La bomba non c’è più

bomba_demograficaArticolo pubblicato su Avvenire il 22 maggio 1999

Mentre continua l’allarmismo su una presunta crescita demografica incontrollata sono in molti a chiedersi quali conseguenze ha sullo sviluppo la diminuzione delle nascite

di Antonio Gaspari

Nascite al centro di infinite polemiche. Secondo il Census Bureau, vale a dire l’ufficio statistico degli Stati Uniti la popolazione mondiale avrebbe già raggiunto i sei miliardi di unità, mentre per le Nazioni Unite la soglia sarà toccata il 12 ottobre prossimo. Non si sa bene quale delle due previsioni è più vicina alla realtà, anche perché sono diverse le nazioni che non forniscono informazioni dettagliate circa la loro situazione demografica e altrettante che non dispongono di dati certi. Ma la vera controversia non è tanto su chi tra il Census Bureau e l’Onu abbia fatto meglio i conti, ma sulle conseguenze della crescita della popolazione.

Per alcuni l’incremento della popolazione è un grande avanzamento per l’umanità, altri invece guardano alla crescita demografica come alla peggiore delle minacce per la sopravvivenza del pianeta. Per questi ultimi la crescita demografica è una minaccia simile o addirittura superiore a quella dell’olocausto nucleare. Dall’altra parte invece salutano la crescita della popolazione come uno degli esempio più evidenti della capacità umana di progredire .

Mentre Albert Gore, Vicepresidente degli Stati Uniti, nel suo intervento di apertura alla Conferenza delle Nazioni Unite sulla popolazione tenuta al Cairo nel 1994 dichiarò che “il pericolo della crescita demografica è paragonabile a quello della proliferazione nucleare”, un gruppo significativo di economisti e demografi tra cui i premi Nobel per l’economia Gary Becker (1992) e Amartya Sen (1998), il premio Nobel per la pace Norman Borlaug (1970), i professori Jacqueline Kasun, Jean-Didier Lecaillon, Ester Boserup, nonché il demografo Gérard- Francois Dumont, sostengono che tutti gli argomenti contro la crescita della popolazione si sono dimostrati fallaci ed anzi l’aumento della popolazione del mondo rappresenta una vittoria sulla morte.

Questi ultimi in particolare sostengono che osservando la storia non esiste un solo esempio di sviluppo legato alla diminuzione della popolazione . Non c’è alcun sviluppo economico quando c’è stagnazione demografica, ovvero quando il tasso di fertilità è inferiore al livello di ricambio generazionale (cioè inferiore a 2,1 figli per donna ndr), al contrario la crescita demografica è condizione necessaria, anche se non sufficiente, per garantire lo sviluppo economico.

Anche sulla interpretazione dei dati ci sono punti di vista radicalmente differenti. Seppure il numero di sei miliardi di abitanti della Terra possa far pensare a scenari catastrofici, il Dipartimento degli Affari economici e sociali delle Nazioni Unite, nel suo ultimo rapporto biennale sulle “Stime e proiezioni della popolazione mondiale”, sostiene che no esiste una bomba demografica e che il mondo sta sempre più incanalandosi verso un problematico “inverno demografico”.

Secondo il rapporto dell’Onu, infatti, sono 61 i Paesi al mondo che hanno una crescita demografica inferiore allo zero. Questi 61 paesi rappresentano il 44% della popolazione mondiale, cioè 2,64 miliardi di persone. Se questa tendenza non verrà ribaltata, il rapporto delle Nazioni Unite prevede un declino della popolazione che non colpirà solo i Paesi industrialmente avanzati ma anche Cina, Tailandia, Corea, Taiwan, Singapore, Cuba e Brasile.

Riportando i dati forniti dalle Nazioni Unite il demografo Massimo Livi Bacci ha scritto in un recente articolo apparso sulle pagine del Sole 24 Ore che “la natalità italiana e di molta parte d’Europa è troppo bassa e alla lunga può compromettere sviluppo ed equilibrio”. Come ha spiegato il premio Nobel Gary Becker infatti “la ridotta crescita demografica riduce il dinamismo e l’innovazione, due fattori fondamentali per lo spirito d’impresa. I giovani sono quelli che apprendono prima e meglio l’utilizzo delle nuove tecnologie, se ci sono pochi giovani il tasso di innovazione nella società si riduce”.

La bassissima natalità inoltre altera i rapporti di età tra generazioni creando pericolosi squilibri nel sistema pensionistico. A questo proposito l’economista americano W.Patrick Cunningham, nel corso di un briefing rivolto al Congresso statunitense nelle settimane scorse ha affermato che “l’unica proposta a lungo termine per reintegrare la liquidità del sistema pensionistico statunitense è quella di facilitare la scelta delle famiglie ad avere più bambini”.

Cunningham ha spiegato che “un incremento della natalità statunitense dall’attuale 1.98 bambini per donna a 3,6 potrebbe risolvere il problema di solvibilità del sistema sociale americano”. Come misura per frenare l’inverno demografico Joseph R. Pitts, deputato al Congresso, ha proposto di “utilizzare 100 milioni di dollari che attualmente vengono usati per i piani di controllo delle nascite, in aiuti per l’infanzia”.

Emergono a questo punto le contraddizioni che caratterizzano la politica demografica delle Nazioni Unite. Nonostante siano sempre più chiari i segnali di un rallentamento della crescita della popolazione , si continuano a votare documenti e varare programmi per una radicale riduzione delle nascite, tutta indirizzata verso i Paesi in via di sviluppo.

Antonio Golini, direttore del Dipartimento demografico della Sapienza a Roma, di ritorno da New York dove ha partecipato con la delegazione italiana alla sessione speciale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite denominata “Cairo +5”, sostiene che dietro questa contraddizione “c’è il contrasto tra la concezione individualista dei Paesi del Nord del mondo e quella più legata alla famiglia dei Paesi in via di sviluppo”. Concezioni divergenti soprattutto in quanto si parla di libertà e di diritti.

Secondo Gian Carlo Blangiardo, direttore del Dipartimento di statistica dell’Università di Milano, invece, la logica che vede il Nord ricco finanziare i piani di controllo della popolazione nel Sud del mondo è una chiara espressione di imperialismo . “L’intensificazione degli interventi per la riduzione delle nascite – precisa Blangiardo – avviene in un contesto generale in cui la fecondità dei Paesi del terzo mondo sta diminuendo ad una velocità molto più sostenuta di quanto era stato richiesto nel Piano di azione formulato al Cairo nel 1994”. E’ quindi evidente che si tratta di “una scelta di natura imperialistica”.