Le sorprese di un’indagine condotta sulle fonti originali

Rivol_FranceseArticolo pubblicato su Il Corriere della Sera del 24 febbraio 2003

di Vittorio Messori

Esiste davvero la «profezia», intesa come vaticinio, come possibilità di prevedere eventi futuri, e in modi inspiegabili per la scienza ufficiale? E’ una domanda cui, da tempo, ho cercato di rispondere con un’indagine pragmatica. Una ricerca, cioè, al di là di ogni ideologia e di ogni pregiudizio – positivo quanto negativo – basata solo su fatti oggettivi, valutati con spirito critico.

L’elemento di prova privilegiato è, ovviamente, la parola stampata: se un manoscritto può essere falsificato, non così un libro o un giornale, quando è certa la data della loro pubblicazione e sono conservati in esemplari identici in biblioteche diverse. In anni di indagine, ho individuato diversi casi di una «chiaroveggenza» attestata con sicurezza, perché basata, appunto, su vaticini stampati sicuramente ante facta. Amici che sanno di questa mia ricerca, che ancora non ho pubblicato, mi chiedono talvolta quale, tra gli enigmatici preannunci poi realizzatisi, sembri accertato in modo più sicuro. La scelta non è facile ma, se messo alle strette, risponderei con una data: «Il 1789».

E’ l’anno, come tutti sanno, della Grande Svolta, della Frattura Epocale: gli studiosi sono unanimi nel riconoscere che uno dei veri spartiacque della storia va situato in quell’inizio della Rivoluzione Francese. Dopo di allora, tutto ciò che precede non sarà che Ancien Régime , consegnato agli archivi: si rivelerà vano, alla lunga, ogni tentativo di restaurazione.

Spesso, non ci rendiamo conto che buona parte delle categorie che ci sembrano «naturali» e con cui guardiamo alla società e a noi stessi sono in realtà novità portate da quanto cominciò il 4 maggio di quell’anno fatale, a Versailles, con la liturgia per invocare l’assistenza dello Spirito Santo sull’assemblea degli Stati Generali. Ebbene: ciò che sconcerta è che il 1789 come fine violenta del vecchio mondo e come inizio del nuovo è annunciato da una catena di profezie che attraversa i secoli. Non solo l’astrologia occidentale, pure quella orientale considera come un tòpos , come una sorta di luogo comune, il fatto che proprio in quella data sarebbe avvenuto il Grande Evento.

Fra le tante testimonianze, mi limito qui a tre sole, indiscutibili e precise.

C’è, innanzitutto, il celeberrimo astrologo Abou Maschar ibn Mohammed, conosciuto in Occidente come Albumasar, un iraniano islamico, convertitosi al cristianesimo, che, nel IX secolo, scrive in arabo un trattato, tradotto in latino nel XIII secolo con il titolo Liber de magnis conjunctionibus. Qui, si prevede con chiarezza che la situazione del Cielo nel 1789 (una serie di congiunzioni di Giove con Saturno) porterà a un profondo, disastroso sconvolgimento. Forse, addirittura, alla fine del mondo.

Conosceva -ed approvava- l’analisi zodiacale di Albumasar il cardinale Pierre d’Ailly (1350-1420), grande teologo, nonché astrologo tra i più prestigiosi della cristianità. Nel 1490, settant’anni dopo la sua morte, è pubblicato ad Augsburg il libro De concordia astronomiae cum theologia . Ho avuto fortuna: una delle poche copie superstiti è conservata giusto vicino alla mia casa sul Garda, alla Biblioteca Queriniana di Brescia. Lì ho potuto consultarla, per accertarmi – com’è doveroso – che quanto riportato nei libri degli specialisti corrisponda fedelmente all’originale.

Scrive dunque, in latino, il cardinal d’Ailly: «E ora parliamo dell’ottava congiunzione che avverrà l’anno 7040 dalla Creazione, il 4758 dal Diluvio, il 1639 a partire dalla Incarnazione. Dopo questa ci sarà un complemento di dieci rivoluzioni di Saturno nell’anno cristiano 1789 (…) allora, si assisterà a grandi e mirabili cambiamenti del mondo e mutazioni, anche per ciò che concerne le leggi e le sette».

Passando alla terza testimonianza, rintracciare uno dei rarissimi originali del volume mi è stato ancor più facile: nel 1981, presso un editore specializzato francese, Gutenberg-Reprint, è apparsa un’edizione anastatica della copia della Bibliothèque Mazarine di Parigi. Parliamo del Livre de l’Estat et Mutation des Temps , pubblicato nel 1550 da Richard Roussat, astrologo tra i più prestigiosi del XVI secolo, anch’egli sacerdote. Nelle foto di questa pagina sono riprodotti il frontespizio e la pagina 162, dove si dice: «…veniamo a parlare della grande e meravigliosa congiunzione che i signori Astrologi dicono che verrà circa gli anni del Signore mille settecento ottanta e nove, con due rivoluzioni di Saturno: e inoltre, circa venti cinque anni dopo, sarà la quarta e ultima stazione dell’altitudinario Firmamento».

Si noti che, aggiungendo 25 anni a 1789, si ottiene 1814: l’anno, cioè, della caduta di Napoleone e dell’esilio all’Elba. I Borboni tornano sul trono, si apre il Congresso di Vienna. Quel 1814, come predetto dall’astrologo del Cinquecento, rappresenterà davvero «l’ultima stazione» delle convulsioni rivoluzionarie iniziate giusto 25 anni prima, anche se le loro conseguenze dureranno nei secoli.

Ma, subito dopo, Roussat aggiunge righe che suscitano ulteriore sorpresa, in noi che sappiamo che cosa fu la Rivoluzione Francese: «Avendo tutte queste cose immaginate e calcolate, concludono i suddetti Astrologi che, se il Mondo dura sino a quel e tale tempo (cosa che a Dio solo è nota), delle grandissime, meravigliose e spaventose mutazioni e alterazioni accadranno in questo universale Mondo: principalmente quanto alle sette e alle leggi ».

Davvero singolare (oltre al resto), il riferimento esplicito alle «sette e leggi» che saranno «mutate e alterate»: insieme al cambio radicale di norme sociali, il giacobinismo cercò di costruire, sulle rovine del cristianesimo, la sua «setta», quella della Dea Ragione, con un’inedita liturgia basata su un nuovo calendario. Dopo avere elencato i motivi astrologici che giustificano la sua previsione, Richard Roussat aggiunge ancora che, proprio a partire dal tempo previsto (e, cioè, da quel fatale 1789) «verrà l’Anticristo, con la sua legge dannata e la (sua) miserabile setta, ripugnante alla legge dei Cristiani e totalmente contraria a loro».

Poco più avanti si afferma che, da allora, sarà imposta «una legge disonesta, menzognera e magica». Dove magique, in francese antico, ha il significato di «demoniaco». E’ una previsione che sembra giustificare la lettura negativa, anzi davvero «diabolica», che i cattolici diedero di quella Rivoluzione, che tentò la scristianizzazione violenta della società, che uccise religiosi a migliaia e che ridusse in rovina il patrimonio artistico della Chiesa. I giacobini devastarono anche la cattedrale di Cambrai, dov’era stato vescovo Pierre d’Ailly e, fracassatone il sepolcro, gettarono le sue ossa tra i rifiuti. I fanatici ignoravano che quelli erano i resti di uno tra coloro che, da secoli, avevano previsto, con terrore, quella «spaventevole mutazione».

Tre testimonianze indiscutibili, comunque, in tre diversi secoli: Albumasar, d’Ailly, Roussat. Ma si potrebbero allegare molti altri autori antichi (Turrel, Carrion, per dire i maggiori): l’astrologia, lo dicevo, fu unanime per secoli nel mettere in guardia da quel temibile 1789. Tanto che lo scettico che non volesse riconoscere, qui, un enigma, dovrebbe -alla disperata- ipotizzare che proprio quell’attesa avrebbe spinto qualche cospiratore ad organizzare giusto quell’anno la Rivoluzione annunciata da secoli. Ipotesi puerile, naturalmente.

Chi conosce il prima e il dopo degli Stati Generali, nel 1789, sa che gli eventi travolsero anche i protagonisti; sa che nulla era prevedibile né, tanto meno, programmabile. Nessuno si aspettava che la situazione precipitasse in quel momento, in quel modo, prendendo quella piega.

C’è, comunque, qualcos’altro che sconcerta. Nel 1904 fu pubblicata, sulla rivista della prestigiosa Ecole des chartes, una piccola opera inedita proprio di Pierre d’Ailly, la De persecutionibus Ecclesiae. Il manoscritto è conservato alla Biblioteca di Marsiglia ed è datato dall’autore stesso al 1418. Il cardinale-astrologo ripete qui, a chiare lettere, le sue previsioni sullo sconquasso atteso per il 1789, ma aggiunge un’altra profezia. In attesa dell’era dell’Anticristo, dice testualmente, «è probabile che, prima che siano trascorsi cento anni da ora, si produca una grande alterazione nelle leggi e nelle sette, particolarmente riguardo alla legge della Chiesa di Gesù Cristo ». D’Ailly scriveva questo nel 1418.

Ebbene, nel 1517, 99 anni dopo – dunque, giusto un anno «prima che fossero trascorsi cent’anni» – Lutero dava inizio alla Riforma protestante. Una rivoluzione, anche questa, ma rivolta in particolare «alla legge della Chiesa». Proprio come aveva annunciato un secolo prima un cardinale che così, nelle poche paginette di un manoscritto dimenticato, indicava con precisione data e conseguenze delle due svolte fondamentali della storia europea.

Fatti, dunque. Null’altro che fatti. Prenderne atto non è, ci pare, da visionari. Forse, è solo da realisti.