Islam, la finanza non teme crisi

petrodollariItalia Oggi,17 marzo 2008

 Con le Rivelazioni, le banche sfidano la crisi del credito e benedicono il rincaro del petrolio. Bond islamici +40%. Nei prossimi 5 anni crescita del 20%. Circa 1.200 trilioni di $ nelle casse delle banche islamiche

di Pasquale Scordino

Schivata la crisi subprime, mentre le banche europee e americane continuano a leccarsi le ferite, le colleghe islamiche hanno al contrario tanta liquidità da investire. Complice un vertiginoso e inarrestabile aumento del petrolio che ha riempito le tasche di molti investitori del Golfo. Secondo l’Islamic financial services board, l’equivalente del Comitato di Basilea per gli istituti di credito islamici, i fondi liquidi e liberi dei paesi del Medio oriente ammonterebbero a 1.200 trilioni di dollari.

Risorse alla ricerca di business in cui essere investite.

In base alle stime degli esperi Ernst&Young nel 2010 gli asset gestiti secondo le leggi della Shariah ammonteranno a 2.000 miliardi di dollari circa. Basti pensare che il solo mercato dei Sukuk, lo strumento finanziario islamico simile ai bond, cresce del 40% l’anno.

Sembrano cifre e nomi lontani, ma sono quanto mai vicini. Il Tesoro britannico a novembre 2007, quindi quattro mesi fa, ha pubblicato un documento di consultazione per l’emissione di un sukuk sovrano in sterline del governo del Regno Unito. Nel frattempo la Borsa di Tokyo e la Borsa di Honk Hong hanno lanciato i loro indici Shariah, che si aggiungono agli oltre settanta già esistenti come la serie dei Dow Jones islamic market indexes o dei Financial Times stock exchange (Ftse) Global islamic index Seires.

Si tratta di un mercato in forte espansione che finora è cresciuto a un tasso del 15% ma che nei prossimi cinque anni continuerà a un ritmo più sostenuto del 20%. L’Italia, anche se senza particolare fretta, non è rimasta a guardare. L’Associazione bancaria italiana, dopo il Memorandum del settembre 2007 per l’apertura di filiali di banche islamiche in Italia, ha continuato il dialogo portando con se i principali istituti di credito nazionali in Medio oriente per sondare il terreno per nuovi accordi in loco. I primi risultati a quanto pare non tarderanno ad arrivare.

Ne è convinto Mohamad Bakkar dello studio legale e tributario Petrucci&Associati, il quale, ha spiegato, «dietro la sua crescita annua, la finanza islamica è ancora in una fase embrionale che le garantisce le premesse per una forte espansione in tutti i continenti e specialmente in Europa.Sono sicuro che l’Italia giocherà un ruolo fondamentale per diverse ragioni. Innanzitutto è uno dei principali partner commerciali degli stati arabi che si affacciano sul mediterraneo e ha forti legami con il Golfo. Poi le banche islamiche hanno pianificato una forte espansione per investire le riserve liquide generate dal surplus derivante dall’aumento del prezzo del greggio. A conferma di ciò», ha precisato Bakkar, «è stato lo stesso presidente dell’Unione delle banche arabe, Adnan Yousif, ad annunciare in seguito al Memorandum siglato con l’Abi, che la prima banca islamica verrà aperta prima della fine del 2008. Infine non bisogna sottovalutare che l’Italia ospita quasi un milione di musulmani che chiedono prodotti finanziari conformi alle leggi della Shariah».

È bene ricordare che il principio cardine è il divieto dell’usura (riba), secondo il quale non è possibile ricavare interessi derivanti da speculazioni sul denaro. Nel Corano infatti si legge «O voi che credete! Temete Dio! Rinunciate, se siete dei credenti, a ciò che vi resta dei profitti dell’usura. Si vi pentirete, avrete salvo il vostro capitale» (Sura II, 279). Investire oggi in azioni di società che non perseguono lo scopo di guadagnare interessi è come cercare un ago in un pagliaio.

Tanto è vero che la dottrina ha spesso sviluppato dei criteri minimi da osservare. Che alla fine, comunque, sembrano funzionare.

«Le recenti difficoltà registrate dal mercato del credito», ha precisato Barrak, «e più precisamente la crisi dei subprime, potrà diventare l’incentivo che porterà gli investitori a passare dalla finanza tradizionale alla finanza islamica. Infatti le banche islamiche non sono state toccare dalla crisi dei prestiti subprime come invece gli istituti di credito convenzionali. E la ragione risiede nel fatto che le prime non hanno sottoscritto collaterized debt obbligation, ossia prodotti strutturati legati ai mutui più a rischio. Semplicemente perché tali costruzioni non rispettavano i principi della Shariah, e quindi sono stati scartati dal controllo a priori del board che in ogni istituzione finanziaria islamica è tenuto a supervisionare ed esaminare tutti i prodotti, complessi e non».

L’unica banca ad aver visto ridursi di ben il 38% i profitti del 2007 è stato l’istituto Abcb.bh di Barhain. La banca, però, è stata costretta a svalutare il proprio portafoglio solo per la parte relativa al suo business tradizionale e non per la parte relativa ai prodotti compatibili con leggi coraniche.

Curiosa la vicenda dei fondi Amana Growth e Amana Income, lanciati il primo nel 1984 e il secondo nel 1994, da Kaiser, pioniere dei fondi Islamici in America. Entrambi cresciuti rispettivamente del 12,24 e del 14,12% nel 2007, a febbraio hanno subito una flessione intorno al 6%. Secondo il fund manager l’impatto è stato molto contenuto grazie al fatto che seguire i principi del Corano gli abbia evitato di investire in banche, assicurazioni e istituzioni finanziarie scampando così la tempesta subprime.

Tempesta che comunque a guardare i listini ha lambito il mondo della finanza islamica.

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In salita la creazione di Sukuk made in Italy

LA PRIMA OBBLIGAZIONE SOVRANA UK LANCIATA IN MALESIA SEI ANNI FA

Dando uno sguardo agli indici islamici più famosi i rendimenti a breve non sembrano avere un trend positivo.

«Anche se le banche sono sembrate più resistenti alle conseguenze negative che hanno interessato il mercato del credito», ha commentato l’esperto dello studio Petrucci&Associati, «questo non significa che la finanza islamica come settore non sia stata minimamente sfiorata o che non abbia comunque incontrato altre difficoltà. Bisogna ricordare che gli indici islamici sono creati rendendo i comuni indici come i DJ Index, gli Ftse index o gli S&P compatibili con le leggi della Shariah. Eliminando cioè dal paniere di azioni quelle che rappresentano quote di società che producono prodotti proibiti dall’Islam come l’alcol, le armi, la droga, la pornografia, la carne di maiale e così via. Oppure strumenti che hanno un elevato livello di debito. Le azioni dell’indice sono quindi relative a società del mercato che sono contenute anche negli altri indici. Non è strano dunque che anche gli Indici islamici qualche volta mostrino trend negativi».

Certo sarebbe forse diverso poter investire in un Sukuk. Il bond islamico infatti sembra essere un’esigenza più che una moda. Il documento di novembre del governo Britannico ne è la testimonianza. Il primo bond sovrano è stato emesso in Malesia sei anni fa. Ed è proprio la Malesia la prima piazza finanziaria per questo strumento.

Prima di vedere un Sukuk made in Italy, però, probabilmente passerà diverso tempo. «Implementare un sistema bancario e finanziario islamico», ha spiegato Bakkar, «implica creare le condizioni per farlo e quindi introdurre un sostanziale cambiamento nell’attuale impianto normativo.

Ecco perché non vedo ancora possibile l’emissione di un sukuk italiano. Penso comunque che la creazione di una cornice legale e regolatoria debba avvenire in due momenti. Il primo attraverso la stesura di una direttiva europea sui servizi finanziari islamici. E già questo comunque anche se richiede un periodo di tempo considerevole, preverrebbe problemi futuri di mancanza di armonizzazione e incompatibilità tra i diversi ordinamenti nazionali. Soprattutto alla luce del fatto che oggi esiste il «passaporto» finanziario europeo che permette alle banche Ue di offrire i loro servizi sul mercato italiano. Il passo successivo è quello dell’implementazione nell’ordinamento interno della direttiva.

Quindi la promulgazione di leggi sul sistema bancario islamico, l’apporto di correzioni al sistema fiscale, la creazione di strutture interne alle Autorità di vigilanza del mercato finanziario e bancario che possano garantire la compliance con il Corano».

Se questo dovrà essere il cammino obbligatorio per poter usufruire a pieno di un mercato finanziario alternativo i tempi senza dubbio saranno molto lunghi. Basti pensare che nonostante gli sforzi della Commissione europea per l’armonizzazione dei servizi finanziari nel Mercato interno, oggi, esistono ancora disparità notevoli tra i paesi europei, uno tra tanti che interessa l’Italia, e rappresenta un’urgenza non di poco conto, il mercato dei fondi pensione.

(A.C. Valdera)