Il progresso? È il Medioevo

medioevoAvvenire, 24 ottobre 2007

«Per definire un massacro oggi si parla di ‘barbarie da secoli bui’. Ma quando si esce da un periodo che ha inventato, tra l’altro, la Shoah, il gulag e i khmer rossi, mi chiedo dove stia la barbarie!» «Il rifiuto dell’età di mezzo si muta, in epoca illuminista, in rottura col cristianesimo. Come se prima non ci fosse nulla. Eppure non sono stati i Greci, ma il Vangelo a rendere possibile la democrazia»

di Jean Mercier

Parla poco e non ama i riflettori. Attraverso gli strumenti della filosofia, che insegna a Paris I (PantheonSorbona) e in Germania, all’università Ludwig Maximilian di Monaco, si sforza di pensare la civiltà occidentale nel suo legame con la Bibbia, il Medioevo e l’islam.

Nel 1992 il suo Europa, la via romana rivelava al grande pubblico un non-conformista che decripta gli ancoraggi filosofici dei valori europei e l’articolazione tra religione e società. Nella sua ultima opera, Au moyen du Moyen Age («In mezzo al Medioevo», ma anche «Al modo del Medioevo» o «Per mezzo del Medioevo»), ci invita a guardare con occhi diversi un periodo troppo spesso disprezzato dai nostri contemporanei.

Spiritoso e impassibile, appassionato di letteratura umoristica inglese, Brague ha il gusto della provocazione. Gli piace scovare «le derive oscurantiste della modernità», così come una certa «ingenuità» nel dialogo dei cristiani con l’islam.

Innanzitutto la vita. Qual è il suo percorso?

«Sono cresciuto nella periferia parigina, ma ho radici nella Nièvre, in Borgogna. Non ho mai conosciuto mio padre, ucciso in Indocina. Quanto agli studi, ho esitato a lungo tra filosofia e storia. Alla fine sono entrato all’Ecole normale supérieure, poi ho insegnato filosofia in un istituto tecnico. Sono stati quattro anni difficili. Ma sono convinto che i docenti universitari che non hanno fatto questo tipo d’esperienza restano sempre un po’nel loro mondo. Ho imparato a insegnare davvero, e non solo a stupire la platea con belle frasi… Specialista di filosofia greca, ho discusso la tesi su Aristotele. Ma poiché volevo esplorare l’aspetto biblico, ho imparato l’ebraico. All’inizio non ero interessato ai filosofi musulmani, ma all’ebreo Maimonide. Solo in un secondo momento, lavorando su testi ebraici tradotti dall’arabo, ho cominciato a studiare quella lingua. E in seguito sono stato chiamato a occupare una cattedra di filosofia araba e medievale».

In Occidente si ha una visione piuttosto negativa del Medioevo, visto come periodo buio della storia…

«È vero. Per definire un massacro, ovunque sia accaduto, i giornalisti parlano di ‘barbarie da Medioevo’. Ma quando si esce da un secolo che ha inventato, tra le altre cose, la Shoah, il gulag, la carestia artificiale in Ucraina nel 1932 e i khmer rossi, mi chiedo dove stia la barbarie! Si è creato in maniera ideologica un ‘Medioevo’, per contrapporlo ai cosiddetti tempi ‘moderni’. La cosa più bizzarra è che si fanno iniziare questi tempi da una data fissa (come il 1492, scoperta dell’America) quasi il progresso ci fosse caduto addosso un bel giorno. Il rifiuto del Medioevo traduce, in epoca illuminista, la volontà di rottura con il cristianesimo. Il nostro problema è credere che prima dei Lumi non ci fosse nulla, nessuna intelligenza. Eppure è stato il cristianesimo a rendere possibile la democrazia. Sono stati gli ordini religiosi cristiani a inventarla».

…e non la società ateniese?

«Ad Atene si tiravano a sorte gli adulti maschi e liberi. Gli esseri umani non erano tutti uguali. Dire che bisogna dare la stessa scheda elettorale a Einstein e allo scemo del villaggio, dire che hanno lo stesso valore, presuppone una trascendenza, una fonte ultima che fondi tale valore. Questa fonte è Dio. Bergson ha ragione a sostenere che ‘la democrazia è, nella sua essenza, evangelica’. Essa non è possibile senza l’idea di coscienza, ossia senza l’idea che Dio parla nella coscienza. Rousseau la chiama ancora ‘istinto divino’».

Lei fa parte di quei cristiani fortemente critici della modernità?

«Solo i cristiani sono rimasti lucidi. La modernità è vista come avanzamento perpetuo. I nostri contemporanei, che non credono più in nulla, come bambini di quattro anni s’immaginano che esistano dei folletti che, di notte, riparano i danni creati dal nostro sfruttamento sfrenato della natura. E cicogne che ci porteranno i figli che rifiutiamo di mettere al mondo. Si fa quel che si vuole e si pensa che alla fine tutto andrà per il meglio. La verità è che potrebbe finire malissimo…».

È necessario che il cristianesimo denunci senza sosta questa crisi di valori?

«Sì. Dio ha detto al profeta Ezechiele: ‘Se le persone muoiono nel peccato senza che tu le abbia avvertite, è a te che chiederò conto’. Si vorrebbe mascherare l’immensa crisi di fiducia dell’Occidente, evidentissima, con la sola gestione del vivere comune, mentre la nostra sopravvivenza passa attraverso la scoperta di una verità ultima sulla vita, legata alla trascendenza. Facciamo un esempio di questa crisi gravissima: il modo in cui la società parla del bambino. Ci si rallegra della natalità francese, che è un po’meno catastrofica di quella dei nostri vicini, dicendo che avremo chi ci pagherà le pensioni…».

Il cristianesimo è vittima di un’aggressione? L’impressione è che prevalga l’indifferenza. A parte Michel Onfray…

«Vedo soprattutto simpatici becchini, atei benevoli che si rendono conto che i cristiani comprano molti libri e dunque non bisogna essere loro ostili. Così dicono che il cristianesimo ha fatto cose buone, e lo si può seppellire con incensi e ghirlande. Lusingano il cristiano mostrandogli al tempo stesso che la sua fede non è più attuale».

Lei ha scritto spesso che, tra cristiani e musulmani, è difficile dialogare. Perché?

«Ma no! Con i musulmani è possibile e necessario dialogare. Semplicemente, bisogna partire dalla ragione che ogni uomo possiede. E non basarsi su elementi religiosi comuni, perché sono falsati. L’islam si definisce per principio un postcristianesimo che sostiene che ebrei e cristiani hanno alterato i testi sacri. Per i musulmani, gli ebrei sarebbero infedeli a Moussa (Mosè) e i cristiani a Issa (Gesù). Di conseguenza ne deducono di essere loro i veri discepoli di Gesù e Mosè. Per loro il cristiano adora tre divinità, ha perso il treno quando non ha ricevuto la rivelazione di Maometto.

È difficilissimo far capire ai musulmani che essi non conoscono il cristianesimo e l’ebraismo. Dal punto di vista dell’islam, il cristiano crede di essere cristiano ma non lo è veramente… Il cristianesimo accetta di essere secondo rispetto all’ebraismo, mentre l’islam non si sente secondo rispetto al giudeo-cristianesimo. Da un lato, il cristianesimo include l’Antica Alleanza, riprendendo la Bibbia ebraica senza tagli. Dall’altro, l’islam assorbe e fa scomparire il giudeocristianesimo quasi digerendolo. I cristiani poi tendono ad applicare la loro visione di Dio ad Allah. Hanno difficoltà a riconoscere il posto occupato da Maometto nelle società islamiche.

Secondo l’islam tradizionale, poiché Dio è immensamente al di sopra degli esseri umani, è meno grave essere blasfemi contro Dio che prendersela con Maometto, poiché in tal caso si scalza il fondamento della società musulmana, il suo legislatore. Altro esempio d’ignoranza: spesso si sente dire che, di fronte alla violenza, tutte le religioni si equivalgono. Per quanto riguarda il cristianesimo si citano le Crociate e l’Inquisizione. Ma si rifiuta di vedere che il rapporto con la violenza nell’islam e nel cristianesimo non è identico. Certo, nel Corano si trovano versetti pacifici; ma altri versetti, che richiamano alla guerra, li contraddicono. La regola islamica vuole che questi versetti più recenti abroghino i più antichi, e perciò talvolta è difficile accettare il fatto che l’islam legittimi la violenza verso gli infedeli».

(A.C. Valdera)