L’Islam e il Medio Oriente

sciiti_sunnitiLa Roccia anno 1 n.2 marzo-aprile 2015

Sunniti contro sciti, musulmani contro altri seguaci di Muhammad. Perché questa continua guerra interna all’islam? Quali le radici e le ragioni?

di Silvia Scaranari

II Medio Oriente entra prepotentemente nelle nostre case I tutti i giorni da decenni: con il quotidiano, con il Tg di pranzo o della sera, con i talk show della Rai o di Mediaset. Entrava con le tensioni fra Israele e i Palestinesi, con i problemi della Siria e con il suo presidente Assad – non proprio un esempio di democrazia -, con i confini contesi del Sinai o il problema dell’Iraq, ma da qualche mese entra sempre più spesso con le raccapriccianti scene delle torture e delle esecuzioni capitali operate dal governo dell’ISIS.

L’ISIS, lo Stato islamico proclamato da Al-Baghdadi nel luglio 2014, che si estende fra Siria e Iraq, tollera solo comportamenti conformi alla legge islamica sunnita. Sottolineo sunnita proprio perché sono caduti sotto le condanne affrettate della milizia islamica non soltanto cristiani o ebrei, ma anche musulmani sciiti e, soprattutto, gli yazidi, una religione che è un misto fra islam, ebraismo, buddhismo, verso cui è stato perpetuato un vero e proprio genocidio.

Potrebbe sorgere spontanea una domanda: si può capire l’attacco verso i cristiani e gli ebrei anche se nel Corano c’è scritto che le religioni del Libro (appunto cristianesimo ed ebraismo) possono continuare ad esistere in terra dell’islam, ma perché attaccano i fratelli nella fede, gli sciiti? Che differenza c’è fra sunniti e sciiti?

Per rispondere a questa domanda bisogna guardare la storia e capire come si sono formati questi due grandi filoni all’interno dell’islam. Nel mondo cristiano siamo abituati a pensare le divisioni fra cattolici, protestanti, ortodossi come fenomeni basati su complessi problemi teologici. Questo non vale per l’islam dove all’inizio la divisione fu squisitamente politica.

Una divisione politica

Che cosa è successo? Muhammad era diventato il capo politico della comunità a Medina, aveva negli ultimi anni di vita esteso il suo potere a quasi tutta la penisola arabica, aveva conquistato la Mecca e sottomesso decine di tribù del deserto. Contemporaneamente era leader religioso perché riceveva direttamente da Allah le indicazioni su cosa credere e cosa fare, quindi era il “profeta”. Dopo la sua morte nessuno avrebbe più potuto essere come lui. I futuri capi sarebbero stati khalif cioè “sostituti” ma mai “profeti”. E allora, come scegliere questi “sostituti”?

Chi sostituirà Muhammad? Si scontrarono diverse teorie (il comandante più pio, il comandante più forte a capo di una grande tribù, un membro della tribù a cui apparteneva il profeta, uno dei suoi primi seguaci, un suo parente di sangue…), ma prevalse all’inizio l’idea di scegliere uno degli amici più cari del Profeta, il fedele compagno e parente Abu Bakr (632-634), che era padre della moglie preferita, Aisha, sposata quando lei aveva appena nove anni.

Morto Abu Bakr, ne prende il posto un altro compagno dei primi anni e padre di un’altra moglie, Omar (634-644), e infine Othman (644-656), già consigliere di Omar e di Abu Bakr, molto ricco e marito di due figlie di Muhammad. Come quarto successore viene scelto Ali, che rivendicava tale incarico fin dall’inizio in quanto cugino del profeta e genero, avendone sposato la figlia preferita Fatima.

Non tutti furono d’accordo e iniziarono i contrasti all’interno della comunità che nel frattempo si era espansa da un lato fino all’Egitto e dall’altro fino alla Siria (Damasco cade nel 636, Gerusalemme nel 638 e il Cairo nel 639). Passano alcuni anni fra dispetti e scaramucce in cui entra con prepotenza anche la giovane vedova Aisha che scende addirittura in campo contro Ali nella famosa battaglia del cammello, disastrosamente persa (e da qui nasce il detto che porta sfortuna avere una donna in battaglia).

Nel 661 la situazione è così tesa che i sostenitori di Ali si vedono costretti a uno scontro armato con i sostenitori di Muhawwiya, della dinastia omayyade, comandante del fronte siriano in veloce espansione. A Siffin, presso il medio Eufrate, in Iraq, le armate stanno per scontrarsi quando alcuni saggi propongono un “arbitrato per non spargere sangue di fratelli”, e così avviene. Alla fine Muhawwiya vince e viene riconosciuto come legittimo khalif.

In un primo momento Ali accetta la decisione, ma poi si ribella e si allontana per preparare una nuova guerra. In quel momento si sono poste le basi per la divisione fra sunniti (i sostenitori di Muhawyya, oggi circa l’85% dei mu­sulmani), sciiti (i seguaci di Ali da sci’at Ali che significa partito di Ali, oggi circa il 9%) e kharijiti (un terzo gruppo che non riconosce Muhawyya, accusa Ali di essere troppo debole e quindi nomina un altro capo, oggi 1% circa).

Tre rami nell’islam

Ed ecco la comunità islamica, la Umma, pochi anni dopo la morte del Profeta, divisa in tre gruppi destinati a spezzettarsi ulteriormente soprattutto nel ramo sciita. La divisione avviene per un contrasto politico – chi è il nostro vero capo? – e continuerà su questo fino alla definitiva scomparsa del Califfato nel XX secolo. Il problema di fondo: il successore di Muhammad deve avere nelle sue vene sangue del Profeta (sciiti), può essere nominato dalla maggioranza e scelto in una famiglia potente (sunniti) o può essere nominato in base alla sua pietà, al suo coraggio, alla sua conoscenza del Corano (kharijiti)? Ovviamente nel tempo si sono anche differenziati per alcune pratiche religiose o alcune disposizioni giuridiche, ma restano accomunati nella fede e nella sottomissione all’unico Allah.

La situazione attuale dell’islam

Dal VII secolo in poi i rami dell’islam sono stati in lotta furibonda fra loro. Si sono scontrati con le armi in pugno, accusati di non essere veri musulmani, perseguitati a vicenda, ridotti in ghetti, salvo poi unirsi talora di fronte al comune nemico, i “Roman” o “Franchi” o “cristiani”, tre termini che nelle cronache arabe dei primi secoli sono interscambiabili e an­cora oggi vengono usati in alcuni contesti.

Oggi gli sciiti sono situati soprattutto in Iran, dove rappresentano il 98% della popolazione, e sono maggioritari in Azerbaijan, in Iraq e nel Bahrain; alte percentuali di sciiti si trovano in Libano, nello Yemen e in Kuwait. Forti mino­ranze sono presenti anche in Arabia Saudita e Siria (dove gli sciiti alawiti sono solo il 15% ma controllano il potere), mentre negli altri Paesi arabi sono fortemente minoritari. Fuori dal mondo arabo, forti minoranze si trovano in Tur­chia (aleviti), Afghanistan, Pakistan e India.

I kharijiti sono presenti nel Sultanato dell’Oman (dove s’erano insediati fin dal 686) e in alcune parti del Nord Africa: la regione dello Mzab in Algeria, il Gebel Nefusa in Tripolitania (Libia) e nell’isola tunisina di Jerba, oltre che a Zanzibar.

Tornando al Medio Oriente, si può ben comprendere che la regione sia piuttosto inquieta anche perché al variegato mondo musulmano – che si potrebbe approfondire e così scoprire che non sono soltanto tre i gruppi -si deve aggiungere la presenza di tutti gli altri gruppi religiosi: cristiani ortodossi, greco-cattolici, siriaci, nestoriani, armeni, maroniti, copti, caldei, ebrei, drusi, yazidi… e sono tutti arabi, tranne gli ebrei ovviamente.

Occorre quindi non commettere l’errore “arabi=musulmani” perché sono ugualmente arabi i drusi, i maroniti, gli ortodossi e via dicendo.

I musulmani fuori dal mondo arabo

Ma l’islam è tutto qui, con un’estensione nel Nord Africa? I musulmani sono tutti arabi? Assolutamente no, anzi la maggioranza dei musulmani non sono affatto arabi. L’Indonesia con i suoi quasi 220 milioni di islamici su una popolazione di 250 milioni di persone è di poco inferiore a tutto il Medio Oriente e il Nord Africa messi insieme, e poi l’India con circa 175 milioni, il resto dell’Asia, il centro e sud Africa, la Cina, dove le stime sono rese difficili da un governo ufficialmente ateo.

L’islam, con la sua chiamata universale alla conversione, è una religione che nel corso dei secoli, partendo dalla penisola arabica, si è estremamente articolata quanto a etnie, lingue, costumi, usi pur restando unita e forte nel rispetto del Corano e nella sottomissione ad Allah. A questo variopinto mondo si dovrebbe poi aggiungere qualche precisazione sulle diverse scuole teologiche e giuridiche che si sono sviluppate nei secoli e a cui dedicheremo spazio in un prossimo numero.

CHI SONO GLI YAZIDI

Gli Yazidi sono poco noti in Europa, anche se oggi una delle loro comunità più numerose, con sessantamila fedeli fuggiti dalle persecuzioni, vive in Germania, ma sono molto studiati dagli storici delle religioni, che li considerano un museo vivente della cultura religiosa medio-orientale.

In un’epoca imprecisata durante il Medioevo, gli Yazidi emergono in una zona a cavallo fra l’attuale Iraq e la Turchia come una religione separata da tutte le altre, di natura sincretista ed esoterica, con elementi tratti dall’ebraismo cabalistico, dallo gnosticismo, dal sufismo islamico e dallo zoroastrismo. Venerano come loro fondatore – e come incarnazione di un angelo – il maestro sufi Adi ibn Musafir (?-1162), discendente dei califfi della dinastia omayyade, il quale però probabilmente era un asceta musulmano morto decenni, se non secoli prima.

Il loro credo si basa su un Dio che crea prima sette arcangeli incaricati di governare l’universo, il cui capo è Tawuse Melek, l’Arcangelo Pavone, poi crea Adamo, e ordina agli arcangeli d’inchinarsi a lui. Tawuse Melek rifiuta, ma Dio gli lascia comunque il governo di tutto il bene e il male del mondo. Tawuse Melek parla per bocca dei profeti yazidi.

Il problema degli Yazidi è che i loro vicini ebrei, cristiani e soprattutto musulmani, sciiti e sunniti, hanno identificato Tawuse Melek – la cui storia ha elementi in comune con quella di Lucifero nella Bibbia e nel Corano – con il diavolo, e li hanno quindi etichettati come adoratori del diavolo, perseguitandoli duramente.

Secondo alcuni studiosi il numero di Yazidi trucidati nel corso dei secoli supera i venti milioni. Secondo le scuole islamiche più estreme, agli Yazidi dev’essere offerta l’alternativa fra convertirsi all’islam ed essere uccisi. Ne hanno massacrati a migliaia in Iraq prima Saddam Hussein (1937-2006), poi al-Qa’ida durante la guerra civile seguita all’invasione americana.

Oggi il Califfato di al-Baghdadi offre nuovamente loro l’antica alternativa: convertirsi all’islam o vedere i loro uomini fucilati e le loro donne vendute come schiave. I morti sarebbero già migliaia, i profughi decine di migliaia, e il rischio di un genocidio è alle porte, se si considera che dei settecentomila Yazidi sopravvissuti a secoli di persecuzioni, oggi cinquecentomila vivono in Iraq e cinquantamila in Siria.