Il complotto delle tonache

cappellano_RSI

Un cappellano della RSI

pubblicato su Avvenire del 3 marzo 2004

INCHIESTA/9 Foligno 1944: due preti uccisi dalla stessa mano, a pochi km e un’ora di distanza l’uno dall’altro Una strategia pianificata dai comunisti in una zona controllata dal Cln «bianco»? 60 anni dopo un mistero con troppi silenzi

di Roberto Beretta

Erano sacerdoti compromessi col fascismo, certo, ma non «pericolosi» E qualcuno guidò il partigiano slavo che li uccise.

Due preti quasi omonimi, uccisi a un’ora l’uno dall’altro, in località vicine e dallo stesso commando di partigiani comunisti: un caso interessante per verificare l’ipotesi di un’epurazione «pianificata» nei confronti dei sacerdoti nel dopoguerra. Siamo a Foligno, giusto sessant’anni fa. Le vittime si chiamavano Merli e Merlini e sono state uccise la notte del 21 febbraio 1944: il primo ad Assisi, dov’era sfollato per il passaggio del fronte; il secondo nella canonica di Fiamenga, poco fuori da Foligno, dov’era parroco. E – anche se i responsabili non furono mai trovati – pare che i colpi mortali partirono dalla medesima canna di pistola, manovrata da un partigiano slavo di cui si conosce anche il nome, Marion Tomsic, e che finirà al muro di lì a poco, catturato e fucilato dalle milizie della Rsi.

Le analogie però finiscono qui. Ché i due preti uccisi erano assai diversi tra loro, anche per il tipo di adesione al fascismo che li condusse a morte quasi contemporaneamente. Il primo, don Ferdinando Merli, era un gerarca locale, come dimostra con dovizia di particolari e una ricerca inappuntabile lo storico Antonio Nizzi: che oggi insegna nello stesso liceo classico di Foligno che don Merli aveva contribuito a fondare e dove il sacerdote esercitava la docenza in lettere. «Il prete col fez», intitola Nizzi – nel suo libro sulle vicende del liceo stesso – il capitolo dedicato all’antico collega: infatti don Ferdinando (che aveva aderito fin dall’inizio al movimento mussoliniano, partecipando addirittura alla marcia su Roma) era solito indossare quel copricapo nelle tre principali feste fasciste: 23 marzo, 9 maggio e 28 ottobre.

Rivestiva anche qualche incarico ufficiale, don Merli, come collaboratore dei periodici «neri» della regione e fiduciario dell’Opera Balilla. Essendo poi un letterato, esprimeva le sue convinzioni nella scrittura: soprattutto con composizioni poetiche di circostanza (famosa un’ode al bicchiere dove aveva bevuto Mussolini in un caffè di Foligno…) e drammi patriottici di storia locale o d’argomento religioso, del resto non privi di valore.

Ma più che altro don Ferdinando era un estroso, un prete colto e gioviale che si vedeva spesso girare in bicicletta per la città oppure (con qualche «scandalo» dei confratelli) seduto ai tavolini sotto i portici a fumare e correggere i compiti degli alunni; non risulta, ad esempio, che facesse particolare propaganda al regime in classe (gli ex allievi – testifica Nizzi – lo ricordano quasi tutti con simpatia). Il suo fascismo era certamente vistoso, soprattutto in una cittadina di provincia; difficile pensare però che fosse anche pericoloso.

Il suo confratello don Angelo Merlini, invece, era più ligio alla pastorale, soprattutto giovanile e dell’Azione Cattolica: anche i membri della resistenza lo ricordano per il suo zelo, almeno finché non aderì alla Repubblica sociale. Allora cominciarono a circolare voci sulla possibilità che fosse un delatore e denunciasse i nomi dei renitenti alla leva repubblichina. Vero o falso che fosse, di certo don Merlini doveva temere qualcosa, perché poco prima della morte aveva cambiato la serratura di casa. Non gli servì: il commando comunista che doveva giustiziarlo lo fece chiamare in piena notte da una voce a lui conosciuta e, quando il parroco aprì, lo fulminò sul pianerottolo. Il corpo rimase lì fino al mezzogiorno seguente, col portone semiaperto: tanto per dire il terrore in cui viveva la popolazione.

Don Merli morì in modo simile un’ora più tardi: 5 colpi di pistola che ferirono anche un uomo venuto in soccorso del prete. I due delitti furono coordinati? C’era dietro un piano d’«epurazione» del clero filo-fascista? Alla prima domanda si deve senz’altro rispondere affermativamente: nelle ricerche del professor Nizzi risulta che due slavi, fuggiti insieme ad altri dal carcere di Spoleto e unitisi alle formazioni partigiane, furono ospitati nella casa di un comunista vicino alla parrocchia di don Merlini e che furono cond otti nella notte fatale prima a Fiamenga, quindi a Rivotorto d’Assisi. Inoltre il nome di Marion Tomsic come esecutore materiale del duplice omicidio veniva fatto già negli anni Sessanta (e non fu mai smentito nemmeno da fonti resistenziali) da Giorgio Pisanò nella sua monumentale Storia della guerra civile in Italia; il giorno prima lo stesso Tomsic aveva giustiziato a Spello altri due aderenti alla repubblica di Salò.

Tomsic però è morto, fucilato nel giugno 1944; e può anche far comodo accusare qualcuno che non può difendersi (ad ogni buon conto i partigiani comunisti appoggiarono la diceria che si trattasse di un doppiogiochista). Di certo, comunque, non agì da solo, anzi forse fu soltanto il braccio armato di una strategia coordinata. La domanda se il locale Cln clandestino sia stato all’origine di quella duplice giustizia sommaria è infatti doppiamente interessante; perché all’epoca Foligno costituiva una macchia «bianca» in una regione tradizionalmente «rossa»: il suo Cln, infatti, era presieduto da un ex aderente al Partito popolare e organizzato addirittura dal vicario generale della diocesi monsignor Luigi Faveri, mentre la Brigata Garibaldi era comandata da Antero Cantarelli, già presidente della Giac; molti partigiani, inoltre, provenivano dal circolo cattolico San Carlo.

Possibile dunque che questi ambienti abbiano ordinato l’eliminazione di due preti, sia pure compromessi col regime? Nizzi ha un’altra ipotesi: nel febbraio 1944 Cantarelli era ferito e dunque aveva lasciato il suo posto; proprio in quel periodo, inoltre, era cominciata la «politicizzazione» in senso comunista dei gruppi partigiani. È possibile che la componente «rossa» dei patrioti folignati abbia concertato l’omicidio dei preti per conquistare la leadership del movimento con un gesto clamoroso. Ancora oggi, negli archivi del Cln, si può trovare un testo del 1945 in cui il commissario politico dichiara che «il famigerato sacerdote Merli ha fatto la fine che ben meritava»…

In genere, però, i partigiani non hanno mai rivendicato (a differenza di altre epurazioni) la responsabilità negli omicidi dei due preti, e anche il mondo cattolico sembra aver vissuto con imbarazzo l’assassinio dei suoi sacerdoti: «Dopo di allora, mai un ricordo – testimonia Nizzi -, né a livello ecclesiale, né civile». Tanto che un altro storico locale, don Sergio Andreoli, ha recentemente pubblicato su un giornale umbro un appello «alla ricerca della verità. Chi ha ucciso don Merli e don Merlini? Nessuno si è fatto avanti, per dire qualcosa di nuovo. Possibile che non ci sia chi può gettare un po’ di luce su una vicenda tanto dolorosa? E di don Merlini proprio nessuno sa niente? Non hanno diritto questi due sacerdoti alla verità, a sessant’anni dalla loro morte violenta?»