Al contadino non far sapere…

ogm Espansione (mensile economico de “Il Giornale”) maggio 2008

Il governo ha speso 6 milioni per scoprire se gli Ogm sono utili o dannosi. Sul mais li risultati sono sorprendenti. Ma si è fatto ben poco perché agricoltori e consumatori ne venissero a conoscenza. Ecco il resoconto di un addetto ai lavori

 di Piero Morandini

Ricercatore dell’Università di Milano, dip. Biologia

I dati sono il pane quotidiano per i ricercatori. Abituati a esaminare un grafico per capirne subito il significato, fanno scorrere una tabella di numeri per soffermarsi solo sulla colonna o sul dato rivelatore di un nuovo fenomeno. Gli studenti di lauree scientifiche sono educati a questo: saper leggere il dato. Ho provato soddisfazione quando, mostrando loro i dati della tabella qui sotto, percepivano in meno di due secondi la loro rilevanza.

La tabella che dice tutto

Vediamo insieme. La tabella mostra i dati sulla resa economica di quattro varietà di mais e sul loro contenuto di veleni prodotti da funghi microscopici. I dati provengono da una sperimentazione fatta nel 2005 nell’azienda lombarda di Landriano, che appartiene all’Università di Milano. La sperimentazione, eseguita dal professor Tommaso Maggiore, era finanziata dall’Inran, Istituto del ministero per l’Agricoltura, all’interno del programma “Ogm in agricoltura”. Scopo dichiarato, capire se gli Ogm fossero utili all’agricoltura italiana e comportassero rischi per i consumatori.

Il finanziamento totale del progetto era di 6,2 milioni di euro e la sperimentazione sopra menzionata ne è costata 75 mila. L’esperimento è stato fatto seminando due varietà di mais convenzionale e due varietà transgeniche identiche a quelle convenzionali, ma con in più il carattere Bt, che sta per Bacillus thuringensis.

Il mais Bt contiene cioè, oltre ai normali 30.000 geni, anche un gene del bacillo che permette alla pianta di produrre un insetticida naturale dannoso solo per alcuni insetti e in particolare per le larve di piralide, l’insetto che danneggia maggiormente il mais in Pianura Padana. La presenza del carattere Bt nella pianta del mais si traduce nel fatto che le larve di piralide che si nutrono del mais o muoiono o se ne vanno, e questo rende la pianta più sana: provate voi a vivere con decine di larve che vi mangiano dal di dentro, come si vede dalla foto nella pagina seguente.

Andate ora alla tabella e fate il paragone tra il mais convenzionale P66 e quello transgenico, la cui unica differenza è appunto il gene Bt. Oppure il confronto tra il mais Cecilia e la sua corrispondente Bt, che si chiama Bigina. Innanzitutto guardiamo il dato sulla produttività: P66 rende 111 quintali per ettaro, mentre la varietà transgenica 159. Oppure 110 quintali rispetto a 141, se confrontiamo il mais convenzionale Cecilia e la corrispondente Bt Bigina.

Un miliardo per nutrire i bruchi

In termini economici è già una bella sorpresa. Nel caso dell’Ogni si arriva a produrne fino a 48 quintali in più per ettaro. Se lo vendete a 22 euro al quintale (il prezzo attuale), questo si traduce in un maggior incasso di 1.056 euro per ettaro. Se avete 10 ettari, il calcolo è presto fatto: 10.560 euro in più che vi mettete in tasca, perchè non avete fatto altro che cambiare semente. Tutte le altre spese e il lavoro necessario per fare il raccolto rimangono uguali.

A onor del vero, la semente di una varietà Bt costa un po’ di più rispetto alla convenzionale, per cui avete una spesa maggiore all’inizio, ma i benefici economici rimangono notevoli. Adesso pensate in grande: considerate la superficie totale coltivata a mais in Italia (1,1 milioni di ettari, il 90% dei quali in Pianura Padana) e una produzione media di 100 quintali per ettaro. Con la messa al bando degli Ogm questo si traduce in un danno per gli agricoltori intorno al miliardo di euro, non proprio noccioline.

Ovviamente il valore preciso in un certo anno dipenderà dalla resa, dalla quantità di parassita che non è mai omogenea, da eventuale impiego di pesticidi o altre misure di lotta, in genere costose e poco efficaci. Tutto questo influisce sul risultato finale, per cui in un anno con poca piramide il valore perso potrebbe essere “solo” 100 milioni di euro, mentyre l’anno successivo magari bruciamo 700 milioni. Soldi che non abbiamo bisogno di buttare via, vista la bilancia agricola in passivo perenne.

Ma il bello deve ancora venire. Guardate nella solita tabellail numero di larve di piramide per pianta. Il mais Bt, quello transgenico, ha zero spaccato. Quello convenzionale ha una media di 29 larve, più di un terzo delle quali passano la vita a “ravanare” nella pannocchia sforacchiando i semi e lasciando le loro feci sul prodotto che noi o le bestie andremo poi a consumare

Ma il gusto sta nel condimento. La piralide non si lava quando entra nella pianta e si trascina quindi dietro funghi e altri microrganismi. Una classe di funghi del genere Fusariurn cresce molto volentieri dentro alle ferite del mais e produce tossine dette fumonisne.

Dove sono i risultati? Nascosti

Guardate l’ultima colonna: il mais Bt ha meno di un centesimo di fumonisine rispetto al convenzionale. Non è l’Ogm che fa male, è il mais “Ogm-Free” che sarebbe invendibile perché c’è un limite per la presenza di fumonisine nei cibi e nei mangimi. Il nuovo limite di 2 milligrammi per chilo sarebbe dovuto entrare in vigore a ottobre, ma grazie ai Verdi la soglia è stata innalzata a 4 mg al chilo per evitare che circa la metà del mais italiano diventasse fuori legge e rimanesse invenduto. I consumatori e gli animali ringraziano.

Considerate che le fumonisine sono un fattore di rischio per il tumore all’esofago e per la nascita di bambini affetti da spina bifida, una malformazione del feto che in genere inchioderà la persona sulla carrozzella per la vita, causando altri gravi problemi come incontinenza urinaria, spesso anche ritardo mentale e altro ancora. Chi volesse saperne di più può consultare Wikipedia o cercare su Google con “fumonisine e spina bifida”. Le immagini sono forti e non adatte a tutti. E allora?

Possono i detrattori delle biotecnologie sostenere che l’inutile ingestione di fumonisine non abbia causato 10 o 100 casi in più di spina bifida? No, non possono. E fosse anche un solo caso, Io giudicherei sufficiente per suggerire l’adozione (non certo l’imposizione) delle varietà Bt, finora proibite, nella maiscoltura italiana.

Di più: i dati di resa, presentati per la prima volta nel 2006 in un convegno pubblico all’Inran (Istituto nazionale per la ricerca sugli alimenti e la nutrizione), sono stati da allora relegati in una pagina secondaria del sito e non pubblicizzati affatto tra gli agricoltori. I dati sulle fumonisine non hanno mai raggiunto il grande pubblico, a cui è stata negata un’informazione importante per la salute e per una scelta consapevole. Il motivo è che tali dati avrebbero avuto una grande forza di convincimento: le ricerche infatti hanno tutti i crismi necessari per convincere anche i più accaniti detrattori della tecnologia.

Sono state finanziate con i soldi dei cittadini attraverso il ministero per l’Agricoltura, eseguite da un’istituzione pubblica – l’università di Milano – prestigiosa e indipendente dall’industria; i dati confermano studi precedenti dell’industria e altri gruppi, anche se in questo caso sono eccezionalmente buoni. Con in più il va: faggio di essere assolutamente chiari e facilissimi da capire.

E il resto dei soldi dov’è andato?

La prima: visti i risultati occorre concludere che i soldi per la prova sperimentali (75 mila euro) sono soldi ben spesi. Questo controllo pubblico ci suggerisce che i dossier che le aziende presentano all’Efsa per richiedere l’autorizzazione di un nuovo Ogm siano veritieri. Sarebbe strano il contrario visto che le ditte sanno bene che, se mentono, vengono prima o poi pescate e pagano un prezzo altissimo: l’esclusione dal mercato.

L’altra considerazione, più amara: chi doveva vegliare sulla nostra salute e rispondere alle domande sugli Ogm per tranquillizzare i cittadini, non lo ha fatto. Hanno reso difficile ai contribuenti conoscere i risultati di ricerche per cui hanno pagato, danneggiato i consumatori esponendoli a maggiori livelli di fumonisine, causato inutili sofferenze agli animali, danneggiato gli agricoltori dal punto di vista economico e l’intero Paese per aver reso i nostri prodotti agricoli meno sicuri e competitivi e aggravato il deficit commerciale. Insomma, sono venuti meno a un dovere morale fondamentale dell’impiegato pubblico, quello di difendere gli italiani, la loro salute e la loro economia.

La domanda riguarda il resto dei soldi investiti nel programma “Ogm in agricoltura”. Come sono stati spesi quei fondi? Quanti e quali altri risultati scientificamente validi sono stati raggiunti? Con 6,2 milioni di euro si è giunti a qualche (altra) conclusione utile per i contribuenti o gli agricoltori? Se con tutti quei soldi non si è riusciti a rispondere a due domande tutto sommato abbastanza semplici e dettagliate (gli Ogm sono utili all’agricoltura italiana? Comportano rischi per i consumatori?), il dubbio spontaneo è che siano stati soldi sprecati.

Gli Ogm amici del contadino

Perché gli agricoltori piantano le varietà transgeniche? La risposta ovvia è che ne hanno un beneficio, diverso per ogni pianta. Ad esempio per il mais Bt c’è un aumento di produzione (in genere non cosi eclatante come quello riscontrato a Landriano), ma il beneficio maggiore è nella riduzione delle tossine.

Per la soia resistente agli erbicidi ci sono benefici ambientali, perché è richiesta solo un’aratura superficiale con risparmio di carburante e minor erosione del suolo, oltre a impiegare erbicidi che si degradano velocemente e che sono meno tossici del sale da cucina.

L’agricoltore ne trae anche un beneficio non economico: meno tempo sul trattore per arare o spruzzare diserbanti. Per il cotone Bt, resistente ad alcuni insetti parassiti, è il ridotto uso di pesticidi, per quantità e numero di trattamenti per stagione. La papaia resistente a virus cresce e produce bene anche in presenza del virus e quindi il beneficio è la possibilità stessa di coltivarla.

Ogni agricoltore sa pesare i benefici rispetto ai maggiori costi di queste sementi. Ben 10 degli 11 milioni che li usano sono contadini poveri nei Paesi in via di sviluppo, per nulla vogliosi di sprecare soldi, e aumentano al ritmo di 1 milione all’anno. Due casi eclatanti: India e Brasile per un certo periodo non permettevano l’uso degli Ogm, ma questi erano coltivati illegalmente su vari milioni di ettari.

Un recente sondaggio in Italia (Demoskopea) mostra come oltre i due terzi dei maiscoltori lombardi sarebbero pronti a usarli, nonostante il parere contrario di molti dei sindacati a cui fanno riferimento, Coldiretti in testa. La motivazione è semplice: se ne importiamo oltre 4 milioni di tonnellate all’anno, tanto male gli Ogm non devono fare. Perché allora non coltivarli anche noi?

I dati della sperimentazione di Landriano nel 2005

Varietà di mais

P66 (convenzionale) – q.li /ettaro: 111– larve /pianta: 30 – Fumonisina (mg/Kg): 6,3

P66 Bt (varietà Ogm) – q.li/ettaro: 159 –  larve/pianta: 0 – Fumonisina (mg/Kg): 0,06

Cecilia (convenzionale) – q.li/ettaro: 110 – larve/pianta: 28 – Fumonisina (mg/Kg): 6,1

Cecilia Bt (varietà Ogm) – q.li/ettaro: 141 – larve/pianta: 0  – Fumonisina (mg/Kg): 0,048

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Siti utili per capire:

www.salmone.org

www.isaaa.org