Berdymukh in Usa

Il Sole 24 Ore on line 27 settembre 2007

di Piero Sinatti

Tappeti rossi in USA per il presidente turkmeno Gurbanguly Berdymukhammedov, arrivato pochi giorni fa a New York per intervenire – la prima volta per un presidente turkmeno –  all’Assemblea generale annuale dell’ONU. E si tratta anche del primo viaggio in Occidente per l’ex – dentista ed ex-ministro della sanità, succeduto lo scorso dicembre al Turkmenbashi Nijazov, passato a miglior vita lo scorso dicembre.

Berdymukhammedov ha avuto un lungo e cordiale colloquio con Condoleeza Rice. Invitato alla Columbia University ha parlato agli studenti senza essere platealmente insultato dal rettore Bollinger, come era successo al presidente iraniano Akhmadinejad. Grazie a questa visita il presidente turkmeno ha rafforzato relazioni e contatti con l’amministrazione americana, iniziati il maggio e giugno scorsi con incontri ad Ashgabat con alti papaveri del Dipartimento di stato (Steven Mann ed Evan Feigenbaum).

Interessa gli USA il gas turkmeno

Non per caso la visita del corpulento Gurbanguly a Washington è stata accompagnata da quella di un delegazione di alti funzionari turkmeni del settore energetico a Houston, Texas, la capitale dei petrolieri americani. Le major energetiche USA sono interessate, al pari di quelle europee, a metter mano nei grandi giacimenti di gas turkmeni.Ashgabat ha riserve valutate attorno ai tre trilioni di metri cubi, anche se gli esperti turkmeni parlano di cifre tra le sei e le dieci volte superiori. Washington persegue il suo storico obiettivo strategico: sottrarre a Mosca il controllo su produzione ed export di gas turkmeno, che Gazprom acquista a basso prezzo (attorno ai 90-100 dollari ogni mille metri cubi, contro i 230-250 sui mercati internazionali).

Rilancio del progetto Nabucco  

La visita del nuovo leader turkmeno in USA sembra rilanciare il progetto (patrocinato dall’UE) del gasdotto Nabucco (Azerbajdzhan-Georgia-Turchia-UE). SE ne era già parlato la settimana scorsa nel corso di un incontro ad Ashgabat tra il presidente turkmeno e il ministro britannico dell’energia Malcom Wiks (che ha patrocinato l’ingresso in Turkemnistan di compagnie britanniche). Il “Nabucco” ha una sponda americana, nel senso che sarebbe collegato al Turkeministan tramite il gasdotto sottomarino transcaspico. Si tratta di  un vecchio progetto USA, che prevede il trasporto del gas dalle rive turkmene a Baku sul fondo del Caspio. Aggirando la Russia ed escludendo i gasdotti di Gazprom. E’ un’impresa problematica, per costi, fattibilità, e mancato accordo sulla ripartizione e uso delle acque di quel mare chiuso tra i cinque paesi rivieraschi.

Tra questi si annovera  l’Iran, che al pari dei russi avversa quel progetto americano. E a Teheran alla metà di ottobre è previsto l’arrivo di Vladimir Putin, che discuterà la questione dello status del Caspio con i rappresentati iraniani, azeri, kazakhi e turkmeni. Gli USA, per motivi non solo energetici ma anche geopolitica, e l’UE – il cui approvvigionamento del gas dipende per oltre il 30% dalla forniture russe – vogliono diversificare le fonti di approvvigionamento energetico internazionale. A danno di Mosca.

Il progetto “Nabucco” e quello sottomarino  transcaspico avevano ricevuto un duro colpo lo scorso maggio grazie agli accordi Kazakhstan-Turkmenistan-Russia-Uzbekistan, che sancivano per l’export del gas centroasiatico (turkmeno, kazakho, uzbeko) le vecchie (da ammodernare) e le nuove (da costruire) reti di trasporto controllate da Gazprom e tutte dirette in Russia. Oltre a fissare quote e prezzi. Parve un trionfo di Putin nella scacchiera  caspico-centroasiatica. Bedymukhammedov, tuttavia, aveva lasciato capire che altre vie non erano chiuse.

Altre “vie alternative” per il gas turkmeno

Per queste gli USA, infatti, promettevano il pieno sostegno, per aiutare “lo sforzo turkmeno di aprirsi agli investimenti internazionali” e alle vie alternative a quella russa”. Tra cui quella del territorio afghano per indirizzare il gas turkmeno verso l’area dell’Oceano indiano. Un progetto che a metà degli anni Novanta cercò di realizzare l’americana Unocal, con il sostegno di Washington ma senza risultati data l’instabile situazione afgana.

Freddo tra Mosca e Ashgabat   

Il pressing USA su Ashagabat ha avuto come primo risultato la richiesta, prospettata dai  turkmeni, di aumentare il prezzo del gas esportato in Russia dagli attuali (e recenti) 100 dollari a 150 per ogni mille metri cubi, nonostante gli accordi della primavera scorsa tra Mosca e Ashgabat.  Fino a un anno fa i russi lo pagavano poco meno di 50 dollari. A settembre è giunto improvviso il raffreddamento dei rapporti tra Mosca e Ashgabat. La nuova visita di Putin ad Ashgabat, prevista nella prima metà del mese per la definitiva ratifica degli accordi di maggio, veniva improvvisamente annullata.

“Si sono creati problemi”. “Si è creata tensione”(tra Mosca e Ashgabat, ndr) –  avrebbe detto nei giorni scorsi ai suoi interlocutori americani il capo turkmeno, come racconta  l’informato “Kommersant”. Il fatto più verisimile è che Ashgabat non voglia rinunciare in toto a quegli accordi, ma cerchi piuttosto di ottenere da Mosca un prezzo più alto per le sue forniture a partire dal 2008.  Si tratta di 50 miliardi di metri cubi annui: un impegno già sottoscritto dal defunto presidente Njazov. E’ importante ricordare che a sua volta la Russia consuma in proprio parte di quel gas e ne esporta una grossa quota in Ucraina. E questo consente a Gazprom di far pienamente fronte ai crescenti impegni di fornitura contratti con i paesi dell’UE, tra cui il nostro e la Germania tra i primi.

C’è anche la Cina  

Inoltre, va sottolineato, per completare il quadro del Grande Gioco attorno al gas turkmeno, l’ingresso di Pechino (che non può non preoccupare Mosca) come nuovo grande cliente di Ashgabat , con la fornitura di 30 miliardi di gas annui e la costruzione di un grande gasdotto dal sud est turkmeno allo Xinjiang cinese. In molti, tra osservatori ed esperti, si chiedono in che misura Ashgabat possa far fronte a impegni di questa entità.

Una nuova immagine per Gurbanguly

A queste aperture del leader turkmeno che rompono con lo strettissimo isolamento “neutralista” praticato per oltre un decennio da Niijazov, corrisponde l’inizio della demolizione del culto del Turkmenbashi e dei suoi simboli più appariscenti e grotteschi. Ha messo in galera alcuni pezzi più grossi più legati (com’era lui) al  Turkmenbashi, come i capi dei “servizi” e della Guardia presidenziale e l’ex il ministro dell’agricoltura (e i loro figli). Ha cominciato a liberare alcune delle migliaia di cittadini arrestati e condannati negli anni precedenti. Ha reintrodotto l’insegnamento in russo nelle scuole e nell’università di Ashgabat (indispensabile per i settori tecnici e scientifici). Ha autorizzato (sembra) Internet.

Tuttavia, al posto dei ritratti di Nijazov, rimossi, sono cominciati ad apparire i suoi, giganteschi, con tanto di enorme medaglione di oro e rubini al collo: la massima onorificenza turkmena per i meriti acquisiti al servizio della patria (ordine “watan”). Per ora, niente statue. sono passati solo dieci mesi dalla morte di Turkmenbashi e dalla sua ascesa al potere. Berdymukhammedov – guarda caso – ha scelto  Washington come tribuna dalla quale annunciare, bontà sua, che sono vivi e vegeti, ma ancora in galera, due ministri  – Shikhmuradov e Berdyev – arrestati e incarcerati cinque anni fa da Nijazov per un presunto complotto contro di lui. E ridotti allo stato di non persone, senza comunicazione con il mondo esterno.

Il presidente turkmeno ha anche annunciato, a Washington, l’impegno a difendere il pluralismo religioso e creare un comitato per i diritti umani nel suo Paese. Nessuna voce di opposizione, intanto, è percepibile in quel piccolo semidesertico Paese (poco più di quattro milioni di anime). Il consenso è unanime. Negli USA, dopo i discorsi del nuovo leader alle NU e alla Columbia University, si da per certa e si elogia la conversione democratica del nuovo e già decorato presidente di tre trilioni di metri cubi di gas.