Spostamenti progressivi del cosiddetto minor danno

card.Martini

Card. Martini

Il Foglio 24 aprile 2006

di Giuliano Ferrara

Non mi dispiacciono né il grande medico dei trapianti, il nuovo parlamentare DS Ignazio Marino, cattolico, autore di un libretto einaudiano Credere e curare, né il principe della Chiesa Carlo Maria Martini, gesuita e biblista celebre, già pastore di Milano: ma non mi ha convinto il loro “dialogo della compunzione” sull’Espresso. I due si cercano e si trovano, anzi si cercano perchè si erano già trovati, e ragionano insieme di sociologia, di casi estremi del disagio sociale, come un Luigi Manconi moltiplicato per due, che si fa la domanda e si dà la risposta sulla famosa “logica del minor danno”.

Questa logica ha una sua autorevolezza, aderisce alla realtà delle cose. Ma solo come perdono, come rinuncia alla giustizia naturale e positiva, non come autorizzazione, caduta degli interdetti, insediamento di sempre nuovi diritti, all’infinito. La conoscete, no?, la logica del minor danno.

Una coppia che è minacciata dall’Aids deve potersi proteggere con il preservativo, dicono il medico e il prete. A un essere umano sofferente e senza speranza si deve poter dare la morte per amore, ribadiscono, in nome di una dignità della vita che secondo Martini è più importante della vita (Solo un gesuita colto e raffinato può trovare una simile soluzione sofistica: la vita è meno importante della sua dignità, quando Agostino parlava di una “vita morente” che deve essere riconosciuta e amata per tale, e Cervantes mette in bocca al suo eroe che vuole disperatamente credere l’idea che la dignità dell’uomo è nel suo “esser nato per vivere morendo”).

Conoscete gli altri casi di minor danno: autorizzi l’aborto pubblico per evitare l’aborto clandestino, senza preoccuparti di denunciare l’infamia dell’aborto come omicidio, come tragedia, e non come “sconfitta” di cui è più facile consolarsi nell’irresponsabilità culturale e sociale (“sconfitta” è il termine edulcorato che viene usato nel “dialogo della compunzione”); autorizzi la libera ricerca sull’embrione creato in vitro per (forse) curare le malattie con la soppressione (sicura) di vita umana, poi per riscattare dal frigorifero l’embrione creato artificialmente apri la strada dell’adozione eterologa delle mamme single, poi all’ eterologa tout court perchè è meglio vivere in una famiglia monoparentale che al brefotrofio, e non c’è forse il caso dell’educazione dei figli da parte di un vedovo o di una vedova? (Ancora un bell’esempio di casistica gesuitica.).

Si può continuare all’infinito: meglio dare un po’ di eroina o di coca di stato al giorno che consentire lo spaccio, meglio l’adozione e il matrimonio delle coppie omosessuali che il libertinaggio, e se alla fine le società asiatiche bramano i figli maschi, ora che si possono eliminare a milioni le femmine in pancia, si proceda, e via diminuendo il danno. Intanto mi sento un po’ coglionato, dico intellettualmente.

Il sociologo può e deve riflettere a quel modo, ma siamo tutti sociologi? Siamo tutti assistenti sociali? Dobbiamo tutti pensare nella forma di pensiero unico dell’allevamento del disagio? E chi pensa a curarci e basta? Dove sta il medico che non mi assicura il diritto a morire con dignità, un diritto che tragicamente posso prendermi o chi mi ama può prendersi per mio conto, ma appunto tragicamente e in attesa di un perdono, non in carta da bollo legale?

E chi pensa a quell’ altra dimensione della salute che sarebbe la salvezza, un concetto o un orizzonte che pure fa parte della nostra cultura, se non della nostra fede cristiana, e che imporrebbe di predicare e praticare l’astinenza, non impossibile specie nei casi-limite, dalla coca al sesso, e imporrebbe di affermare i famosi valori intanto tenendo fermi i disvalori, gli interdetti etici e le prescrizioni limpide di una dottrina sociale che abbia cura dell’esistenza umana integrale, e non del minor danno sociale?

Il giornalista tipo di Repubblica è subito andato a portare l’ultimo numero dell’Espresso tra gli studenti dei licei milanesi, per sapere che cosa ne pensino di tutta questa compunzione sociologica, e l’ha portato anche all’Università cattolica dove si annidano i cristiani-bambini, quelli che non sono ancora adulti. E il risultato prevedibile è che gli uni, gli agnostici o gli scout, sono nel mainstream e vogliono “aiutare la Chiesa a essere moderna”, mentre gli altri sono intransigenti, moralisti, bigotti, pensano che il minor danno è che ci sia qualcuno a presidiare la distinzione del bene e del male, laicamente o religiosamente.

La somma dei pareri dimostra il mio solito teorema: i cristiani bambini, quelli veri, dubitano anche della modernità e delle sue promesse parecchio disattese, sono laici, non credono a scatola chiusa all’etica sociologica e scientifica del minor danno e variazioni sul tema, quegli altri sono dei veri credenti nel senso meno nobile del termine, anzi sono dei creduloni incapaci di dubbio, credono a tutto, all’etica scientifica dispiegata, alla sociologizzazione radicale della cultura razionale cristiana, e non sopportano chi dubiti, lo trovano appunto intransigente e integrista e antimoderno, fondamentalista della fede.

Non ci sto: e se è vero che sta arrivando la Grande Sorpresa Papale, e il prete che dice messa tornerà a volgersi verso il sacro, desacralizzando il rapporto sociologico con l’assemblea del popolo di Dio alla quale darà le spalle, perchè inferiore in rango alla celebrazione dei sacramenti in nome di Dio, io che di sacro ho nozione personale ancora vaga, entrerò più volentieri in chiesa e mediterò più volentieri, con cuore e testa più sgombri, senza più essere circondato da banditori e vittime della sociologia moderna.