La questione islamica (Note)

Studium n.1 gennaio/febbraio 2006

di Roberto AM. Bertacchini e Piersandro Vanzan S.J.

1) Di essa si può parlare da diverse prospettive. Per esempio la monografia di Ad gentes, 2005, 2, ne tratta da un punto di vista missionario. È un taglio legittimo, ma non è il nostro, che sarà non da un punto di vista cristiano, ma oggettivamente laico, preoccupati del bene comune e non della salvezza di qualche anima musulmana. E se i tempi di Roncisvalle e Lepanto sono passati, sarebbe tuttavia ingenuo presumere che il confronto con la modernità sia avvenuto nello stesso modo nella cristianità e nell’Islam. Questa differenza è il cuore del problema. Del resto, se di fronte a un musulmano è sempre auspicabile l’apertura più calda, sarebbe un delirio di onnipotenza pensare che tutto comunque dipenda da noi, dalla nostra «bontà». Non è vero: bisogna vedere anche da quali motivazioni ideologiche è mossa la controparte. Ecco perché in questa fase capire la complessità dei processi storici in atto è a dir poco vitale. Infine va precisato l’uso del lessico: 1. mondo musulmano = complesso delle varietà assunte dalla religiosità islamica (sunniti, sciiti, sufi, musulmani secolarizzati, diversità di associazionismi musulmani, ecc.); 2. Islam = scheletro ideologico del mondo musulmano, articolato nelle scuole e Facoltà coraniche – fortemente allineate tra loro dal Pakistan all’Egitto, al Marocco – e connesso con la popolazione ad esse succube e perciò fondamentalista. L’Islam non è il mondo musulmano, ma opera attivamente per orientarlo, e mostra una significativa capacità di incidenza pratica e politica, anche perché manca un contraltare di pari peso che lo contrasti. E mentre il mondo musulmano è solo parzialmente antioccidentale, purtroppo oggi non si può dire lo stesso per ciò che abbiamo definito Islam.
2) In controtendenza per esempio La Civiltà Cattolica, 1972, 1, pp. 409 s. e 1992, n, pp. 449 s., dove però non si parla di terrorismo.
3) L. Pellicani, Jihad: le radici, LUP, Roma 2004, p. 20.
4) Ibid., p.21
5) Scrive Khatami che l’Occidente egemonizza il mondo delle idee e «propaganda una concezione del mondo che blandisce le sue prede fino a soggiogarle. Ci troviamo di fronte a un avversario risoluto, che fa ricorso a tutte le proprie risorse materiali, militari e di informazione per persuaderci alla resa o, in caso contrario, minacciarci di distruzione. Nel confronto politico il nemico usa la maschera della scienza e della cultura per ingannarci. In questo frangente, la nostra lotta contro l’Occidente è essenziale alla nostra sopravvivenza; qualsiasi forma di riconciliazione e pacificazione, considerata la tendenza all’inganno propria dell’avversario, potrebbe condurre alla nostra umiliazione, costringerci a calpestare la nostra dignità. Dobbiamo opporci a questo con tutta la nostra forza, e la vittoria non è impossibile. Dobbiamo confidare in Dio e chiedergli di guidarci, contando sulla nostra identità storica, di cui ci siamo appropriati grazie alla nostra rivoluzione» (Id., Religione, libertà, democrazia, cit. in G. De Rosa, Gli sciiti ieri e oggi, in La Civiltà Cattolica, 2004, IV, p. 253). Dunque l’Occidente è il nemico, i fronti della battaglia sono economico, ideologico-mediatico e militare, e la lotta all’ultimo sangue inevitabile. Impressionante la convergenza ideologica con la prassi jihadista; e se si pensa al programma atomico iraniano, si comprendono molte preoccupazioni, mai sorte per il riarmo indiano.
6) Un intervento dello Stato sui curricula formativi è stato introdotto solo localmente, per esempio in Pakistan, e solo su pressioni americane successive agli eventi irakeni. In più senza arrivare a sostituire la classe dei formatori, che dunque continuano ad avere in mano la situazione e tendono a trasmettere anche la propria irritazione per ciò che ritengono uno sgarbo antislamico dello Stato e un asservimento satanico.
7) Secondo Khomeyni, «i colonizzateli cercarono di creare le condizioni adatte all’annientamento dell’Islam, religione dei combattenti che vogliono il diritto e la giustizia, che esigono la libertà e l’indipendenza, che non vogliono permettere agli infedeli di dominare sui credenti» (Id., Il governo islamico, cit. in G. De Rosa, Gli sciiti ieri e oggi, cit., p. 250). Parole emblematiche di una percezione radicale dei rapporti di civiltà.
8) L. Pellicani, Jihad: le radici, cit., p. 22.
9) Ibid., p.22
10) Per un argomentare più disteso cfr. ibid., pp. 18 ss.
11) «Riviste, giornali, televisioni e predicatori insistono dappertutto sulla necessità di […] islamizzazione dell’insegnamento e della cultura, […] dei costumi e dei comportamenti» (M. Borrmans, L’islam contemporaneo e i suoi fondamentalisti radicali, in G. Mura, ed., Il fondamentalismo religioso, Urbaniana University Press, Roma 2003, p. 114).
12) M. Pera-J. Ratzinger, Senza radici, Mondadori, Milano 2004, p. 42.
13) «Ci sono delitti di passione e delitti di logica. Il confine che li separa è incerto […]. Heathcliff, in Cime Tempestose, ucciderebbe la terra intera per possedere Cathie, ma non gli verrebbe in mente di dire che quest’omicidio è ragionevole o giustificato dal sistema […]. Ma dacché, in mancanza di carattere, si ricorre ad una dottrina, dall’istante in cui il delitto si fa raziocinante, esso prolifera come la stessa ragione, assume tutte le figure del sillogismo. Era solitario come un grido, eccolo universale come la scienza. Ieri giudicato, oggi il delitto detta legge. […] Non si può dare coerenza all’omicidio, ove la si rifiuti al suicidio. […] Suicidio e omicidio sono qui due volti di uno stesso ordine, quello di un’intelligenza infelice che preferisce alla sofferenza di una condizione limitata la fosca esaltazione in cui si annientano terra e ciclo» (A. Camus, L’uomo in rivolta, Bompiani, Milano 1990, pp. 5-10). Camus non pensava certo all’Islam, ma le sue riflessioni calzano perfettamente anche nel leggere i fatti recenti.
14) La ragione di tale assunto sta nei meccanismi di dissonanza cognitiva che condizionano fortemente l’agire collettivo. Se un terrorista, nell’esecuzione dell’attentato, si abbandonasse a eccessi ritenuti moralmente riprovevoli, da eroe diverrebbe infame. Perciò quando prima stupra e poi uccide sa che queste azioni non saranno giudicate negativamente nel mondo che rappresenta e nel quale si identifica. E ciò vuoi dire molte cose. Per esempio che non vi sarà una condanna pubblica dei capi religiosi, e neppure che vi saranno censure da parte dei media islamici più diffusi (cfr. al-Jazeera). Ecco perché già i primi attentati del 1970 venivano da lontano, ed ecco perché non è possibile che non vi sia stata una certa approvazione almeno da una parte del potere politico. Se infatti non fosse così, non sarebbero mancate reazioni forti di disapprovazione da parte dei giornali controllati ed orientali dai regimi islamici. Ma queste reazioni talvolta non ci furono neppure dopo l’11 settembre.
15) Secondo Khomeyni, «da principio il movimento islamico venne tormentato dagli ebrei, i quali diedero inizio alla loro attività reattiva inventando falsità circa l’Islam, attaccandolo e calunniandolo. Ciò è continuato fino ai nostri giorni. Oggi, in un’epoca in cui tutte le forze del colonialismo e i suoi agenti, i governanti traditori, il sionismo e il materialismo ateo stanno collaborando per alterare l’immagine dell’Islam, la nostra responsabilità è più pesante che mai. Vediamo gli ebrei che alterano il Corano e distorcono i suoi versetti nelle nuove edizioni che hanno pubblicato nei tenitori occupati e in altre parti. Dobbiamo smascherare questo tradimento, in modo da far comprendere al popolo che gli ebrei e i loro padroni cercano di prendere in trappola l’Islam e di spianare la strada alla dominazione ebraica nel mondo» (Id., Il governo islamico, in G. De Rosa, Gli sciiti ieri e oggi, cit., p. 250 ss.).
16) Sull’ antisionismo si tornerà ancora. Un indicatore importante è però la recente intervista su SkyTg24, dove Hamza Piccardo, segretario dell’UCOII, ha dichiarato: «Il video dell’uccisione del colono ebreo diffuso da Hamas non è un atto di terrorismo, ma un atto di guerra. […] Hamas usa i metodi terroristici che tutti i movimenti di liberazione hanno utilizzato nella loro storia, compreso il nostro movimento partigiano» (II Giornale, 1 ottobre 2005). Purtroppo Piccardo ha ragione. Ma quando intervistato da Lerner ammette che nelle moschee italiane si onorano gli uomini bomba autori di stragi in Israele, e precisa: «Indubbiamente noi preghiamo il Misericordioso per i martiri, autorizzati a quel tipo di azioni dal regime di occupazione costituito da Israele, un’aberrazione del XX secolo. Il sionismo si sta rivelando un’empietà ancor più duratura del nazismo e del comunismo» (ibid.), allarma non tanto per il duro giudizio sulle politiche neocolonialiste ebraiche, ma per la visione religiosa del problema. Al di là dei paragoni, è il termine empietà che preoccupa, perché dice di una solidarietà non solo con i kamikaze palestinesi, ma in genere col jihadismo. E cioè con gli atti antioccidentali del terrorismo islamico. Posto poi che Israele è una questione globale, perché legato all’ebraismo diffuso in tutto il mondo, non è possibile una lotta antisionista locale, analoga al Risorgimento italiano. E una solidarietà esplicita all’antisionismo è ipso facto dichiarare di essere un brodo di coltura per l’jihad antioccidentale.
17) In quegli anni per i neri d’America era molto facile identificarsi in Martin Luther King. Perciò lo strepitoso successo ottenuto indica la capacità di una propaganda tanto scientifica quanto spregiudicata e la lucidità strategica di individuare l’anello debole su cui far leva. La popolazione bianca più difficilmente avrebbe potuto essere abbordata, non solo perché cristiana, ma perché più colta. Invece persone narcisiste o superficiali non erano in grado di accorgersi dell’ipocrisia di una campagna islamica di celebrazione della superiorità della razza nera, finanziata dagli arabi, che neri non sono.
18) «La Lega del Mondo Musulmano, di obbedienza saudita, ha finanziato la costruzione dei grandi centri islamici di Bruxelles, Roma, Madrid, Lione ecc.», assicurando l’irraggiamento dell’Islam «tramite le sue pubblicazioni» e «numerose attività missionarie musulmane in Africa e altrove sono finanziate e animate dall’Arabia Saudita» (M. Borrmans, L’islam contemporaneo…, cit., p. 127). La grande moschea di Bruxelles fu inaugurata da Feisal nel 1978. La missionarietà ha però anche altri risvolti: per es. a Mazara c’è un predicatore che, per reislamizzare la comunità, fa la dawa (invito all’Islam), arrivando anche a schiaffeggiare i ragazzini per il loro abbigliamento.
19) Ciò è in effetti avvenuto e sta avvenendo in più direttrici: basta essere attenti a ciò che lasciano filtrare i mass media per rendersene conto. A livello accademico agli inizi degli anni Novanta fu messo in cantiere un progetto europeo di una Storia della scienza, in Italia pubblicata in dieci volumi dall’Istituto della Enciclopedia Italiana, che dedica l’intero vol. III alla scienza islamica. Si resta tuttavia sconcertati dinanzi ad articoli rozzamente encomiastici che di tutta l’opera enfatizzano solo e proprio quel volume (cfr. per es. Corriere della Sera del 3 luglio 2005), celebrando nell’Islam la salvezza del pensiero greco, quasi come se la cristianità lo avesse distrutto, e fosse pure responsabile
20) Cit. in O. Fallaci, La forza della ragione, Rizzoli int., New York 2004, pp. 150 ss.
21) «I meriti dell’Occidente sarebbero quelli di aver portato a maturazione le premesse scientifiche date dall’islam, grazie alla sconfitta della Chiesa oscurantista, mentre nei paesi musulmani il progresso si sarebbe fermato soltanto perché essi avrebbero cessato di essere veramente musulmani» (P, Branca, I musulmani e la società civile in Europa, ‘in Ad gentes, 2005, 2, p. 146): visione storiografica delirante, frutto di un’ideologia accecante. E il delirio collettivo è pericolo grave.
22) Questa affermazione si capirà meglio leggendo il seguito.
23) Cit. in La Civiltà Cattolica, 1972, IV, p. 76.
24) Cit. in O. Fallaci, La forza della ragione, cit., p. 87.
25) È vero che trascura le controspinte indotte dal tasso di crescita economica che in Italia non è né cineseindiano. Ma non va escluso che tenga conto dei petrodollari, che potrebbero finanziare anche un certo sviluppo economico accelerato delle comunità islamiche europee, e dunque la sostenibilità di un loro tasso di crescita elevato. Vi è infatti grande differenza tra immigrazione islamica e polacca o filippina. L’immigrazione normale produce lavoro e consuma beni e servizi prodotti dal Paese che la accoglie. Invece l’immigrazione islamica tende ad esportare Isilm e a consumare Islam. E questo non solo aprendo esercizi commerciali dove si vendono sciarpe pakistane, ma anche aprendo banche, macellerie e internet point, moschee, scuole islamiche, ecc. Anche se non si può parlare di autocrazia islamica, vi è un modello socioeconomico di sviluppo che è atipico, molto diverso da quello dell’immigrazione italiana in America.
26) Per capire meglio occorre fare un notevole passo indietro, ricordando che l’Arabia Saudita è governata da wahhabiti, discendenti di una setta di riformatori religiosi del sec. XLX, il cui motto era «solo Corano»: da qui sharia e assolutismo monarchico. E quando il wahhabita Feisal incontra Andreotti, il suo programma è nitido. Per lui la politica è al servizio della fede: non avrebbe nessun senso una diversa visione delle cose. Ecco perché Andreotti sottolinea l’aranciata. Feisal non dimentica mai di essere musulmano, perché per lui esser tale viene prima di ogni altra cosa, anche del bon fon diplomatico. In breve: nel dopoguerra il mondo islamico fu unito nel riconoscere obiettivo comune la lotta contro l’invasione sionista, ma non nel concepire il modo di quella lotta; e solo una parte antepose quelle motivazioni religiose che col tempo rimasero le uni-che possibili.
27) In Kosovo e in Bosnia il programma ha avuto successo, con la costituzione di due entità islamiche, politicamente autonome. In Cecenia il successo è stato sfiorato. In Nigeria i cristiani sono a mal partito, e la shari’a è stata imposta in larghe aree del Paese. Addirittura in Somalia gli americani sono usciti con le ossa rotte. Ma, si dirà, in Europa i musulmani non raggiungono il 5%: vero. Tuttavia potrebbero tentare ciò che hanno fatto in Bosnia e in Kosovo; che già hanno tentato nelle Filippine, a Timor Est e tuttora in Thailandia. Per aprire le ostilità non è necessario arrivare al 50%: è sufficiente divenire maggioranza in qualche piccola area. A quel punto scatta il programma di secessione, con una parte della maggioranza non musulmana che improvvisamente si ritrova minoranza, come i serbi nel Kosovo, ecc. È nella luce di una tale strategia che si deve considerare, per esempio, il progetto di Abdul Kadir Fadl Allah Mamour, presentato al sindaco diessino di Carmagnola, di costruire in Italia la prima «città islamica», ossia la prima testa di ponte per una islamizzazione della vita civile italiana. Cfr. O. Fallaci, La forza della ragione, cit., p. 84. Certo, una cittadella di 30.000 abitanti alle porte di Torino cosa sarà mai, quando a Londra il londonistan conta 700.000 musulmani? Ma è appunto questo il problema: l’imitazione di un modello già esistente. A Rimini o Milano vi sono vie dove la gente abbandona le attività commerciali, per il progressivo espandersi del commercio islamico. Il National Intelligence Council ha previsto che entro il 2005 la popolazione islamica europea sarà raddoppiata per il solo effetto della natalità. Islamizzare è una realtà in atto, di cui Al Qaeda è solo un modo.
28) Come se l’Islam creasse unojus proprio e autogestito. Logico allora che poi si taglino le dita a chi ruba, si accoltelli chi tradisce l’Islam, e tutto il resto.
29) Accettare il primo significa accogliere il principio che i cittadini non siano uguali davanti alla Costituzione e alla legge, perché su alcune materie il referente giuridico per alcuni non è lo Stato. Ma se si concede questo all’Islam, diventa incoerente che lo Stato pretenda di sciogliere matrimoni celebrati in chiesa: l’etica religiosa non può avere valenza giuridica in un caso e non nell’altro. E se poi si estende la legislazione per favorire l’Islam, a fortiori ciò si esigerebbe per la tutela di valori cristiani. Né è tanto evidente una via media che risolva nascenti conflitti (crocifisso, ecc.).
30) Islam e non mondo musulmano. Il cit. voi. III della Storia della scienza dell’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani si avvale di molti professori musulmani, ben consapevoli dell’eredità cristiana o delle influenze occidentali.
31) Sorprendentemente, si tratta di una posizione teologica solidissima, perché se il Corano è Parola di Dio, non vi sono alternative. Il cristianesimo non ha questo problema solo per due motivi strutturali. Il primo è che il Verbo di Dio è anche una Persona divina, dunque un essere vivo inesauribile. Il secondo è in Gv 16,12: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso». Gesù si manifesta e rivela il Padre e il mistero trinitario, ma non senza residui. Ciò significa che la Rivelazione è un processo infinito, aperto. L’Islam, scandalizzato dall’idea di un Dio finitizzato nella carne, lo finitizza – seguendo il modello ebraico – nella carta. Ecco perché il cristianesimo può reggere la modernità e l’Islam no. Qui è il nodo strutturale che viene al pettine.
32) Cfr. per esempio Contro Felice, n, 5 s.; e soprattutto Contro Petiliano, n, LXX, 177: «Gesù Cristo non ha perseguitato nessuno: Egli era venuto a stabilire la fede, non con la costrizione, ma con l’invito a credere».
33) Questo pone un problema rilevante, perché molte posizioni della sinistra, soprattutto di politica estera, scendono da una lettura degli eventi in chiave di materialismo storico. E quando ciò avviene in modo sistematico porta a fraintendimenti gravissimi della realtà. Questo dovrebbe allarmare non poco chi da tale atteggiamento non sia affetto. In effetti la Margherita a fine settembre 2005 ha organizzato a Venezia un convegno su «Islam e democrazia» che segna una certa discontinuità ideologica, puntualmente rilevata da Angelo Panebianco (cfr. Corriere della Sera, 30 settembre 2005). Vedremo quali saranno gli esiti.
34) «Oggi le frontiere diventano sempre più mobili: sia quelle geografiche sia quelle dell’informazione. Risultato: il geografico diventa sempre meno circoscritto» (P. Vanzan, Oltre la multiculturalità, in La Civiltà Cattolica, 2002,1, p. 375). In altri termini gli «immigrati sono al contempo laggiù e qui» (ibid., p. 371) e perciò comunicano le trasformazioni che vivono destabilizzando il quadro dei Paesi di origine proporzionalmente alle loro trasformazioni e all’intensità dei flussi migratori. Ecco perché da un lato i confini geografici perdono vigore rispetto alla culturalità; da un altro si generano controspinte che non solo tendono a proteggere lo status quo destabilizzato, ma per farlo devono disincentivare i cambiamenti e l’integrazione dei flussi migratori. E questo è il motivo per cui i costumi occidentali disturbano anche a 10.000 km di distanza, a prescindere dall’esistenza di truppe di occupazione.
35) Di questi tentativi ne furono fatti altri, per esempio dando valore metaforico alle metamorfosi coraniche, invece di un valore letterale, ecc.
36) H. Kùng forse non sarebbe d’accordo. In effetti la teoria dei paradigmi (cfr. il suo Progetto per un’etica mondiale, Rizzoli, Milano 1991, p. 156 ss.) prevederebbe sia una dipendenza dell’Islam dall’apocalittica giudeo-cristiana, sia un cambiamento di paradigma islamico a cavallo dei secc. XVII-XVIII. L’applicazione alla storiografia religiosa delle teorie di Kùng non è da scartare a priori, ma esigerebbe un’argomentazione organica che in questo testo di Kùng latita. E, in particolare, andrebbe chiarito a quali mutamenti islamici tra i secc. XVII-XVin si alluda.
37) Secondo Khomeyni, «in considerazione del fatto che il governo islamico è il governo della Legge, soltanto l’esperto della Legge stessa e nessun altro dovrebbe detenere la responsabilità del potere», perché «è il solo che possa governare come Dio ha ordinato» (Id., Il governo islamico, cit. in G. De Rosa, Gli sciiti ieri e oggi, cit., p. 250).
38) E questo dice ancora l’assurdo di un’Europa che si pretende laica e priva di radici cristiane.
39) Emblematico che Abdelaziz Bouteflika già partecipando al Meeting di Rimini nel 1999 avesse citato Agostino. Sarebbe curioso sapere se l’idea del Congresso Internazionale nacque proprio in quella circostanza, o in seguito a essa.
40) Certo in USA e in Europa qualche imam canta fuori dal coro. Ma questi casi non vanno sopravvalutati, almeno finché tali moderati non diverranno fondatori di qualche Facoltà coranica modernista.
41) Molti in assoluto, ma percentualmente pochi. Nei Paesi in cui non si parla correntemente l’arabo – i più – solo minoranze molto istruite possono accedere direttamente al testo. Ricordiamo anche l’alta percentuale di donne analfabete o semianalfabete del Marocco, ecc. Sono musulmane, ma non sanno che pochissime sure a mente. Di fatto si adeguano alle prescrizioni sociali che ricevono. L’Islam è in realtà un’interpretazione «clericale» del mondo e della vita.
42) Purtroppo ciò avviene anche grazie al “buonismo” di sinistra. Sulle prime ciò stupisce molto: è una stranezza che le medesime persone che attaccano il Papa sol che dica una parola sulla famiglia e sull’etica, poi stendano tappetini a chi esige la poligamia, la deemancipazione femminile e, magari, l’infibulazione. Addirittura vi è una sinistra che raccoglie finanziamenti pro terrorismo islamico (in particolare i CC/cc postali 46676698 pro resistenza antimperialista irakena, e 57286221 per finanziare una Conferenza a sostegno dei compagni di Zarkawi, riferibili al Campo Antimperialista; più altri in favore di Hamas, ecc.). Allora che si aiutino i palestinesi si può capire, perché il colonialismo di Israele è intollerabile. Ma risultati come quelli di Mazara del Vallo, dove ricompaiono i burka e i ragazzini musulmani crescono dissociati tra Islam-famiglia e società civile, devono far riflettere sulla correttezza di politiche troppo concessive.
43) Per ora l’idea opposta nasce essenzialmente dal fatto che negli USA l’Islam fino all’11 settembre non aveva dato particolari problemi (tranne un gravissimo attentato). E anche l’11 settembre gli attentatori venivano da fuori. Il 7 luglio di Londra ha invece chiarito quanto la stessa presenza islamica oggi destabilizzi.
44) Di Rushdie si sa; Farag Foda fu assassinato in Egitto nel 1992; Mahfuz, premio Nobel, fu pugnalato quasi a morte (1994); l’Università Al-Ahzar ha disinfettato la propria biblioteca accademica, e le fiamme dell’alcool non hanno risparmiato neppure Il profeta di Gibran. Dunque alla fine del II Millennio siamo ancora all’incendio della biblioteca di Alessandria. E sarebbe interessante sapere cosa si è salvato: non certamente tutto Voltaire o Dante. Nella prima metà del 2000 in Egitto 12.000 studenti universitari arrivarono a duri scontri di piazza con la pretesa di sequestrare un’opera di Haidar Haidar. In Algeria fu assassinato Muhammad Boukobza, né fu l’unico intellettuale a perdere la vita. Rashid Boudjedra fu più volte incarcerato. In Marocco fu vietato di espatriare a Mohamed Chouk-ri; nel Bengala nel 1994 fu chiesta la condanna a morte di Taslima Nasreen, che si salvò solo per aver ottenuto la protezione della Svezia, e la cui colpa era un libro che narrava la persecuzione islamica contro una famiglia indù. I libri della siriana Ghada Samman sono stati bruciati in quasi tutto il mondo arabo, Assia Djebar, algerina, deve vivere in esilio, ecc.
45) Le lettere di Jacopo Ortis erano vendute e presenti nelle biblioteche senza che alcuno protestasse. E anche non pochi bravi cattolici e parroci le lessero.
46) L’Islam può essere tollerante – e neppur sempre – con minoranze non islamiche, che è cosa molto diversa dal nostro concetto di tolleranza. E infatti ciò ha a corollario l’unicità di fede e Stato, ossia il concetto di Stato islamico. Non esiste propriamente Islam se non nello Stato islamico, dove non è concesso che vi siano due o più interpretazioni compossibili dello Stato stesso, tra loro in competizione dialettica
47) Un padre musulmano ha ammazzato la figlia per essersi messa i jeans. Se si arriva a tanto, cosa si farà verso coloro che le hanno mostrato quanto andare in jeans fosse bello? Pensare di essere al riparo è da illusi. Anche senza le bombe di Londra, Fortuym e van Gogh mostrano con chiarezza che chi tocca i fili muore. Il 16 gennaio 2002 Ornar, marocchino impiantato a Eboli, subì il taglio di quattro dita con una scimitarra, come punizione islamica per aver rubato. H 26 maggio 2002 Hassan Razine, clandestino, accoltellò un altro clandestino diciannovenne che, frequentando la parrocchia, tradiva l’Islam. Il 19 aprile 2004 Ali Abu Shwaima, imam della moschea di Segrate, fu accoltellato ferocemente da un giovane marocchino, che riteneva la sua guida spirituale troppo moderata. Purtroppo l’integralismo islamico estremista «di fatto ormai controlla la gran parte delle moschee di tutto l’Occidente» (Magdi Allam, Vincere la paura, Mondadori, Milano 2005, p. 87). A Cremona, nel 2004, nell’alloggio di un esponente islamico è stato rinvenuto del materiale propagandistico di questo tenore: «L’Islam è una religione di clemenza e bisogna dunque avere pietà dei miscredenti. Tale pietà bisogna metterla in pratica ammazzandoli, combattendoli, uccidendoli, tagliando loro la testa, lapidandoli, massacrandoli. […] questa è la pietà: salvare il mondo da loro stessi, gli occidentali» (ibid., p. 93 s.). L’integrazione non dipende solo da chi accoglie, contrariamente a ciò che qualcuno vuoi far credere.
48) Per esempio Amin Maalouf è dell’avviso che la ricetta della tolleranza passi attraverso la multi-identità. Cfr. Corriere della Sera, 29 settembre 2000.
49) E infatti è stata giustamente chiusa una scuola islamica di Milano. Ma dal punto di vista dei principi liberaldemocratici, perché chiudere scuole islamiche,.e permettere quelle ebraiche? Non vi è così una evidente differenza di trattamento in base alla religione professata? Ed è proprio sulla debolezza della nostra Costituzione, analoga a quella di altri Paesi occidentali che recepiscono la libertà di associazione religiosa, che il jihadismo fa leva.
50) Si tratta di una pubblicazione del gruppo L’Espresso: in pratica uno dei più autorevoli pensatoi di politica estera della sinistra italiana.
51) «Una struttura di difesa nasce sempre come risposta a problemi reali […]; in seguito si sviluppa e si perfeziona come apparato […] che tende a produrre e a stabilizzarsi attorno ad un’immagine di sé che ne autolegittima la funzione; poi, quasi una nemesi, vive l’arroganza di voler estendere questa autoreferenziale visione del mondo oltre i confini dei propri specifici ambiti di funzionamento […], rinserrandosi dentro se stessa come fosse una piccola “cittadella del bene” assediata dal male circostante» (R. Bulzariel-lo, II velo di Sais, Mimesis, Milano 2005, p. 11).
52) Difficile a credersi che i giornalisti di Repubblica e de l’Unità non leggano Limes. Se leggono la rivista, perché non trarne le dovute conseguenze sul piano dell’informazione dell’opinione pubblica?
53) È consolante il successo giornalistico del moderato al-Rashed,’direttore di AI Arabiya (cfr. Magdi Allam, Vincere la paura, cit, p. 176). Purtroppo il problema è che una cosa è non essere jihadisti, tutt’altra ritenere il jihadismo un crimine. Per arrivare a tanto occorre reinterpretare il Corano e dichiarare alcune sure bellicose annullate da altre. È a questo livello che troviamo minoranze convinte, ma anche ferocemente perseguitate.
54)  «Editoriale», in Limes, 2004,1, p. 19 ss.
55) II problema delle tecniche di depotenziamento della forza virale dell’Islam è complesso e occorre distinguere piani molteplici: individuale, sociologico, politico, islamico e di forza pubblica. A livello individuale stabilire rapporti amichevoli è ovviamente meglio che suscitare risentimenti. A livello sociologico è però vero che in larghe fasce islamiche il risentimento già esiste; e in gran parte è effetto della fase-i, che a sua volta sfrutta sul piano propagandistico ciò che può (soprattutto il neocolonialismo israeliano e la corruzione dei costumi promossa dal laicismo occidentale). In più si pone il problema dei flussi migratori, della costituzione di ghetti islamici, dell’influenza del fondamentalismo, ecc. Sul piano politico il corretto approccio è quello negoziale, che concede, ma con attenzione alla concretezza delle contropartite. I governanti musulmani non sono tipologicamente omogenei: l’Iran non è la Tunisia. Ma d’altra parte Gheddafi non sembra esempio specchiato di fedeltà alla parola data. Perciò nel negoziato occorre saper chiedere 1.000 per ottenere 100. Se invece si ha l’ingenuità di chiedere 100, è probabile che si otterrà 10. Invece a livello propriamente islamico la difficoltà è massima. Certo è opportuno enfatizzare il dialogo con gli imam più aperti. Ma la sensazione è che sia assai difficile che un dialogo interreligioso o interculturale ottenga ciò che fino a oggi non hanno ottenuto gli intellettuali musulmani più progressisti. Perciò non si vede cosa si possa programmare tanto oltre il sostegno del dissenso islamico. Extrema ratto, le tecniche dell’antiterrorismo, del controspionaggio, ecc. E tuttavia è del tutto verosimile che sia molto più efficace la preghiera e il sacrificio. Il livello della minaccia è infatti tale da rendere poco plausibile una reale capacità di contrasto da parte dei servizi segreti, tanto più che non tutti hanno Scotland Yard, per non dire altro.
56) «Editoriale», in Limes, 2004,1, p. 20.
57) Si è voluto che lo Stato facesse un passo indietro in economia: non è detto che la stessa strategia non si possa esplorare anche in etica, trasferendo alle comunità religiose alcune competenze giuridiche, e modificando convenientemente la Costituzione. Che ciò basti a disinnescare la bomba islamica non si può dire, ma neppure escludere.

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