Inferno Laogai… e l’Occidente sta a guardare

Laogaiintervento di: Toni Brandi

Coordinatore nazionale LAOGAI Research Foundation, Italia

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Dal 1950 esiste in Cina il sistema dei LAOGAI. Sono campi di concentramento dove, attualmente, milioni di donne, uomini e bambini sono condannati ai lavori forzati a vantaggio del regime totalitario cinese e di numerose multinazionali che investono o producono in Cina.

Le condizioni di lavoro sono orribili. Sconosciuti i limiti di orario di lavoro, sicurezza e igiene. Giaciglio, spesso, vicino alla fossa biologica. Pestaggi e torture all’ordine del giorno. Cibo somministrato a seconda della quantità di lavoro eseguito. Religiosi ed oppositori del regime mescolati con i delinquenti comuni.

Inoltre i LAOGAI sono solo un particolare dell’attuale realtà Cinese e della “educazione del terrore” , coperta da “segreto di stato”, che, in Cina, si pratica.  Decine di migliaia di esecuzioni di massa davanti a folle appositamente riunite. Migliaia di organi espiantati dai condannati a morte e venduti con alti profitti. Collagene preso dalla pelle dei morti per produrre cosmetici. Decine di migliaia di aborti e sterilizzazioni forzate (art.49 del C.P. Cinese). Persecuzione sistematica contro i credenti di tutte le Religioni e abuso della psichiatria a scopo repressivo politico (art. 90 del C.P. Cinese)

Numerose organizzazioni umanitarie internazionali, il Comitato dei Diritti Sociali ed Economici delle Nazioni Unite e, recentemente, il Congresso USA, con una maggioranza di 413 voti a 1, hanno condannato il sistema dei LAOGAI e la continua violazione dei diritti umani in Cina. Nonostante ciò le autorità politiche ed economiche nazionali ed internazionali occidentali continuano imperterrite a collaborare con Pechino.

I mass media presentano l’immagine di una Cina in crescita economica e con un promettente progresso sociale. Sia le une che gli altri, quindi, alimentano il consenso e l’ammirazione per questo paese dove una dittatura commette crimini mostruosi e sfrutta il proprio popolo a vantaggio di una ridotta nomenklatura del partito. Più di mezzo secolo di sangue e vane promesse di riscatto sociale per riscoprire il profitto. Cui prodest?

Si dice che il commercio con la Cina migliorerà la situazione dei diritti umani in quel paese. I fatti confermano, invece, una situazione opposta. Aumentano la repressione, gli abusi, i morti e gli arresti. Le cifre ufficiali parlano di 58000 rivolte popolari nel 2003 e di 74000 nel 2004. Non si tratta di ricchi studenti che giocano alla rivoluzione ma di autentici affamati. Inoltre, perché questo argomento non fu utilizzato per  il Sud Africa, per la Birmania e per l’Iraq ai quali non si e’ esitato ad imporre sanzioni economiche?

Si afferma che il commercio con la Cina aumenta il benessere del popolo Cinese. I fatti e la storia  denunciano, di nuovo, una situazione diversa. Il benessere tocca una piccola parte della popolazione, circa il 10-15%, ossia i membri del partito, come è sempre stato in tutti i regimi comunisti, dall’Unione Sovietica del 1920 alla Cina di oggi. Si sostiene anche che il basso prezzo dei prodotti cinesi aiuti le famiglie Italiane ad arrivare alla fine del mese. Invece, una delle cause principali della crisi economica Italiana e’ proprio l’atteggiamento tollerante della Commissione Europea e dei nostri governi che hanno permesso l’invasione di prodotti cinesi in Europa.

Tale posizione ha causato delocalizzazioni, bancarotta di imprese, indebitamenti dei Governi, cassa integrazione e disoccupazione. Sono i prestatori d’opera, i salariati, le vere vittime dell’espansione economica cinese, in quanto la multinazionale compra a poco in Cina, rivende al decuplo in Italia e licenzia i suoi vecchi dipendenti Italiani, troppo costosi. Quindi, i rapporti commerciali con la Dittatura Cinese non sono solamente immorali ma anche controproducenti e deleteri da un un punto di vista economico.

Il mercato libero è cosa giusta ma a patto che vi siano le stesse regole per tutti e gli stessi limiti etici per tutti. Numerose sono le convenzioni internazionali concernenti il lavoro, sottoscritte da almeno centocinquanta Paesi, tra cui l’Italia, sulla libertà sindacale, l’abolizione del lavoro forzato e lo sfruttamento del lavoro minorile. Anche la Camera dei Deputati presentò quattro mozioni sulla concorrenza sleale ai prodotti Italiani, il 14 gennaio 2004.

Tali mozioni chiedevano al Governo italiano di proporre, in sede Europea, misure atte a verificare che i manufatti importati, nell’Unione Europea, provenissero da ambienti e condizioni di lavoro rispettosi dei diritti umani e sociali dei lavoratori, delle donne e dei bambini e che gli accordi commerciali fossero sempre vincolati al rispetto dei diritti sociali, ambientali e sindacali. In USA esistono anche leggi contro l’importazione dei prodotti del lavoro forzato, ma, non sono spesso applicate.

Infatti, la Risoluzione Wolf, approvata dal Congresso USA, invita il Governo degli Stati Uniti ad applicare completamente le leggi preesistenti, che proibiscono l’importazione dei prodotti provenienti dal lavoro forzato dei Laogai, e condanna fermamente la Cina perche’ viola, tra l’altro, la Carta Costituzionale delle Nazioni Unite, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e la Convenzione contro la Tortura, che essa stessa ha firmato.

Ciò che sembra inspiegabilmente mancare, quindi, è la volontà politica di applicare le leggi esistenti e prendere le misure necessarie.  Perche tanto disinteresse? Perché tanta inerzia? Come giustamente fece osservare il deputato Smith, durante una discussione del Comitato del Congresso USA sui Diritti Umani nel maggio 1997, mentre per la protezione di marchi di fabbrica e brevetti il mondo degli affari insorge e pretende ritorsioni e sanzioni contro la Cina, cio’ non accade per il lavoro forzato. Non accade perché il lavoro forzato è fonte di alti profitti.

Cui prodest? Chi trae vantaggio da questo “commercio” con la Cina? Le decine di milioni di lavoratori cinesi sfruttati dal partito? Le centinaia di migliaia di disoccupati europei? O, forse, solo, le multinazionali ed il regime totalitario cinese?

Se osserviamo le misure prese per la contraffazione dei marchi di fabbrica e le sanzioni contro il Sud Africa, l’Iraq e la Birmania e non contro la Cina, abbiamo tutte le ragioni per credere che la preoccupazione delle autorità politiche ed economiche internazionali per i diritti umani sia inversamente proporzionale agli interessi delle grandi multinazionali. Ricordiamo che Solzenicyn ha ripetutamente dichiarato che il regime sovietico si reggeva solamente grazie all’aiuto tecnologico e finanziario dell’Occidente.

Lo stesso vale per la Cina di oggi. Il regime comunista cinese ha bisogno della finanza e della tecnologia occidentale per sopravvivere. Quindi, il solo metodo per rispettare i diritti umani e migliorare il benessere del popolo cinese da una parte, e l’avvenire sociale ed economico delle future generazioni Italiane dall’altra, è quello di vincolare al rispetto dei diritti umani, sociali ed ambientali qualsiasi accordo commerciale o politico con la Cina. Come precedentemente descritto, le leggi e regolamenti già, in parte, esistono. L’Italia e l’UE, quindi,  devono (e possono!) prendere una serie di misure necessarie,:

1) Intraprendere una grande campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sull’ impatto e i danni che “il boom economico Cinese”, frutto del lavoro forzato e dello sfruttamento umano, produce sulle nostre vite e, soprattutto, produrra’ su quelle delle generazioni future;

2) Unirsi al Congresso Americano per l’attivazione di una risoluzione della Commissione di Diritti Umani delle Nazioni Unite che condanni i LAOGAI e la violazione sistematica dei diritti umani in Cina;

3) Approvare leggi che impediscano l’importazione in Italia ed in Europa di mercanzie e prodotti, che nascano, parzialmente o totalmente, dal lavoro forzato o dallo sfruttamento umano. Introdurre, per le imprese che importano nell’UE dalla Cina, un sistema di certificazione obbligatoria che permetta anche l’identificazione dei luoghi di produzione, da “aprire” e mostrare agli ispettori della dogana UE ed ai  rappresentanti delle organizzazioni umanitarie;

4) Pretendere l’applicazione universale delle “clausole sociali” e delle “clausole ambientali”. Esigere che tutti i prodotti Cinesi importati nell’UE soddisfino gli stessi parametri e garanzie di igiene e sicurezza richiesti ai produttori europei.

5) Introdurre una normativa in materia di etichettatura, che consenta la tracciabilità di tutti I prodotti commercializzati all’interno dell’UE, garantendo, quindi un’informazione corretta per il consumatore;

6) Si devono considerare quote d’importazione e, talvolta, dazi e/o iva molto alti sulle importazioni dalla Cina.

Questo introito aggiuntivo dovrà essere poi utilizzato dai Governi per rilanciare l’industria Italiana ed Europea. Se necessario si deve arrivare all’embargo, perché la vita dei popoli e l’equità sociale sono più importanti degli alti profitti di poche, e già straricche, elites politico-economiche. O si agisce ora o saranno sempre più ricchi i pochi ricchi e sempre più poveri i molti non ricchi. Noi dobbiamo renderci conto che la storia l’hanno fatta gli uomini e noi, in quanto tali, possiamo cambiarla.