Amazzonia, che in questa visione sono di esempio per tutti.

L’ambiente è quindi inteso come “altro” rispetto all’uomo, e quest’ultimo ci può vivere a patto che faccia meno attività possibile e, anzi, limiti anche la sua presenza quantitativa. In questi primi giorni di Sinodo, non a caso, è stata teorizzata da qualche padre sinodale la riduzione dell’uomo a “ospite” della terra. E non sorprende che il movimento organizzato attorno a Greta Thunberg e ai Fridays for Future, abbia motivato anche il movimento di giovani che si impegnano a non mettere al mondo nuovi figli.

“No future, no children” (Niente futuro, niente bambini), si chiama quello più noto, ma già da molti anni fa proseliti, soprattutto nel mondo anglosassone, il “Movimento di Estinzione Volontaria dell’uomo”. E alcuni anni fa, in una delle Conferenze internazionali sul clima, il rappresentante cinese ebbe a dire che la Cina aveva già fatto molto per lottare contro i cambiamenti climatici, soprattutto con la “politica del figlio unico”, che in quasi 40 anni ha impedito la nascita di 400 milioni di bambini.

Da qui viene anche l’espressione “difesa dell’ambiente”. Difesa perché evidentemente c’è un aggressore, che infatti è l’uomo, e che va quindi messo in condizione di non nuocere. D’altra parte, siccome la Terra – secondo questa mentalità – sarebbe un organismo vivente, ecco che si “ribella” davanti ai soprusi dell’uomo.

Reagisce alle aggressioni come fa il nostro corpo con i virus, ovvero con la febbre, l’aumento di temperatura. Tanto è vero che a proposito del riscaldamento globale si parla comunemente di “febbre del pianeta”. Ancora, la “difesa” implica anche che l’obiettivo sia la conservazione della natura, il mantenere le cose intatte, consegnare alla generazione futura quello che è stato consegnato all’attuale, nelle stesse condizioni. E infatti i primi movimenti ecologisti, che risalgono alla fine dell’Ottocento, erano in realtà movimenti per la conservazione della natura.

Completamente diversa la concezione di Creato, che anzitutto pone in rilievo l’esistenza di un Creatore da cui tutto dipende. La terra è dono di Dio all’uomo. Egli, dunque, non è solo parte del Creato, ma è la prima tra le creature. Esiste una gerarchia ontologica tra l’uomo e gli altri esseri viventi. D’altro canto proprio perché è anch’egli creatura, l’uomo deve rendere conto al Creatore. Ecco perché si parla di cura o di salvaguardia: non si tratta di “difendere” ma di “far crescere”. San Giovanni Paolo II parlava di «collaborazione alla Creazione».

Ed è qui che si gioca la libertà dell’uomo: se segue il progetto di Dio egli rende la Creazione più bella e più umana; se persegue il proprio progetto invece “sfigura” la Creazione. Per questo motivo papa Benedetto XVI ebbe a dire una volta che la minaccia più grave per l’ambiente è l’ateismo. Quando si abbracciano ideologie che vogliono negare il Creatore, inevitabilmente si oscilla tra l’idolatria naturalistica e il culto disumano della tecnica, tra l’adorazione di Gaia e lo sfruttamento irrazionale delle risorse.

Al contrario, nella storia della Chiesa c’è un esempio luminoso che dimostra come dal riconoscimento del Creatore ne discende un gran bene sia per gli uomini sia per la natura. Stiamo parlando del monachesimo benedettino. Chiunque abbia visitato un antico monastero, normalmente collocato in altura, non avrà potuto fare a meno di notare la bellezza del posto in cui si trova. Qualcuno avrà anche pensato al buon gusto e alla furbizia dei monaci, che hanno saputo scegliersi delle belle località.

È giusto invece riflettere che questi posti paesaggisticamente incantevoli, non erano affatto così quando i monaci vi sono arrivati. Al contrario, erano posti selvaggi e inospitali e, soprattutto nell’Alto Medioevo ai monaci si deve la valorizzazione del lavoro e la bonifica dell’ambiente che ha permesso di ricostruire letteralmente l’Europa, quando tutto sembrava destinato alla distruzione e all’abbandono.

«Dobbiamo ai monaci – scrive Thomas E. Woods nel libro “Come la Chiesa cattolica ha costruito la civiltà occidentale” (Cantagalli 2007) – la ricostruzione agraria di gran parte dell’Europa. Ovunque andassero, i benedettini trasformarono terra desolata in terra coltivata. Intraprendevano la coltivazione del bestiame e della terra, lavoravano con le proprie mani, prosciugavano paludi e abbattevano foreste». E ancora: «Ovunque andassero i monaci portavano raccolti, industrie o metodi di produzione che nessuno aveva mai visto prima. Introducevano qui l’allevamento del bestiame e dei cavalli, lì la fabbricazione della birra, o l’apicoltura, o la frutticoltura».

Anche in Italia abbiamo innumerevoli testimonianze di luoghi diventati ospitali e rigogliosi, buoni per l’uomo, grazie alla presenza dei monasteri benedettini. Ma tutto questo non era frutto di un progetto ambientale o di un’analisi sulle condizioni degli ecosistemi.

La radice di questo strepitoso successo l’ha descritta molto bene papa Benedetto XVI nel suo famoso discorso al Collège des Bernardins a Parigi il 12 settembre 2008, parlando proprio del “segreto” dei benedettini: «Il loro obiettivo era: quaerere Deum, cercare Dio. Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio». Il resto – la cultura, le università, il canto e anche l’ambiente – sono tutte conseguenze.

Bastano queste poche note per intuire quale tragedia sia per l’intera umanità il fatto che i pastori della Chiesa abbiano abbandonato la visione cattolica per seguire un ambientalismo mondano che, contrariamente alle dichiarazioni d’intenti, è distruttivo della natura.