L’assassinio di mons. Luigi Padovese

mons_PadovaneseCorrispondenza Romana n.1146 del 12 giugno 2010

 segue:

Corriere della Sera 11 giugno 2010

La “Cristianofobia” e la tiepidezza dell’Occidente

di Vittorio Messori

Mons. Luigi Padovese, vescovo di Iskenderun, in Anatolia, è stato ucciso giovedì 3 giugno dal suo autista e aiutante musulmano. «Il gesto di un folle», «Nessun movente religioso», si è letto sui giornali. Come accadde nel 2006 per l’omicidio di don Andrea Santoro, il sacerdote ucciso nella sua chiesa di Santa Maria a Trabzon, in Turchia, sulla stampa nazionale ed estera si è cercato di gettare acqua sul fuoco per l’ennesima volta, minimizzando l’effettiva entità di un crimine che lascia trasparire quale sia il reale clima che i cristiani respirano ormai da qualche anno in Turchia.

Sebbene la sala stampa Vaticana, con il suo portavoce padre Federico Lombardi, si sia allineata con l’opinione comune – qualche voce fuori dal coro da parte cattolica non è tardata ad arrivare. L’ex nunzio apostolico in Turchia – il cardinale Sergio Sebastiani – in un’intervista rilasciata il 4 giugno a “La Stampa” ha esplicitamente fatto riferimento a come l’Islam, in Turchia, tenda ormai «maggiormente verso il fanatismo», collegando direttamente l’assassinio di mons. Padovese a quello di don Santoro, «ucciso […] da un assassino istigato e mandato avanti da fanatici».

Altro prelato a non credere alla versione ufficiale fornita dalle autorità turche è mons. Ruggero Franceschini, arcivescovo di Smirne. Come riportato da “Avvenire”, il presule crede che ritenere l’omicidio di Padovese esclusivamente come il gesto di un folle sia ormai un «luogo comune già utilizzato per don Andrea Santoro» e attribuisce invece delle precise responsabilità ai «focolai» di odio «fomentati anche dalla stampa». Un’accusa, quella alle campagne diffamatorie dei media turchi, già mossa in passato proprio da mons. Padovese durante la messa funebre per don Santoro.

_________________

Corriere della Sera 11 giugno 2010

La “Cristianofobia” e la tiepidezza dell’Occidente

di Vittorio Messori

“Cristianofobia“ in un Occidente sempre più  secolarizzato? “Cristianicidio“ in un Islam sempre più fanatizzato? Neologismi di attualità drammatica, approssimandosi i funerali a Milano del vescovo cappuccino assassinato in Turchia. Sono in molti a non credere nella tesi dello squilibrato, visti anche i precedenti di omicidi di cristiani,  attribuiti dalle autorità locali a pazzoidi fuori controllo.

A questa sorta di noncuranza  islamica, si accosta quella dell’Occidente, pronto a indignarsi e a manifestare nelle piazze per ogni buona causa, vera o presunta che sia, ma che qui sembra aver messo la sordina alle proteste. La nostra indignazione è, semmai, per la minaccia al benessere  di pesci ed uccelli nell’inquinato Golfo del Messico, più che per i credenti nel Vangelo martirizzati in Asia e in Africa. Eppure, statistiche irrefutabili mostrano che  il cristianesimo è di gran lunga la religione più perseguitata nel mondo.

A dar la caccia al battezzato non ci sono solo i soliti musulmani –o, almeno, le loro frange estremiste- ma in prima fila stanno anche gli induisti che, nel mito liberal, erano il paradigma della tolleranza nonviolenta. Non mancano casi di violenza sanguinaria anche da parte dei “pacifici“ buddisti, per non parlare delle mattanze cui volentieri si dedicano gli adepti delle vecchie e nuove religioni dell’Africa Nera.

Perché tanto odio e perché tanta rimozione da parte nostra, davanti a quello che talvolta assume il volto terribile del massacro? Il credente scorge qui significati   ultramondani, sulla scorta delle parole di Gesù: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi“. La possibilità del martirio fa parte di una prospettiva   che ha le sue basi nel Vangelo stesso. Per dirla con Chesterton, il convertito: “Il nostro simbolo è la croce sul Golgota, non la villetta nei  sobborghi verdi di Londra“.

Ma, al di là della lettura religiosa, quali fattori storici hanno creato e alimentano l’avversione per i cristiani? Per stare al caso che oggi più inquieta, quello musulmano, spesso non si considera che non in tempi remoti, bensì alla fine della seconda guerra mondiale, non vi era nessun Paese islamico che potesse dirsi indipendente. Tutti, senza alcuna eccezione, facevano parte di un impero coloniale europeo o erano sottoposti al suo protettorato.

Il cristianesimo era, per un Islam frustrato e ridotto all’impotenza, la religione dei “padroni“: un paradosso, tra l’altro, per casi come la Francia o il Belgio, dove la classe politica dirigente era impegnata in patria nella lotta contro la Chiesa e nelle colonie ostacolava i missionari cattolici e spingeva per la creazione di logge massoniche. Ma un paradosso anche nell’impero britannico, dove si favoriva la Chiesa anglicana –questa “Camera dei Lords in preghiera“, com’era definita– che, più che il Vangelo, annunciava virtù civili, pregiudizi,  eccentricità  dell’establishement politico britannico. Ma erano distinzioni che furono cancellate nella propaganda per la decolonizzazione, dove il “tiranno europeo“ era identificato tout court con il cristiano.

Nel caso del Medio Oriente, la situazione è stata molto  aggravata dall’inserzione di Israele, sentita come una violenza: il grande padrino nordamericano dello stato ebraico si vanta di essere il paladino del cristianesimo biblico, vi è sorto addirittura il potente movimento dei “cristiani per il sionismo“ (Bush junior ne faceva parte), per il quale il ritorno degli ebrei in Palestina  va  favorito, come annuncio  dell’apocalisse e del ritorno glorioso di Cristo. Così, l’avversione per Israele è diventata per le folle musulmane avversione per la fede nell’ebreo Gesù. Anche zone superstiti di tolleranza religiosa, come l’Iraq del laico Saddam, sono state avvelenate dalla violenta aggressione dei “cristiani“ americani.

Quanto a noi e alla nostra mancata mobilitazione: è indubbio che parte influente  del media-system occidentale sta dalla parte di coloro che –come già i giacobini del 1793– vorrebbe “chiudere finalmente la parentesi cristiana“. Enjamber deux millénaires, scavalcare due millenni e ricominciare da capo, scrostandoci da dosso l’eredità funesta di quel Crocifisso che non a caso l’Unione Europea vuole togliere dai muri.

Può una Unione così -che rifiuta persino l’evidenza storica, negando le sue radici cristiane- può forse indignarsi se, nel mondo, è scomoda la situazione di una credenza per la quale si auspica che non ci sia futuro? Un certo vittimismo cristiano lascia perplessi, come pure un complottismo un po’ paranoico: è indubbio, però, che al prevedibile aumento della violenza contro i credenti nel Vangelo non si accompagnerà un aumento della solidarietà nei Paesi stessi che di quella fede furono i privilegiati.