Quando il Soviet volle uccidere Dio

processione_ortodossaAvvenire, giovedì 21 settembre 2006

Parla lo slavista Nikita Struve: «Il primo obiettivo dell’Urss era la morte del sacro, che al tempo stesso è anche la morte dell’uomo». «Se non conforme al partito, la verità era negata. A combattere rimasero solo geni come Mandel’štam e Solzenycin» «”Arcipelago Gulag”,scritto sacrificando la vita dell’autore, aprì gli occhi ll’Occidente e mostrò la senescenza del comunismo»

Dal Nostro Inviato A Bose (Bi) Edoardo Castagna

Una cristianità che ha a lungo sofferto, quella russa. E che oggi, superati i decenni di oppressione sovietica, si incammina al tempo stesso sulla strada del confronto con la modernità e su quella del dialogo con le altre Chiese cristiane. E con l’islam, puntualizza Nikita Struve: «In Russia, la Chiesa ortodossa si deve confrontare con i musulmani all’interno del suo stesso Paese, dal Caucaso al Kazan fino alla stessa Mosca. Però – a parte il problema ceceno, che tuttavia riguarda solo una piccola parte della Russia – sembra che la situazione più pacifica rispetto al resto del mondo, senza integralismo».

Struve, slavista russo presso l’Università di Parigi X e tra i laici più in vista dell’Esarcato ortodosso russo dell’Europa occidentale, ha partecipato a Bose ai lavori del XIV convegno ecumenico internazionale, che si è concluso ieri e ha contato, tra le altre, le partecipazioni di Achille Silvestrini, Gennadios d’Italia, Emilianos di Silvyria, Ioann di Belgoros, Ioannis di Thermopyli e Kalinik di Vratsa. Un doppio percorso, quello sviluppato nel monastero piemontese nei giorni scorsi, che si è concentrato su «Nicola Cabasilas e la divina liturgia» e su «Le missioni della Chiesa ortodossa in Russia».

Un itinerario «particolarmente attuale», ha detto padre Enzo Bianchi aprendo i lavori, perché particolarmente attuale è «questo nostro porci in ascolto della vita missionaria della Chiesa ortodossa russa in un tempo in cui la domanda di senso che abita l’uomo contemporaneo non può essere elusa dai cristiani».

Come valuta, professor Struve, l’attuale dialogo tra cattolici e ortodossi?

«Naturalmente, penso che debba andare avanti. Ad essere veramente difficili sono i problemi locali – e forse anche quelli ai massimi vertici -, ma il cammino può proseguire se ci rispetta gli uni con gli altri, se ci si studia reciprocamente e, soprattutto, se si è testimoni di Cristo. Insieme: dobbiamo riconoscere che un’unione non è impossibile. Viviamo in un’epoca di crisi culturale, e siamo costretti dalle circostanze a essere insieme».

Una crisi che, in Russia, discende anche da quella negazione della cristianità, praticata da settant’anni di comunismo, che lei ha analizzato nel suo «I cristiani nell’Unione Sovietica». Quali caratteri contraddistinguevano il regime comunista dell’Urss?

«Se non era conforme alle scelte del partito, la verità era sistematicamente negata. Il regime sovietico fu un regime di uccisione di Dio, dove l’obiettivo principale era uccidere Dio. E uccidere Dio – questa è la lezione della storia del comunismo – significa uccidere gli uomini. Nessuna ideologia ha ucciso così tanta gente – almeno cento milioni di persone in tutta la Terra – come il comunismo, nemmeno Hitler. Uccidere Dio: questo fu il significato del regime sovietico. E gli uomini: non solo nel corpo, ma anche dentro, nell’anima».

Quale fu il ruolo della letteratura dissidente in Unione sovietica, da Osip Mandel’štam a Alexandr Solzenycin – del quale lei oltre che traduttore, è amico personale?

«Entrambi tentarono di salvare, con il loro lavoro, la verità, a prezzo del proprio sacrificio personale. Quando Mandel’štam scriveva i suoi versi e i suoi saggi, negli anni Trenta, nessun altro letterato lo leggeva. Ne era naturalmente consapevole, e sapeva che questo significava sacrificare la sua vita. Pure, lo fece: perché è proprio del genio il dire la verità. Solzenycin fece lo stesso, solo in un altro periodo. Un altro genio, forse lo scrittore più importante della seconda metà del Novecento. Anch’egli salvaguardò la verità, soprattutto con Arcipelago Gulag. Uscì nel 1973, ma egli, scrivendolo, era convinto che non sarebbe stato pubblicato che dai suoi figli, alla fine. È un lavoro di verità, scritto con il sacrificio di se stesso, ed è qualcosa di unico, che va al di là del semplice dissenso. Mandel’štam e Solzenicyn sono, in un certo senso, degli assoluti».

Quale forma letteraria assunse la loro reazione?

«Ci sono alcuni versi di Mandel’štam, dieci ri ghe appena, nelle quali descrive Stalin. E lo descrive come un assassino. Così Mandel’štam salvò la verità, la verità profonda del reale. Poi, al confino, compose un ciclo poetico che direi è la migliore espressione della fede cristiana. Sottovoce, direi che era un “compagno” di Cristo, che andò a morire volontariamente. Un fatto estremamente impressionante, per un ebreo come Mandel’štam. Era stato battezzato, senza che questo assumesse per lui un significato particolare. L’aveva fatto soltanto per poter studiare all’università, senza avere vera fede. Fu il destino a completare il suo cammino: quel rispetto per la verità fu anche una “conversione” al cristianesimo».

E Solzenycin? Ritiene che ebbe una reale influenza verso il crollo del comunismo?

«Sulla storia non lo so, ma sulle menti certamente sì; difficile valutare, restò in esilio per vent’anni. Io penso che il regime sovietico morì per la sua assurdità. Ma fu veramente importante che alcune voci di verità e di “resistenza” arrivassero in Occidente. Fu importante per mostrare la senescenza e la vacuità del regime comunista. Ebbe certamente un impatto sulla storia, anche se è complesso capire quale ne sia stata la portata. Però ha aperto gli occhi all’Occidente, soprattutto gli intellettuali occidentali. Che furono ciechi per troppo tempo».

Oggi abbiamo ancora figure di tale spessore, nella letteratura russa?

«Oggi in Russia c’è una democrazia, sia pure con alcuni aspetti autoritari. Comunque, la libertà di parola è assoluta. La letteratura attuale non è di gran livello, ma questo è un tratto comune anche ad altri Paesi – come la Francia, dove vivo. C’è una crisi generalizzata della letteratura, davanti alla complessità che ha assunto il mondo di oggi, e non saprei proprio indicare personaggi di statura paragonabile a questi grandi geni del passato».

VISITA IL MUSEO VIRTUALE SUL COMUNISMO