E’ sufficiente il desiderio per ottenere un diritto?

fecondazione_assistitaFecondazione artificiale e bioetica

Ag Zenit (ZENIT.org)

domenica, 2 maggio 2010

di Renzo Puccetti
(specialista in Medicina Interna e segretario del Comitato “Scienza & Vita” di Pisa-Livorno)

ROMA, La lettura dell’ultimo libro di Gnocchi e Palmaro, in particolare il capitolo in cui i due autori riflettono sul diverso approccio alla ricerca della verità seguito da Tommaso d’Aquino e da Georg Wilhelm Friedrich Hegel,[1] offre lo spunto per ragionare attorno ai tranelli dei mezzi di comunicazione.

La presentazione della dialettica hegeliana, dove dalla contrapposizione tra tesi ed antitesi scaturisce la sintesi, elemento che a sua volta diventa la nuova tesi da dibattere, mi ha fatto ripensare ad una recente puntata di “Report”, la trasmissione condotta dalla giornalista Milena Gabbanelli, dedicata alla riproduzione artificiale. Si tratta di un buon esempio da cui può imparare chi desidera mantenersi ad una distanza minima di sicurezza rispetto agli strumenti della formazione occulta delle opinioni, magari realizzata attraverso micro-dosi di messaggi apparentemente equilibrati.[2]

La trasmissione era così congeniata: veniva intervistato il sottosegretario al welfare Eugenia Roccella che difendeva la legge 40, cioè la legge che nel nostro paese consente la fecondazione artificiale, regolamentandola. Come contro-altare venivano fatti parlare una serie di medici che praticano la fecondazione artificiale: uno si lamentava del divieto di congelare gli embrioni, un consulente di un centro svizzero diceva che il flusso di utenti dall’Italia è cresciuto a dismisura dopo il varo della legge, un altro che illustrava la possibilità nello stesso centro di ricorrere alla donazione di sperma e di ovociti, poi ancora il medico contrariato dal non poter effettuare la diagnosi pre-impianto.

Venivano inoltre presentate una serie di coppie che si lamentavano del divieto alla fecondazione eterologa e alla diagnosi genetica pre-impianto prevista da una legge che, a loro detta, le “costringeva” a scegliere se recarsi all’estero, o fare ricorso alla magistratura, abortire il figlio portatore di una patologia, o tenere il bambino malato.

L’impostazione del programma era però viziata dalla eliminazione della tesi. C’è infatti una posizione completamente ignorata dagli autori; quella che rinviene nella riproduzione artificiale (ART, Artificial Reproductive Technology) una condotta lesiva della dignità umana.[3]

La posizione espressa nel programma dal sottosegretario al welfare a difesa della legislazione italiana (la legge 40 ammette la fecondazione artificiale, purché attuata nel rispetto di una serie di limiti), non può infatti essere identificata con la tesi suddetta, ma costituisce piuttosto una evidente posizione di mediazione (sintesi) tra la tesi precedente, che implicherebbe il divieto della fecondazione artificiale in toto, e l’antitesi che invece, sulla base di un espanso concetto di diritto all’auto-determinazione, vorrebbe eliminare ogni vincolo.

Eliminata dal dibattito ogni voce contraria alla fecondazione artificiale in sé, la posizione espressa dalla legge 40 cessa di essere la sintesi e viene trasformata nella tesi di partenza. La mediazione che scaturirà dal confronto con l’antitesi è logico che si situerà in un ambito ancora più lontano da quello della vera tesi, cioè andrà nella direzione dell’antitesi. Perché la richiesta di diagnosi pre-impianto e di abolizione del divieto di congelamento degli embrioni possa apparire come una mediazione fra istanze estreme, è allora necessario individuare una posizione che sia percepita come un fondamentalismo libertario ancora più spinto.

Ecco che così viene mostrato un servizio che documenta la “lotteria degli ovuli” a Londra, il catalogo delle donatrici di gameti dove la coppia gay può approvvigionarsi con la più ampia scelta, c’è l’utero in affitto che in America costa troppo (140.000 dollari) ed allora si emigra in India dove, nello Stato del Gujarat, una dottoressa a prezzi più contenuti ha “una serie di donne molto religiose e disciplinate che lavorano con lei” come giumente da riproduzione. Sapete, un po’ come nella reclame del rasoio elettrico di una volta “se tu dai una cosa a me io poi do una cosa a te”, così lì le donne danno i loro ovuli, il loro utero, il loro figlio e l’occidentale dà in cambio i soldi per la casa.

Basta? No, c’è di più. C’è anche la donna di 57 anni divorziata che telefona dicendo: “voglio un bambino”. E allora il mediatore si dà da fare: ci vuole la donatrice di ovuli perché la donna è in menopausa, poi ci vuole il donatore di sperma perché attualmente non ha un compagno e poi serve l’utero in affitto. Problemi con l’età? Tranquilli, la donna dice di avere un aspetto giovanile, ma soprattutto è molto benestante.

Il verbo è categorico: I want! Voglio un figlio. Nella modernità ogni desiderio è un diritto, ogni limite, un ostacolo da abbattere. Così si producono tanti embrioni per avere più probabilità di riuscita certo, questo crea però il problema che una donna sola non basta per accoglierne così tanti, ma a tutto c’è il rimedio, così si pianifica di trasferire gli embrioni in due donne, tanto se arrivano due gemelli i clienti sono contenti lo stesso.

Ma se una o entrambe le donne che affittano l’utero hanno uno o due gemelli? Quattro figli? No, quattro sarebbero troppi; allora si decide che se vengono più di due bambini si fa l’aborto selettivo. “Okay?”, dice l’intermediario, “Assolutamente sì”, risponde la persona all’altro capo del telefono.

Ecco, questo servizio rappresenta l’antitesi perfetta; rispetto alla barbarie descritta in questo reportage congelare gli embrioni come i pisellini primavera e buttarli via se sono malati può essere presentata come una perfetta sintesi, una posizione mediana, ragionevole, di compromesso; lo spettatore medio difficilmente si accorgerà che congelare e diagnosticare per poi buttare via gli embrioni malati si situa sulla stessa linea del desiderio über alles. Ed infatti, come da copione, ecumenica la Gabbanelli in chiusura del suo intervento con queste parole presenta il servizio che vi ho descritto: “Questioni etiche. Ma come la sposti la barra dell’etica? A seconda di come la vedi, e di solito sempre troppo da una parte, come nel nostro caso, dall’altra come vedremo”.

Per comprendere come si sarebbe potuto presentare la questione della fecondazione artificiale in un altro modo, per fare comparire sulla scena la vera tesi, ci si può avvalere di una innocente finzione; immaginiamo che nella puntata di Report in questione fosse stata intervistata anche una persona che ha qualche conoscenza di bioetica personalista; costui, chiamiamolo convenzionalmente professor Ghost, che cosa avrebbe potuto dire?

Alla coppia che nella trasmissione ha dichiarato di ricorrere alla diagnosi pre-impianto non per selezionare i figli, ma per “essere aiutati dalla medicina a non trasmettere una malattia mortale”, volendo solo “correre tutti i rischi che corre una coppia normale quando si mettono a fare un bambino”, il professor Ghost avrebbe potuto dire qualcosa di questo genere: «La diagnosi pre-impianto, di per sé pone problemi etici in ragione del danno potenziale che induce e del margine di errore sotteso alla tecnica. Quello che la coppia desidera, “non trasmettere una malattia mortale”, non è possibile mediante la diagnosi pre-impianto, ma solo ricorrendo a tecniche che esplorano i geni prima del concepimento. L’embrione non è un grumo di cellule, è già il figlio di quella coppia, se la diagnosi pre-impianto rivela la presenza di una malattia, gettare via l’embrione significa gettare via quel figlio; non si previene la trasmissione della malattia, ma la nascita di quel bambino malato, attraverso la sua soppressione quando egli è un embrione. Sarebbe bene rammentare il pensiero di Leon Kass, quando nota che un bambino non si fa, altrimenti, riducendolo ad un manufatto, togliamo all’uomo la propria dignità».[4]

Alla Gabbanelli che, col dizionario Devoto Oli alla mano, nega che la diagnosi pre-impianto costituisca una pratica eugenetica, il professor Ghost avrebbe forse risposto: «Non la diagnosi pre-impianto di per sé, ma il diritto ad eliminare l’imperfetto basandosi sul risultato di quella diagnosi costituisce una condotta eugenetica. La eliminazione dell’embrione portatore di mutazioni genetiche non è moralmente differente dalla sua eliminazione al quinto mese del suo sviluppo. Persino un convinto sostenitore di tutte le forme di diritto riproduttivo come l’australiano Julian Savulesco riconosce che la eliminazione dei concepiti in ragione dei loro difetti determina un effetto eugenetico, conosciuto come eugenetica “passiva”».[5]

Si potrebbe obiettare che se è legale l’aborto oltre i primi 90 giorni in caso di malformazione fetale, perché non dovrebbe essere consentita la eliminazione dell’embrione diagnosticato come malato. Immaginiamo che il prof. Ghost risponderebbe che in termini generali un arbitrio non ne giustifica due; anche la legge 194 è infatti una legge che consente pratiche eugenetiche. Quasi certamente il prof. Ghost non mancherebbe di accennare al fatto che al pari della diagnosi pre-natale, la diagnosi pre-impianto si distingue da tutte le attività diagnostiche perché ha come fine non più quello di consentire la cura, ma quello di identificare per eliminare.

Al medico che si lamentava che dopo la legge 40 il tasso di trigemellarità sfiora il 3% il prof. Ghost consiglierebbe di andarsi a rileggere i dati sulla gemellearità in Italia nel 2003, cioè prima della legge 40, in modo da accorgersi che essi erano il 3,1%.[6] E a quello che si lamentava per i troppi embrioni trasferiti ricorderebbe che sempre nel 2003 nel 44% dei cicli si trasferivano 3 embrioni e nell’8,4% addirittura il numero saliva a 4 (complessivamente nel 52,4% delle procedure si trasferivano almeno 3 embrioni).

Il prof. Ghost sarebbe inquieto se infine tacesse ciò che la sua coscienza gli impone di dire e cioè che, dati alla mano del registro nazionale per la PMA, pur con tutte le attenzioni imposte dalla normativa, attraverso la fecondazione artificiale sono stati trasferiti in un anno 70.394 embrioni negli uteri delle donne, ma solo 5.162 sono nati (tasso di abortività intrinseca della fecondazione artificiale pari al 92,7%, un terzo maggiore delle stime più alte del tasso di abortività naturale). Purtroppo Gabbanelli & Co. non hanno ritenuto opportuno invitare in trasmissione il prof. Ghost.

Note

1) Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro. Cronache da Babele. Viaggio nella crisi della modernità. Fede & Cutura Ed., Verona, 2010.

2) La puntata ha suscitato la reazione anche dell’Associazione Scienza & Vita che l’ha apertamente criticata. Vd. Comunicato del 29 Marzo 2010. http://www.scienzaevita.org/comunicato.php

3) Dignitas Personae, n. 12.

4) Cfr. Kass, Leon R. “The Wisdom of Repugnance.” New Republic Vol. 216 Issue 22 (June 2, 1997).

5) Savulesco J. Is current practice around late termination of pregnancy eugenic and discriminatory? Maternal interests and abortion. Journal of Medical Ethics 2001;27:165–171.

6) Andersen AN, et al. Assisted reproductive technology in Europe, 2003. Results generated from European registers by ESHRE. Human Reproduction 2007 22(6):1513-1525.