E il patriota «Giuda» epurò il parroco «nero»

Cassola_coverpubblicato su Avvenire del 9 marzo 2004

INCHIESTA/10-3

di Roberto Beretta

«Bube! Bube! Meno male che ci sei te! C’è il prete Ciolfi!». Pochi sanno che racconta una storia vera, lo scrittore comunista Carlo Cassola, nel suo romanzo che è rimasto il più famoso: La ragazza di Bube. L’ex partigiano Bube torna a casa a Volterra e sulla corriera incontra il «prete Ciolfi», un sacerdote compromesso col fascismo; sarà lui stesso, poi, a dargli «la lezione che meritava».

In realtà il prete si chiamava Dolfo Dolfi ed era canonico della cattedrale della città toscana, oltreché cappellano della Milizia: mentre tornava in città da Poggibonsi, il 28 maggio 1945, fu fermato dai partigiani e picchiato tanto da averne rotta la gamba in tre punti; morì l’8 settembre successivo. Ma sono una dozzina i preti toscani uccisi dai partigiani, in diverse diocesi. A Campogialli (Ar) era curato don Emilio Spinelli; pare che avesse nascosto in canonica alcuni giovani renitenti alla leva di Salò, eppure ricevette minacce dai partigiani. La sera del 6 maggio 1944, dopo la funzione mariana, vennero a cercarlo tre uomini; gli chiesero soldi, lui aveva solo 5 mila lire. Per questo lo ammazzarono?

Don Giuseppe Rocco invece era parroco a Santa Sofia in Marecchia presso Sansepolcro: la sera del 4 maggio 1945 accolse in canonica tre partigiani sloveni che chiedevano da mangiare; lo ripagarono tirando fuori le rivoltelle a fine pasto e uccidendo sia il prete, sia il fratello. Don Adolfo Nannini, curato di Sant’Andrea a Cercìna, subì la stessa sorte nel suo studio il 30 maggio 1944, in circostanze misteriose.

Poco chiare anche le cause dell’omicidio di don Aladino Petri, pievano a Caprona presso Uliveto Terme (Pi), ucciso per strada il 27 giugno 1944 insieme a un giovane, probabilmente per motivi politici. Pochissimo si conosce pure del seminarista Giuseppe Pierami di Piazza al Serchio (Lu): fu «prelevato» dai tedeschi insieme al padre e al fratello e la famiglia non ne seppe più nulla; sembra però che sia riuscito a fuggire oltre la Linea Gotica, dove fu catturato e ucciso dai partigiani il 2 novembre 1944.

Pare che invece i comunisti dicessero di aver «fatto la festa al porco» allorché il 16 gennaio 1945 (il giorno dopo è la festa di sant’Antonio, nel quale è tradizione contadina mangiare la coda del maiale) giustiziarono don Sante Fontana, arciprete di Comano nella zona di Pontremoli: poiché il prete si aspettava agguati – già nel 1943 aveva ricevuto una visita di malintenzionati e molte minacce -, lo stanarono con la falsa chiamata di un moribondo per ucciderlo con un colpo alla nuca; dopo di che fu abbandonato in un fosso. Il processo ai responsabili durò 14 anni e finì nell’amnistia.

Alla stessa diocesi apparteneva don Giuseppe Lorenzelli, priore di Corvarola di Bagnone: a causa delle sue convinzioni fasciste (fu tra i primi iscritti al partito) il 27 febbraio 1945 i partigiani gli fecero scavare la fossa in un bosco e lo mitragliarono alla schiena.

Ultima la storia di don Duilio Bastreghi, parroco di Ciliano e Capannone a Torrita di Siena: il 3 luglio 1944 gli Alleati avevano liberato la città da due giorni ed erano cominciate le epurazioni, tanto che quella sera a Torrita furono uccise 3 persone oltre a lui. Don Bastreghi era stato fascista, ma nemmeno i partigiani erano d’accordo sulla necessità di eliminarlo; alcuni anzi volevano avvisarlo di scappare. Arrivarono prima gli altri, che lo ammazzarono poco lontano da casa, sotterrandone il corpo. Il processo, anni dopo, avrebbe individuato il responsabile (poi amnistiato) in un partigiano; nome di battaglia: Giuda.