“Generazioni future”, un mito pagano

generazioni_futureIl Timone n. 82 aprile 2009

Bloccare lo sviluppo per garantire il bene dei nostri nipoti? È una concezione che va contro la realtà e cancella secoli di civiltà cristiana. Perché l’unico futuro che conta è il Giorno del Giudizio… ed è straordinariamente presente

 di Riccardo Cascioli

Generazioni future. Mai come di questi tempi si è parlato di generazioni future. Tutto ciò che dobbiamo fare oggi, scegliere oggi, è in funzione delle generazioni future. In particolare dobbiamo evitare di consumare le risorse disponibili nel mondo in modo che possano goderne anche le generazioni future. «Dobbiamo pensare ai nostri figli e ai nostri nipoti», «Dovremo rispondere ai nostri nipoti delle scelte che facciamo» e così via: quante volte abbiamo sentito ripetere queste frasi da politici, economisti, sociologi e ideologi di ogni partito.

A prima vista si direbbe che la nostra società sia percorsa da un salutare fremito di solidarietà che addirittura trapassa i decenni e i secoli. Dovremmo esserne felici. Eppure, basta guardarsi intorno per capire che qualcosa non quadra, se non altro perché se la solidarietà fosse vera dovrebbe manifestarsi con evidenza anche tra le “generazioni presenti”, dove invece appare in crescita l’individualismo più esasperato.

Ma a doverci mettere soprattutto in allarme è il fatto che i più convinti sostenitori della necessità della solidarietà verso le generazioni future sono gli stessi che con temporaneamente si adoperano per fare in modo che le generazioni future neanche nascano. Tanto per entrare nel concreto: a spingere molto sul tasto delle generazioni future, ad esempio, è l’Unione Europea quando parla di difesa dell’ambiente o di pericolo dei cambiamenti climatici; eppure è la stessa Unione Europea che aumenta i finanziamenti per diffondere contraccezione e aborto nel mondo e che si batte in ogni sede internazionale – e anche con i suoi Stati membri – per il diritto universale all’aborto.

Sulla stessa linea il neo-presidente americano Barack Obama che, appena insediato, ha rivolto un pensiero alle generazioni future, ma nello stesso tempo varava un piano anti-crisi dove tra le misure per incentivare lo sviluppo figura anche il sostegno alle campagne di controllo delle nascite nei Paesi poveri. Per non parlare poi dei vari movimenti ecologisti, no-global, anti-occidentali vari che di questa sorta di schizofrenia sono maestri.

Come si spiega questo paradosso? Semplicemente riandando all’origine di questa “ossessione” per le generazioni future, ovvero al concetto di sviluppo sostenibile. Esso nasce ufficialmente con il Rapporto della Commissione ONU su Ambiente e Sviluppo – più nota come Commissione Brundtland dal nome dell’ex premier norvegese che l’ha presieduta – pubblicato nel 1987.

La sostenibilità si riferisce appunto a un limite nell’uso delle risorse in modo da non pregiudicare le possibilità di sviluppo delle generazioni future. Ma è lo stesso Rapporto della Commissione Brundtland a sostenere – per la prima volta in un documento di questa importanza, che sarà poi alla base delle politiche globali adottate dalla comunità internazionale a partire dagli anni ’90 – che la popolazione è un fattore negativo sia per lo sviluppo che per l’ambiente. Dunque la necessità di impedire che le generazioni future nascano è fin dall’origine parte integrante di questa politica di “solidarietà”.

Lasciamo pure da parte le questioni etiche che esso comporta, ma il fatto è che questo approccio allo sviluppo e all’uso delle risorse è profondamente sbagliato dal punto di vista economico, o – per meglio dire – è smentito dalla realtà. In effetti, la storia ci dimostra come le risorse siano andate sempre moltiplicandosi in modo più che proporzionale alla crescita della popolazione.

Questo perché le risorse non sono un dato fisso fornito dalla natura, ma dipendono dalla creatività dell’uomo che sa usare di ciò che trova in natura: il petrolio è oggi una risorsa, ma appena due secoli fa era un grave problema per i terreni agricoli; solo pochi anni fa si lanciava l’allarme per la fine del rame che avrebbe mandato in tilt il sistema mondiale delle telecomunicazioni, poi si sono scoperte le fibre ottiche che hanno sostituito il rame con il silicio che, trovandosi nella comune sabbia, è un elemento disponibile in quantità più che abbondante per i prossimi secoli.

Molto importante da notare è che l’ingegno dell’uomo è puntualmente stimolato dalle necessità, tra cui spicca per importanza l’aumento della popolazione. Nella storia, dunque, l’aumento della popolazione è sempre stato il “motore” per l’accrescimento delle risorse e non la causa del loro esaurimento.

È un argomento che meriterebbe certamente un ulteriore approfondimento, ma in questa sede è interessante intanto notare che proprio la scommessa sulla libertà dell’uomo, la concezione positiva della presenza e dell’agire umano sono alla base dello straordinario sviluppo sociale, economico, culturale e politico dell’Europa cristiana, che parte nel Medioevo.

Il cittadino della “civiltà cristiana” non si preoccupava delle generazioni future, ma di fare nel presente la volontà di Dio. Così, come conseguenza, preparava un futuro migliore anche per i propri figli e nipoti. È questa la posizione più realistica, perché non siamo in grado di sapere cosa accadrà domani o fra 50 e 100 anni, ma siamo in grado di giudicare cosa è giusto o sbagliato oggi, sappiamo cosa in questo istante è la volontà di Dio, cosa corrisponde alla dignità dell’uomo fatto “a immagine e somiglianza di Dio”.

Così, tanto per fare un esempio banale: non va sprecata l’acqua perché è un dono di Dio per rispondere alle mie necessità, e non perché altrimenti non ce ne sarà abbastanza per i miei nipoti. Anche perché, da un punto di vista puramente tecnico, è assurdo pensare che chiudere il rubinetto oggi garantisca maggiore acqua tra 30 anni, così come chiudere i rubinetti a Milano non fa uscire più acqua dai rubinetti di Kinshasa.

Dunque, l’uso responsabile delle risorse è una questione etica che attiene al rapporto che c’è tra me e la realtà circostante, e non ha a che fare con la loro disponibilità. Del resto, anche Gesù, quando se la prende con i ricchi non ha come termine di riferimento la limitatezza delle risorse o la disponibilità verso le generazioni future, ma proprio il rapporto attuale, presente, con i beni disponibili.

L’unico futuro che conta è fuori dall’orizzonte temporale, è il giorno del Giudizio, è il giorno in cui compariremo davanti al Signore e dovremo rispondere di ogni cosa che abbiamo fatto e detto. Questo è – mi si lasci passare l’espressione – un “futuro presente”, ovvero che giudica ogni istante della nostra vita. Il richiamo alle “generazioni future” così come viene inteso oggi, invece, oltre a essere sbagliato da un punto di vista sociale ed economico, sa molto di neo-paganesimo e si traduce con una tipica espressione purtroppo ripetuta in buona fede anche da tanti cristiani: “Dobbiamo lasciare il mondo così come lo abbiamo ricevuto”.

Ma questo è il principio dell’immobilità, è il principio culturale – ad esempio – che impedisce a tanti popoli africani di emanciparsi e svilupparsi, è la base su cui si perpetuano società arcaiche e violente. Al contrario, da Dio siamo chiamati a “collaborare alla Creazione”, quindi a migliorare il mondo e la città dell’uomo. E soprattutto siamo chiamati a comunicare e trasmettere la salvezza che ci è stata donata, l’unica cosa che veramente conta per le “generazioni future”, così come per quelle presenti.