La più santa fra le donne la più donna fra le sante

Litterae Communionis Anno VI – Ottobre 1979

Cercate ogni giorno il volto dei santi… 15 ottobre Teresa d’Avila

Germana Jannaccone

Non è sempre facile cogliere il senso e la funzione della vita dei santi. Per Teresa de Ahumada questa difficoltà non c’è: innanzitutto perchè la sua vita ha una unità molto evidente e in secondo luogo perché lei stessa si è accanita nel comprendere il senso della sua vita e nello spiegarlo. Resta, è vero, l’impaccio di dover scrivere di lei in poco spazio perchè raramente, nella storia dei santi, c’è stata una vita così ricca e così feconda.

Il 27 settembre 1970, durante la liturgia della Messa per il riconoscimento a Teresa del titolo di «Dottore della Chiesa», il S. P. Paolo VI affermava: «Il solo fatto di proferire il nome di questa santa, singolarissima e grandissima,… solleva nelle nostre anime un tumulto di pensieri… La vediamo come donna eccezionale, come religiosa che irradia intorno a sè la fiamma della sua vitalità umana, come riformatrice e fondatrice di un insigne Ordine religioso, e scrittrice genialissima e feconda, somma maestra di vita spirituale, contemplativa incomparabile e indefessamente attiva: com’è grande! Com’è unica! Com’è umana! Com’è attraente!…».

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Teresa nasce ad Avila, nella vecchia Castiglia, il 28 marzo 1515 figlia dei nobili don Alfonso de Cepeda e donna Beatrice de Ahumada. Entra nel monastero dell’Incarnazione nel 1535; diventa fondatrice nel 1562; muore nel 1582. Dunque tre grandi periodi: venti anni in casa, ventisette all’Incarnazione, venti anni di fondazione di monasteri e di magistero spirituale.

Nel primo periodo vive soprattutto ad Avila, città bellissima posta su di un altipiano, raccolta entro torri di pietra forte, battuta dai venti della Sierra de Gredos; città dove i portali delle chiese si alternavano a quelli dei palazzi signorili. Teresa vi conduce un tipo di vita da nobile, in un clima di guerra (guerra di Navarra che segna l’inizio della gloria di Carlo V). Bambina bella, rioca, amata, famiglia piena di affetto, stile di vita cristiano e cavalleresco, culto dei libri e delle armi.

A sette anni legge il «Flos sanctorum» e affascinata da quel «sempre» che caratterizza l’eternità è afferrata dal desiderio di vedere Dio. Lei stessa racconterà la fuga da casa col fratellino Rodrigo: «…decidemmo di recarci nella Terra dei Mori, elemosinando per amore di Dio, nella speranza che là ci decapitassero…».

Quando Teresa ha tredici anni le muore la mamma e pochi anni dopo, il padre, preoccupato per le amicizie sempre più vaste che occupano la giornata della figlia, la porta nel collegio delle Agostiniane. Teresa ha sedici anni e soffre molto la temporanea mancanza da casa. Nel 1532 si ammala ed è costretta ad uscire, proprio mentre incominciava a maturare la vocazione religiosa.

Durante il viaggio di ritorno si ferma ospite dello zio don Pietro Sanchez de Cepeda e ha così modo di leggere S. Girolamo, che le dà il coraggio per superare l’opposizione del padre che l’amava molto e non voleva staccarsi da lei. Occorre notare subito l’importanza che nella vita di Teresa hanno avuto i libri che leggeva: S. Girolamo, S. Agostino, l’Osuna sono stati occasione e stimolo grandi.

Nel 1535, a vent’anni, entra nel monastero carmelitano dell’Incarnazione: «quando lasciai mio padre provai tale spasimo che non credo doverlo sentire maggiore in punto di morte… la lotta fu tale che se il Signore non mi avesse aiutata ogni mia considerazione sarebbe stata insufficiente…». Questa prima conversione è ancora molto imperfetta. Basti pensare alle motivazioni per cui Teresa scelse il convento dell’Incarnazione: perchè non si fanno le penitenze delle Agostiniane, perchè c’è dentro già una sua amica, perchè ha paura dell’inferno (!).

Intanto i suoi fratelli lasciano la Spagna per il Nuovo Mondo. Sono molti gli «hidalgos» attratti dalle Indie, e Avila diventa una città di donne, preti e vecchi: questo è un dato assai importante per capire come Teresa, affascinante ed esuberante di vita, sia venuta improvvisamente a trovarsi in un ambiente mediocre.

Nel secondo periodo Teresa è all’Incarnazione. Dopo un primo momento di grande fervore, nel 1538 si ammala di nuovo e gravemente (ormai resterà per tutta la vita un’ammalata, anche se la debolezza esterna del suo corpo sarà sempre superata dal suo coraggio e dalla sua passione per la vita). Necessita di cure, lascia il monastero e di nuovo è ospite dello zio Pietro.

Questa volta le capita fra le mani il libro di Francesco Osuma («Subida de monte Sion») e determina di darsi seriamente e in modo più preciso un tempo di preghiera; sono di questo tempo i primi bagliori di grazie mistiche. Tornata nella casa paterna è assalita dal male al punto di essere considerata morta. Per tre giorni non dà più segno di vita, al quarto giorno riapre gli occhi esclamando: «…Chi mi ha chiamata? Ero in cielo … ho visto i conventi che dovrò fondare … morrò santa».

Nel 1539 ritorna all’Incarnazione dopo otto mesi di immobilità in un letto e per tre anni resterà mezza paralizzata. La guarirà S. Giuseppe cui Teresa ha chiesto la grazia: resterà devotissima di questo santo.

Riprende la vita religiosa con poco slancio. Il parlatorio è preferito alla solitudine: la malattia ha maturato e approfondito il suo pensiero e molti vanno alle grate del monastero per ascoltarla. Pochi possiedono il dono del conversare quanto Teresa: tratto semplice, naturale e insieme brillante, composto secondo una istintiva signorilità, attentissima agli altri, esercita un grandissimo fascino su chi l’avvicina.

Il 1554 è l’anno della seconda conversione: «… Da qui innanzi la storia della mia vita sarà un libro nuovo perchè ora è la storia di Dio che vive in me». L’avvenimento che provoca questa svolta decisiva è rincontro di Teresa con l’immagine di un Cristo piagato, l’Ecce homo, ed insieme la lettura delle Confessioni di S. Agostino.

Il suo cammino di fede diventa una corsa da gigante; sempre più frequenti le grazie mistiche che culmineranno con la trasverberazione del cuore da parte di un Serafino nel 1560. (Questo fatto straordinario — simile a quello delle Stigmate in Francesco d’Assisi —, riconosciuto reale dal S. P. Benedetto XIII, fu il segno tangibile di come l’Amore di Dio aveva assunto tutta la vita di Teresa. Il cuore della Santa, che si venera nella Chiesa carmelitana di Alba de Tormes, lo si vede ferito in più parti e bruciato).

Nel terzo periodo attua la riforma dell’Ordine e incominciano le fondazioni dei monasteri e l’insegnamento attraverso gli scritti. Percorre le regioni e le strade di Spagna: entra in contatto con tutti, re, spazzini, carrettieri, preti, vescovi, teologi, ministri, operai, postini (il Ribera, suo contemporaneo, dà per certo che conoscesse tutti i postini di Spagna (!), dal corriere maggiore di Filippo II al più umile postino). E’ richiesta in ogni sorta di situazioni: matrimoni, vendite, acquisti, litigi, ecc. Questo periodo segna l’esplosione piena della sua umanità.

Nel 1562 nasce il primo monastero della riforma, quello di S. Giuseppe in Avila. E’ lei stessa che motiva la riforma: «… Verso quel tempo ebbi notizia dei danni che i Luterani facevano in Francia (allude alle guerre di religione scatenate dalla Riforma protestante che culminarono nella famosa strage della notte di S. Bartolomeo, il 24 agosto 1572). Ne provai una gran pena e mi lamentai col Signore, supplicandolo di porre rimedio a tanto male … Vedendomi donna e impossibilitata a fare ciò che avrei voluto per la gloria di Dio, desiderai che avendo il Signore tanti nemici e così pochi amici, questi almeno gli fossero devoti».

Nel 1566 si incontra col Padre Maldonado, un missionario d’America, che le parla delle condizioni degli Indios; Teresa ne rimane sconvolta, e pensa di fondare il Carmelo maschile perchè i Frati potessero andare nelle missioni.

Inizia il conflitto con i Superiori: calunniata, derisa, equivocata, affronta molte amarezze e incomprensioni e non cercherà mai di difendersi, pur avendo la certezza di camminare nella verità, secondo il disegno di Dio. Soltanto un anno e mezzo prima della morte verrà superato questo lungo e doloroso momento.

Nel 1582 Teresa muore, la sera del 4 ottobre, nel convento di Alba de Tormes. Dopo una vita consumata nella ricerca della gloria di Dio, le sue monache la sentono esclamare, con lo sguardo acceso di amore e il viso splendente di speranza: «Signore mio, è ben tempo che ci vediamo!…». E ancora, quasi ripetendo una giaculatoria, intercalandola al versetto del salmo: «cor contritum et humiliatum, Deus, non despicias», continua a dire: «dopo tutto, Signore mio, sono figlia della Chiesa».

Nel 1622, quarant’anni dopo la sua morte, sarà canonizzata da Gregorio XV.

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Sono tre gli elementi da tenere presenti per cogliere la statura di fede di S. Teresa: è legata alla spiritualità della Spagna del «secolo d’oro», è figlia della Chiesa tridentina e della Controriforma, è monaca carmelitana.

Teresa ebbe stretti rapporti con i teologi più grandi del ‘500 (i teologi di Alcalá e di Salamanca) che segnano la rinascita della teologia scolastica, la grande fioritura tridentina. Basti pensare che il migliore amico della santa fu il padre Bañez, domenicano, che rappresenta un punto di partenza per la scissione del tomismo in due scuole, il tomismo puro e il suarezismo.

Teresa conosce bene le correnti spirituali spagnole (gesuita, domenicana, francescana), vive fino in fondo il suo tempo tipicamente eroico, così opposto alla nostra concezione borghese per la quale la conquista è il comodo. Aperta ai problemi dell’Europa e dell’America che, come abbiamo detto, diverranno le motivazioni più determinanti per lei.

D’altra parte non appartiene a nessuna corrente e risulta originale. Nell’omelia già citata del 27 settembre 1970, il S. P. Paolo VI ha infatti affermato: «… è la prima donna cui la Chiesa conferisce il titolo di dottore… La sua figura si colloca in un’epoca gloriosa di santi e di maestri che distinguono il loro tempo con lo sviluppo della spiritualità. Teresa li ascolta con l’umiltà della discepola ma al tempo stesso sa giudicarli con la perspicacia di una grande maestra…».

Teresa, soprattutto, è figlia della Chiesa: possiede un forte senso ecclesiale, è assetata di cattolicità e, sensibile alla posizione di Lutero e alle decisioni di Trento, sottolinea la vita interiore, la centralità di Cristo, il calore della gerarchia, l’aspetto missionario della Chiesa.

Ciononostante, la santa è immune dal giuridismo tridentino e post-tridentino. «… Il suo sentire con la Chiesa, il suo non darsi pace dinanzi alla rottura dell’unità e alla dispersione delle forze, l’ansia di edificare il Regno di Dio, la decise a penetrare nel mondo che la circondava con una visione riformatrice e singolare per imprimergli un senso, un’armonia, un volto…» (Paolo VI, ancora nell’omelia citata).

Sensibilissima alla Scrittura che diventa per lei criterio immediato, consapevole di essere costituita dall’avvenimento di Cristo che l’ha percossa, non desidera altro che quello stesso avvenimento cambi la vita degli uomini.

Teresa si fa monaca carmelitana ma non si preoccupa molto di approfondire la spiritualità dell’Ordine che da circa tre secoli vive in Occidente. Entrata all’Incarnazione per motivazioni personali, Teresa è troppo tesa a vivere fino in fondo il momento storico della Chiesa e della Spagna per non cercare di rispondere al bisogno urgente che travaglia la vita cristiana di quel tempo. Più che riformatrice, è fondatrice, più che figlia è Madre del Carmelo. Ella fa fiorire la tradizione carmelitana precedente portandola al suo pieno rigoglio e dandole un volto di ecclesialità matura.

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I tre elementi ricordati, quindi, pur essendo importanti, restano contestuali ed esterni.

Quali sono, allora, le caratteristiche di Teresa di Ahumada, quale il suo insegnamento, quale il suo messaggio?

Ciò che la caratterizza è l’Amore, il suo intendere la vita puramente come risposta all’amore di Dio, che fa dono di sè. Dio è il senso della sua vita come è il senso della vita di ogni uomo e di tutta la storia. Il peccato non è ostacolo: Teresa si scopre, si confessa peccatrice, ma lo fa ebbra di gaudio perchè Dio è misericordia e l’ama così.

«Oh la tua misericordia, con quanta ragione dovrei io sempre cantarla!». «… Non permettete, figlie mie, che vi esca di mente la memoria della sua misericordia». «… tutto mi servì per meglio conoscere il Signore, per amarlo e comprendere il molto che gli dovevo».

Se Teresa è così attenta ai valori interiori dell’uomo e del cristiano è proprio perchè sa che l’uomo porta dentro di sè il bisogno di Dio: da Dio creato, in Lui sussiste e a Lui è destinato.

Le sue amicizie, il suo conversare non tendono che ad attirare l’attenzione sul mistero amoroso di Dio. Oltre le comunità di monache, cerca di creare ambiti di comunione: «… Tra noi cinque (quattro teologi e la santa) che ci amiamo in Cristo, vorrei che si formasse una specie di intesa affinchè, come altri oggi si uniscono per ordire eresie, noi ci unissimo per aiutarci, correggerci dai nostri difetti e spingerci a servire meglio il Signore».

Tutta la vita di Teresa è fortemente segnata da questa dimensione, non si spiegherebbe diversamente il fascino che la sua figura ha esercitato e continua ad esercitare su chiunque la accosta nei suoi scritti. Sono molti i teologi, i santi, i religiosi, i laici che in questi quattro secoli si sono alimentati al suo insegnamento; moltissime le conversioni provocate dalla lettura dei suoi scritti. Teresa ripete che la sola etica cristiana è la carità, una carità operante, che fa operare. Le sue «Lettere» sono tutte traboccanti di affetto.

L’insegnamento di Teresa è profetico: la sua dottrina non è altro che la confessione della sua vita, della sua esperienza.

Per il suo tempo era una novità assoluta il partire dall’esperienza vissuta, e non dai principi dogmatici: veniva capovolta la situazione precedente. Tutto il suo insegnamento parte dalla sua esperienza di Cristo.

«La sua dottrina risplende dei carismi della verità, dell’ortodossia, dell’utilità per le anime — afferma il S. P. Paolo VI —, del carisma della sapienza che ci fa pensare all’aspetto più attraente e insieme più misterioso del dottorato di Teresa, all’influsso cioè della divina ispirazione in questa prodigiosa scrittrice… ».

Dobbiamo qui ricordare che la crisi religiosa provocata da Lutero era profonda non perchè intaccò le strutture, ma perchè intaccò lo stesso mistero della salvezza. Là dove i teologi del Concilio di Trento intervengono e parlano di «giustificazione», Teresa interviene come profeta.

Lei percepisce dentro di sè la vita di Cristo e ci racconta gli effetti dell’umanità nuova del Figlio di Dio, ci confessa che il suo vivere è Cristo, la sua vita è partecipazione di quella vita che è Amore di Dio fatto carne. Sono molte le pagine di Teresa sull’umanità di Cristo come sacramento della vita cristiana. Lutero afferma che Cristo non cambia l’uomo; può solo ricoprirlo della sua vita. Teresa dice il contrario e per questo insiste sulla vita interiore: lei ha fatto l’esperienza della vita nuova e non può accettare che la si neghi.

Teresa è una grande mistica, ha cioè una singolare esperienza del mistero cristiano. «… Nella festa di S. Pietro … vidi accanto a me Cristo … lo sentii, anzi, perchè non vidi nulla con gli occhi del corpo… Dapprima mi spaventai perché non sapevo che si potessero avere simili visioni… mi pareva che Cristo mi camminasse sempre a fianco…». E’ la comunione con Cristo che colma Teresa di una travolgente passione d’amore. La veemenza di questo amore è testimoniata dalla sua vita e dalle sue opere, pur se il vero Amore è sempre più grande delle sue opere.

Quando la dottoressa Edith Stein — assistente del fenomenologo Husserl, ebrea prima, poi monaca carmelitana e infine martire del nazismo ad Auschwitz — lesse l’autobiografia di Teresa, confidò agli amici: «Cominciai a leggerla e ne fui talmente presa che non potei fermarmi prima di averne finito la lettura. Chiuso il libro, dissi a me stessa: ‘questa è la verità’». E di verità fu assetata Teresa: la verità era la cosa che la stupiva di più, che la colmava di meraviglia.

Interessante è pure la testimonianza di Gabriel Germain: «… aldisopra dell’intelligenza, aldisopra della coscienza ordinaria e di ciò che la riempie, esiste uno specchio di pace e di luce. Chi vi si avvicina non può dubitarne. Chi non l’ha mai cercato non ha diritto di giudicarne. S. Teresa esprime la stessa realtà benché in termini diversi. Ora nessuno glieli aveva insegnati, nessuno l’aveva preparata ad una tale esperienza. Quest’accordo aldisopra dei secoli e delle dottrine mi rassicura più di ogni cosa» (Le regard intérieur, Seuil 1969).

Il suo messaggio è il messaggio dell’orazione. Chi non conosce il volto di Dio dalla preghiera non lo può riconoscere nell’azione: è il tema centrale del messaggio di Teresa. Per lei la preghiera è il cardine dell’esistenza cristiana e della preghiera si serve per spiegare a se stessa e agli altri il mistero della vita cristiana. In quel tempo il pregare era guardato da molti con diffidenza.

La Spagna pullulava di visionarie, di libri bigotti e l’Inquisizione controllava, bollava, bruciava, facendo, spesso, di ogni erba un fascio. I libri di Teresa risentono di tutto questo. Fra il 1559 e il 1563 la Chiesa spagnola è in crisi; nel passaggio dalla Riforma del Cisneros a quella Tridentina si diffonde molto l’ambigua spiritualità di Erasmo, Carlo V si ritira in un convento.

Teresa conosce la situazione e così si spiegano le vibrazioni violente che scaglia ora contro l’uno ora contro l’altro per sottolineare il valore primario della preghiera, della liturgia, della cultura religiosa. Il suo tono è apologetico, il suo atteggiamento di lotta. Lei vive per la Chiesa, la sua riforma è per la Chiesa e alla Chiesa affida il suo messaggio sull’orazione. Caratteristico il modo di concepire la contemplazione: la sua contemplazione è dinamica, viva, fonte di azione, la sua orazione è apostolica.

Il protagonista è Dio, non l’io che prega e che contempla. Quando ci si sente guardati da Dio, in quel momento si sta pregando perchè l’orazione è un fatto di amore. Non si può pregare se non si parte dall’umanità di Cristo, se non ci si ricorda della sua Presenza in noi, se non prendiamo coscienza di questa Presenza dentro il nostro spazio vitale. L’elemento affettivo non svuota l’orazione del suo contenuto intellettuale perchè la preghiera è verità. Teresa afferma che la verità è presupposto indispensabile per colui che vuole pregare.

Qui dobbiamo fare punto. In realtà, soltanto adesso potremmo incominciare a gustare tutto ciò che Teresa ci insegna della preghiera.