L’albo d’oro del Nobel per la pace dimostra che il premio va all’ideologia

premio nobelTempi 22 ottobre 2009

Basta guardare ai riconoscimenti assegnati in area presidenziale americana. Oltre a Obama, c’è Carter, che ha accumulato solo catastrofi tranne Camp David, che però non fu merito suo. E poi Al Gore, gratificato per le sue tirate

di Giorgio Israel

Molti hanno osservato che il premio Nobel per la pace al presidente statunitense Obama è alquanto imbarazzante.Non un solo soldato si è ritirato dall’Iraq, Guantánamo non è stata chiusa, la guerra in Afghanistan è stata intensificata.

Dopo la scoperta di un laboratorio nucleare iraniano segreto il Pentagono ha accelerato la produzione di un supermissile antibunker (in sigla GBU-57A/B) capace di arrivare a 60 metri di profondità, il Congresso ha autorizzato un finanziamento extra per portare da 4 a 10 il numero dei missili da produrre entro dicembre e l’aviazione lavora pancia a terra per adattare un bombardiere invisibile al trasporto della bomba.

Non basta. Varie fonti indicano che ai primi di ottobre si sono incontrati in Normandia i capi di stato maggiore della difesa statunitense, israeliano e francese. E pochi giorni fa ha avuto luogo la più grande esercitazione di difesa aerea congiunta tra Israele e Stati Uniti, denominata Juniper Cobra II. Lo scopo è stato di simulare la reazione a un attacco missilistico su Israele proveniente dalla Siria, da Hezbollah o dall’Iran. Più di mille militari americani hanno partecipato all’esercitazione, con la partecipazione di molte navi.

Proviamo a metterci dalla parte dei cervelloni che hanno deciso l’attribuzione del Nobel. O sono totalmente disinformati di quel che accade e di ciò che Barack Obama potrebbe essere costretto a fare (magari a malincuore) oppure sono adepti della formula dell’antica Roma: si vis pacem para bellum.

Non sono credibili né l’una né l’altra ipotesi.

D’altra parte è istruttivo guardare ai precedenti premi Nobel per la pace in area presidenziale americana. L’unico “successo” di Jimmy Carter fu l’accordo di pace di Camp David tra Egitto e Israele. Ma non fu merito suo, bensì del coraggio del presidente egiziano Sadat e dell’intelligenza del primo ministro israeliano Begin.

Per il resto, la sua presidenza è stata una catastrofe: la rivoluzione iraniana, la cattura degli ostaggi americani nell’ambasciata di Teheran e una serie di altre batoste. Malgrado questi pessimi risultati gli fu dato nel 2002 il premio Nobel per le campagne per i diritti umani e per la promozione della democrazia portate avanti dalla sua fondazione. Insomma un premio alla retorica.

Al Gore, poi, il premio l’ha avuto per gli «sforzi per costruire e diffondere una conoscenza maggiore sui cambiamenti climatici provocati dall’uomo e per porre le basi per le misure necessarie a contrastare tali cambiamenti», ovvero per le sue tirate ideologiche.

È chiaro che i cervelloni sono interessati solo a premiare l’ideologia, non gli atti concreti. Non danno un premio per la pace, bensì un premio al pacifismo.

Gli unici meriti di Obama in funzione del Nobel sono le cose peggiori che ha fatto: l’insulso e umiliante discorso del Cairo in cui mancava solo che desse all’islam il merito di aver scoperto l’acqua calda, l’inchino fino a terra al re dell’Arabia Saudita, l’abbraccio al tiranno Chávez, il rientro americano nell’orrido Consiglio per i diritti umani dell’Onu, il rifiuto di incontrare il Dalai Lama (beninteso per difendere la pace con la Cina), il silenzio assoluto sui massacri di dissidenti iraniani mentre sdottoreggiava su pace e diritti umani all’Onu con il solito movimento della testa di qua e di là.

È chiaro che chi gli ha dato il premio spera anche di legargli le mani sul piano militare, a tutto profitto di “pacifisti” come Ahmadinejad. Altrimenti, se le cose andranno diversamente, pazienza. L’importante, come nel caso di Carter e Al Gore, è aver premiato la retorica pacifista sotto il cui ombrello si compiono i peggiori misfatti.