Che cos’è l’«antico regime»?

De-Reynold_cover Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale

[da Gonzague de Reynold, Synthèse du XVIIe siècle. La France classique et l’Europe baroque, Editions du Conquistador, Parigi 1962, cap. VII, Ancien régime, nouveau régime, pp. 57-61; trad. redazionale].

Nello stato di guerra perpetua, di anarchia e di dissoluzione, in cui si trovava a partire dal XV secolo, l’Europa aveva bisogno, per riprendersi, di un regime nuovo. Ed è ciò che chiamiamo l’Antico Regime, dimenticando questa evidenza degna di La Palisse (1): un regime comincia sempre con l’essere «nuovo» e finisce con l’essere «antico».

I.  Durante la fase declinante del Medioevo la feudalità, esasperando sé stessa, aveva sbriciolato il mondo cristiano. Le due grandi istituzioni che la riconducevano all’unità, il papato e l’impero, avevano perduto il loro prestigio e la loro efficacia. Se, dopo la scissione del XVI secolo, la cattolicità si riforma e si riforma, tuttavia essa non s’identifica più, come nel XIII secolo, con l’Occidente nel suo insieme. L’impero, dopo lo sforzo sovrumano di Carlo V (2), sopravviverà fino al 1806 (3), concludendo una finzione con una mascherata.

Una realtà nuova s’impone: la realtà nazionale.

I popoli, malgrado la compartimentazione feudale, reagendo proprio contro questa divisione, avevano acquisito coscienza di sé. La missione del nuovo regime fu quella d’incarnare tale coscienza, di essere il preparatore, se non addirittura il costruttore, delle nazioni moderne. E lo fece attraverso lo Stato e contro la feudalità. E questo non si attuerà senza lotte, violenze, forzature e distruzioni.

La feudalità dalle molteplici forme — non esisteva infatti solo quella dei signori, ma vi erano anche le città, le corporazioni, i contadini liberi, i territori sotto giurisdizione ecclesiastica — era infatti ben intenzionata a difendersi. Anzi, conobbe più di un ritorno offensivo e il nuovo regime non riuscì mai a riportare una vittoria completa su di essa, dovendo invece scendere a patti. Se in Francia la regalità è caduta, ciò è avvenuto perché le è stato impossibile portare a termine la rivoluzione che aveva iniziato con Richelieu (4).

II. Il regime che s’instaurò allora fu, e non poteva essere altro, che monarchico e aristocratico. La prima delle due denominazioni definisce la natura del potere, la seconda la natura della società. Il re non è più solo il signore dei signori del suo reame ma diventa l’incarnazione dell’idea nazionale: Corona uguale Stato. La società smette così di essere una gerarchia di privilegi e di protezioni per organizzarsi in classi chiuse, cioè in ordini, e questa parola dice tutto. Il regime monarchico-aristocratico ha attraversato tre tappe: la formazione, il consolidamento e la decadenza. Alla prima corrisponde il Rinascimento, alla seconda la Rinascenza cattolica, alla terza l’età della «filosofia».

La concezione che domina è la sovranità dello Stato, incarnata nel principe, sia costui una persona o una collettività, il re di Francia o il patriziato di Berna. Durante il Rinascimento questa concezione si paganizza; durante la Rinascenza cattolica si ricristianizza, durante la «filosofia» si laicizza. Nel corso del Rinascimento l’ideale di sovrano è il principe umanista e mecenate, cioè il tiranno alla maniera degli antichi; nella Rinascenza cattolica è il re «cristianissimo», nell’epoca della «filosofia» il despota illuminato.

III. Con il regime monarchico-aristocratico eccoci dunque di nuovo in presenza di una diga posta in mezzo a una corrente che da Machiavelli [(1469-1527)] punta a Voltaire [(1694-1778)]; in presenza, ancora una volta, di una reazione contro il Rinascimento. Il segnale di questa reazione è la messa all’Indice, nel 1557, del Principe (5). Lo Stato della Rinascenza cattolica afferma la sua fede e la sua missione cristiana fino a raggiungere una forma d’intolleranza, che non sarà affatto quella imputabile alla Chiesa, visto che applicherà con rigore il principio cuius regio illius religio.

Il principe, sia esso un uomo oppure una oligarchia, si considera come il braccio secolare della Chiesa e la serve, sapendo anche assai bene, peraltro, come servirsene. Rimane comunque il fatto che questo Stato accetta la dottrina cattolica con una sincerità e il primato della Chiesa con una fedeltà, che non abbiamo il diritto di mettere in dubbio, poiché possediamo troppe prove in questo senso. Il monarca è il rappresentante di Dio sulla terra, il suo delegato al governo temporale, questa parte che Dio ha riservato a lui nella cristianità: è l’immagine mortale del Padre eterno, che è sovrano assoluto dell’universo. Per questo il monarca è anch’egli assoluto.

Ma questo assolutismo non ha alcunché di totalitario, dal momento che si trova limitato a destra dalla Chiesa e a sinistra da quella forma di autonomia che allora si chiamava «i privilegi», nel loro significato letterale di «leggi private». La costituzione gerarchica della società in senso aristocratico era intesa, in via di principio, a stabilire o a mantenere un sistema di ammortizzatori fra il potere e il popolo. Tuttavia il freno più efficace al potere era costituito ancora dalla religione.

Due sentimenti regnavano nella coscienza del monarca: quello della sacralità della sua maestà e quello di quanto terribile fosse la sua responsabilità. Luigi XIV [(1638; 1643-1715)] dà al Delfino questa istruzione: «Prima di tutto dovete sapere, figlio mio, che non sapremo mai mostrare troppo rispetto per colui che, a sua volta, ci fa rispettare da tante migliaia di uomini. La prima parte della politica è quella che ci insegna a ben servirlo. La sottomissione che abbiamo per lui è la più bella lezione che possiamo dare fra quelle che ci competono. Noi pecchiamo contro la prudenza e così pure contro la giustizia quando manchiamo di venerare Colui di cui non siamo che dei luogotenenti».

IV. Quale civiltà ha prodotto il regime aristocratico-monarchico?

Una civiltà talmente esuberante che la politica ne resta sconvolta. Questa sovrabbondante ricchezza, che alimenta senza sosta una forza creatrice ininterrottamente rinnovata, contrasta con la tragicità degli avvenimenti: questi rappresentano il lato in ombra, mentre quella costituisce il lato in luce di quest’epoca. È il segno di una energia costante, che le sconfitte non esauriscono e che si manifesta anche in un altro modo: attraverso il numero di grandi caratteri, che questi due secoli hanno prodotto. Un’età di eroi, un’età durante la quale il tipo umano sorpassa, e di gran lunga, il tipo mediocre e degenerato di oggi.

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Se si dedicasse all’aspetto monarchico-aristocratico della civiltà detta barocca un’opera analoga a quella di Emile Mále [(1862-1954)] (6), credo che si constaterebbe, per prima cosa, che questo aspetto è sotto l’influsso dell’arte cattolica. Secondo, che il Rinascimento «antichizzante» e mitologico vi si prolunga, ma perdendo parte del suo paganesimo e giocando ormai solo un ruolo decorativo.

Terza cosa, lo Stato di questo periodo è esso stesso un’opera d’arte, come lo è il suo predecessore, lo Stato rinascimentale, con questa differenza però: mentre questo è un’architettura, quello è un monumento. Infine, questa civiltà monarchica e aristocratica la si vede scendere, di piano in piano, dal palazzo al castello, dal castello alla città, dalla città al villaggio, e a ciascuno di questi livelli provocare un rinnovamento: delle arti, delle tradizioni, dei costumi e dei costumi popolari. Ecco che cosa meriterebbe di essere studiato da vicino.

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Per concludere, si può vedere nel regime monarchico-aristocratico la forma politica del rapporto medievalità-modernità.

Note

(1) Jacques II de Chabannes signore di La Palisse (1470-1525) fu maresciallo di Francesco I (1494-1547) di Valois; noto, probabilmente a torto, per l’ovvietà travolgente delle sue affermazioni.

(2) Carlo V di Asburgo (1500-1558) tentò in tutti i modi di tenere insieme le due parti dell’impero che si era trovato a ereditare: le Spagne e i paesi Bassi, con i domini austro-italiani.
(3) Sotto la pressione di Napoleone Bonaparte (1769-1821), fresco vincitore per l’ennesima volta dell’Impero asburgico ad Austerlitz, nel 1805, l’imperatore Francesco II (1768-1835), l’anno dopo, sopprimerà giuridicamente ciò che restava della suprema magistratura laica della cristianità, per lasciare spazio al nuovo impero europeo del despota francese.
(4) Armand-Jean du Plessis duca di Richelieu (1585-1642), ecclesiastico, poi cardinale, dal 1624 primo ministro con pieni poteri di re Luigi XIII (1601-1643) di Francia.
(5) Si tratta del noto saggio di politologia del segretario fiorentino Niccolò Machiavelli (1469-1527); cfr. N. Machiavelli, Il Principe, 3a ed., Rizzoli, Milano 1992.
(6) Cfr. Emile Mále, L’art réligieux de XIIIe siècle en France. Étude sur l’iconographie de Moyen Âge et sur ses sources d’inspiration, Leroux, Parigi 1898.