Un cupo futuro per i cristiani in Medio Oriente

cristiani in MOVita e Pensiero n.5 ottobre 2014

Dopo il fallimento della “primavera araba” e l’apparizione dello Stato Islamico in Iraq e Siria, i cristiani finiscono per pagare il prezzo più caro nella lotta di interessi delle potenze internazionali e regionali; e la loro stessa presenza è in pericolo.

Mounir Khairallah

La difficile situazione dei cristiani in Medio Oriente torna in prima pagina, soprattutto dopo il fallimento della cosiddetta “primavera araba”, l’apparizione in forza di al-Qaeda e dello Stato Islamico in Iraq e Siria (Isis, oggi Is) e la persecuzione dei cristiani in Iraq. I pochi titoli pubblicati negli ultimi mesi la dicono lunga sulla tragedia vissuta dai cristiani in Medio Oriente I cristiani iracheni di fronte a un rischio di sopravvivenza (2 luglio 2014). E ancora: Pulizia, religiosa condotta dallo Stato Islamico (23 luglio); I cristiani in Iraq. Il mondo non si cura!; Silenzio… Si perseguita! Mosul, una città dove la presenza cristiana, vecchia di duemila anni, ha subito l’epurazione etnica. Il Libano serve di nuovo da rifugio quando è già sotto il peso della presenza di rifugiati siriani che contano il 37% della sua popolazione ! (1 agosto).

Oppure: I confini del nuovo Medio Oriente saranno disegnati con il sangue dei cristiani? Questa è la domanda che si pongono tutti i liba­nesi, fissando la Piana di Ninive, dove centinaia di migliaia di cristiani sono fuggiti ieri, sotto il sole caldo, dall’invasione dei jihadisti e delle forze dell’oscurantismo religioso (8 agosto).

La situazione in Medio Oriente, soprattutto dopo il deragliamento della “primavera araba”, ha preso una piega molto pericolosa, segnata in particolare da un forte aumento del fondamentalismo islamico. Questa tendenza ha portato alla nascita di organizzazioni terroristiche fondamentaliste come la filiale di al-Qaeda in Siria e il cosiddetto “Isis”, lo Stato Islamico in Iraq e Siria. In tutto questo processo, i cristiani finiscono per pagare il prezzo più alto nella lotta di interessi delle potenze internazionali e regionali; e la loro presenza nella regio­ne, risalente al tempo di Cristo, è ora in pericolo.

In questo articolo, senza pretesa di esaustività, esponiamo prima un cenno storico sulla presenza dei cristiani in Medio Oriente, poi la loro situazione attuale e, infine, il futuro del ruolo dei cristiani in que­sta regione e in particolare in Libano.

Da dove proveniamo

Noi, cristiani del Medio Oriente, siamo consapevoli dei pericoli che corriamo, visto che siamo in questa parte del mondo così tormentato, ma siamo consapevoli anche della missione di amore, di perdono e di pace che portiamo in nome di Cristo. Siamo consapevoli del fatto che stiamo pagando il prezzo di una politica sbagliata dell’Occidente o dei cristiani occidentali nei confronti dei loro fratelli in Oriente, che pretendono di proteggere. E questo fin dall’impero bizantino, vale a dire l’impero romano in Oriente, e l’avvento dell’islam nel VII secolo, che ha soppiantato i bizantini.

I crociati arrivati nell’XI secolo per “liberare la Terra Santa” hanno preso il loro tributo. I mamelucchi venuti dall’Egitto alla fine del XIII secolo per porre fine agli “Stati latini d’Oriente”, e inseguire i franchi, sono ritornati, per vendetta contro i cristiani locali che ancora una volta hanno pagato il prezzo più alto.

L’idea di proteggere i cristiani d’Oriente è rimasta viva tra le grandi potenze occidentali molto più per difendere i propri interessi che per amore dei cristiani. All’indebolimento dell’impero ottomano, definito “uomo malato” nella prima metà del XIX secolo, le potenze europee ritornarono alla carica ed entrarono nel Medio Oriente con il pretesto di proteggere i loro fratelli cristiani d’Oriente. E vero che permisero alle popolazioni della zona di usufruire delle conquiste culturali di quell’epoca, ma introdussero pure i loro conflitti e le loro controversie politiche, tra cui quella tra Francia e Inghilterra.

Durante questi conflitti si cominciò a parlare in Occidente della “Questione orientale”, e ogni potenza prese sotto la sua protezione una determinata comunità. E di nuovo i cristiani dovettero pagare il prezzo e subire la vendetta degli ottomani, espressa nel massacro dei cristiani del Monte Libano e di Damasco nel 1860. Questa situazione durò fino alla fine della Prima guerra mondiale e la caduta dell’impero ottomano (1918) che aveva dominato l’Oriente, e persino una parte dell’Europa orientale, per 400 anni!

Oggi siamo di fronte agli stessi problemi e, contro la nostra volontà, ci troviamo a dover fare i conti con l’islam e i musulmani, soprattutto dopo l’intervento militare in Iraq da parte dell’amministrazione americana di George Bush, che in uno dei suoi discorsi utilizzò il termine «crociata». Le reazioni dei fondamentalisti islamici non si sono fatte attendere e gli attentati si sono susseguiti con violenze tali che hanno portato alla formazione di organizzazioni integraliste, come l’Isis.

La situazione attuale

L’allarme lanciato dal patriarca caldeo Louis Sako ha aperto gli occhi e scosso le coscienze. Nella sua lettera del 5 agosto 2014 a papa Francesco, ai patriarchi, vescovi e presidenti delle Conferenze episcopali, ha detto che è a rischio la «sopravvivenza stessa» dei cristiani iracheni.

«I cristiani sono di fronte a un’enorme tragedia. I cristiani di Mosul, inorriditi, hanno lasciato la città fuggendo lo Stato islamico e portando via soltanto i vestiti che avevano addosso. Le loro chiese sono state profanate. Una migrazione di massa ha avuto luogo in altri villaggi e città della Piana di Ninive […] tante persone sono state massacrate […]. La Chiesa, che si trova abbandonata più che in qualsiasi altro momento, chiede che i suoi leader reagiscano prima che sia troppo tardi esercitando la necessaria pressione sulla comunità internaziona­le, così come su coloro che detengono il potere decisionale, per trovare soluzioni radicali a questi crimini oltraggiosi.

Va notato che tutti questi omicidi accusano come motivazione il desiderio per ciò che è nascosto sotto terra, come petrolio, gas… Come si potrebbe altrimenti spiegare questa curiosa guerra radicalizzata secondo un piano premeditato senza prendere in considerazione i destini dei popoli?

Facciamo appello alla comunità internazionale, tra cui le grandi potenze che detengono la soluzione. Ci rivolgiamo vivamente alle loro coscienze, affinchè rivedano i loro accordi e rivalutino l’impatto della situazione attuale […]. I nostri cristiani hanno un bisogno vitale di assistenza umanitaria urgente e hanno bisogno di una protezione vera, efficace e permanente capace di rassicurarli affinchè non cessi la loro esistenza, la cui origine è profondamente radicata in Iraq».

Lo stesso patriarca aveva già avvertito il 2 luglio che «le truppe dell’Isis regnano a Mosul e in gran parte dell’Iraq occidentale. I tamburi di guerra si annunciano pesantemente […] i rifugiati sono milioni». Tutto era cominciato, secondo un testimone di Mosul, il 9 giugno. «Lo Stato islamico, avendo per complice il partito Baath, ha iniziato la sua offensiva contro la città di Mosul. Essa è composta essenzialmente di sunniti con delle minoranze sciite e cristiane. La città, però, era sorvegliata da decine di migliaia di soldati del regime. Il 26 giugno, la milizia si è mossa verso Qaraqosh, una città di 50mila cristiani. L’offensiva, durata dieci giorni, finisce con la sconfitta dello Stato islamico in seguito all’intervento dell’esercito curdo (sostenuto dalla aviazione americana). È stata questa sconfitta a generare l’odio contro i cristiani […]. Il 15 luglio siamo fuggiti. Non ci hanno lasciato nemmeno il tempo di fare le valigie e di abbandonare la casa […]. Siamo stati sottoposti a quattro scelte: lasciare la città a mani vuote, convertirsi all’islam, pagare la jizya [un tributo, NdR], o morire».

Si rimane perplessi dal fatto che gli Stati Uniti hanno finalmente usato la loro potenza di fuoco e i loro droni una volta che i fanatici dell’Isis hanno raggiunto i confini del Kurdistan! Una settimana prima, Qaraqosh avrebbe potuto essere salvata con i suoi 50mila cristiani gettati sulla strada da un ritiro a sorpresa, di notte, dei peshmerga che ne garantivano la sicurezza!

Il 20 agosto, una delegazione di patriarchi cattolici orientali, cattolici e ortodossi, presieduta dal nostro patriarca cardinale Bechara Boutros RaÏ, arriva a Erbil per una visita di solidarietà verso i cristiani cacciati dalle loro case e privati dei loro beni. Questa visita ha permesso ai patriarchi di essere testimoni oculari dello “sradicamento di un popolo”.

Il 27 agosto, i patriarchi si sono incontrati nella sede patriarcale maronita di Bkerké per discutere con il cardinale RaÏ della situazione dei cristiani nella regione e chiamare i leader della comunità internazionale ad assumersi le proprie responsabilità nello sradicare i movimenti terroristici e stigmatizzare i crimini contro l’umanità commessi dall’Isis. Poco dopo sono stati raggiunti dal nunzio apostolico in Libano e dagli ambasciatori dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, nonché dal rappresentante personale del segretario generale delle Nazioni Unite.

Nel comunicato stampa che hanno pubblicato alla fine dell’incontro, i patriarchi rimarcano che «l’aggressione contro i cristiani nel mondo di oggi prende una svolta grave che minaccia la presenza cristiana in diversi Paesi, tra cui il mondo arabo, e in particolare l’Egitto, la Siria e l’Iraq. I cristiani di questi Paesi sono vittime di aggressioni e crimini odiosi che li portano a emigrare arbitrariamente dai loro Paesi di cui sono autentici cittadini da duemila anni. Le società islamiche e arabe vengono così private di un importante patrimonio umano, culturale, scientifico, economico e nazionale. Questo è molto doloroso, ma ancora di più lo sono il silenzio degli organismi regionali di fronte a quello che accade e la timida posizione internazionale».

Due giorni dopo, il patriarca RaÏ era a Roma per parlare a nome dei patriarchi d’Oriente ed esporre, al convegno annuale della “Rete internazionale dei legislatori cattolici”, presieduta dal cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, la situazione dei cristiani in Medio Oriente e i pericoli che devono affrontare e che costituiscono «una minaccia per la presenza cristiana in molti Paesi, e in particolare nella regione araba, cioè l’Egitto, la Siria e l’Iraq».

«Sotto gli auspici della primavera araba», dice il patriarca Rai «i cristiani sono attaccati e costretti a lasciare i loro Paesi, dove hanno vissuto, come cittadini originali e autentici, per 2000 anni. Questo esodo priva la regione di grande ricchezza umana, culturale, scientifica, economica e nazionale, e contemporaneamente offre un’immagine distorta dell’islam presentandolo al mondo come una religione che rifiuta la diversità e perseguita chi è diverso. Riteniamo che la comunità internazionale abbia una parte di responsabilità nella crescita delle organizzazioni terroristiche e la drammatica situazione dei Paesi del Medio Oriente. Tutti sanno che quei cristiani sono vittime della lotta internazionale motivata da interessi politici, economici e strategici legati al petrolio e al gas in questi Paesi».

Anche I’11 settembre, giorno simbolico e fatale per gli americani, a Washington, durante un summit intitolato In difesa dei cristiani, il patriarca RaÏ a nome dei suoi colleghi patriarchi d’Oriente ha esposto le stesse lamentele e proposto le stesse soluzioni:

1) Mettere fine alle organizzazioni terroristi che. I Paesi islamici non possono rimanere osservatori silenziosi, semplicemente guardando lo Stato islamico e tutte le organizzazioni terroristiche che stanno causando gravi danni all’isLam stesso. I leader religiosi sunniti e sciiti devono emettere delle fatwa per condannare gli attacchi contro i cristiani e vietare la violazione delle loro chiese, le loro case e le loro proprietà.

2) Creare una forza militare sotto l’egida delle Nazioni Unite e il Consiglio di sicurezza per fermare l’invasione delle organizzazioni terroristiche. Questo è ciò che è stato deciso il 10 settembre dal presidente americano Obama che ha presentato la sua strategia di «lotta contro lo Stato islamico».

3) Oltre alle due richieste menzionate, occorre che le comunità arabe e internazionali esercitino una pressione su chi finanzia queste organizzazioni o le aiuta con armi e addestramento, per tagliare le fonti della violenza e del terrorismo. Questo è ciò che è stato fatto dalla Lega Araba, che ha deciso, in una riunione dei ministri degli Esteri al Cairo il 7 settembre, di prendere le misure necessarie per affrontare militarmente e politicamente i gruppi terroristici, compreso lo Stato islamico.

4) Sostenere la presenza cristiana al fine di salvaguardare il dialogo interreligioso e la coesistenza pacifica tra culture e civiltà, della quale il Libano rappresenta un esempio e un modello.

In Medio Oriente è decisivo il Libano

Al di là di queste situazioni critiche, i cristiani d’Oriente mantengono fisso lo sguardo verso il Libano, che rimane per loro la qibla [direzione di preghiera dei musulmani, NdR], la meta e il simbolo di una presenza cristiana attiva ed efficace. I cristiani del Libano sono effettivamente riusciti, nonostante tutte le difficoltà, a vincere la grande sfida, vale a dire, fondare con i loro fratelli musulmani ed ebrei, nei primi anni del XX secolo, uno Stato democratico, pluralista e multi-confessionale in cui ognuna delle diciotto comunità (dodici cristiane, cinque musulmane e una ebraica) mantiene la propria specificità e la propria diversità religiosa e culturale nell’unità nazionale. È l’idea del “Paese-Messaggio” – messaggio di convivialità, di libertà, di dialogo, di apertura e di rispetto delle diversità – formulata da Giovanni Paolo II, che aveva colto l’importanza capitale della pionieristica esperienza dei cristiani del Libano.

Nella sua Esortazione apostolica post-sinodale Una speranza nuova per il Libano (1997), aveva invitato i «libanesi, cristiani e musulmani, a intensificare il dialogo e la cooperazione tra di loro e con i musulmani di altri Paesi arabi, di cui il Libano è parte integrante. Si tratta infatti di un destino comune che lega i cristiani e i musulmani in Libano e in altri Paesi della regione […]. Il dialogo e la collaborazione tra cristiani e musulmani in Libano possono aiutare a promuovere, in altri Paesi, la stessa pratica» (n. 92, 93).

Benedetto XVI, visitando il Libano il 14 settembre 2012 per firmare l’Esortazione apostolica La Chiesa in Medio Oriente, ha riconfermato il ruolo del Libano, sottolineando che «la felice convivialità libanese deve dimostrare a tutto il Medio Oriente e al resto del mondo che all’interno di una nazione può esistere una cooperazione tra le varie Chiese, e allo stesso tempo la convivialità e il dialogo rispettoso tra i cristiani e i loro fratelli di altre religioni».

I patriarchi orientali nella loro dichiarazione del 27 agosto 2014 hanno ribadito che «cristiani e musulmani vivono insieme da 1400 anni. I cristiani sono sempre stati, nei loro Paesi, vettori di rinascimento culturale, sociale, economico e nazionale e hanno diffuso una cultura della diversità, dell’apertura e del rispetto per l’altro, della cooperazione e dei valori della cittadinanza, e hanno consolidato le libertà civili e i diritti umani».

Il 6 settembre, su iniziativa di Muhammad Sammalc, co-presidente del Comitato nazionale libanese per il dialogo islamo-cristiano, consigliere politico e religioso del Mufti della Repubblica libanese, ospite speciale del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente, un centinaio di personalità musulmane libanesi hanno firmato un appello in cui hanno condannato «i crimini contro l’umanità commessi dall’Isis», definiti come «i peggiori abusi rivolti all’islam stesso» e il «peggior pericolo che ha dovuto affrontare fin dall’inizio del XXI secolo». «I cristiani sono vittime, in alcuni Paesi arabi, tra cui Siria e Iraq, di una campagna di persecuzione senza precedenti nella storia delle società arabe. Sradicare i cristiani dalle loro città e villaggi, la confisca delle loro case e delle loro proprietà e la violazione dei santuari delle loro chiese e monasteri costituiscono crimini contro l’umanità, contro la religione e contro la nazione».

Lo stesso Sammak il 5 gennaio 2011 aveva scritto: «E un dovere civico dei musulmani aiutare la presenza cristiana a ritrovare la sua credibilità e il suo ruolo, e non rimanere una mera presenza in sé, in modo che il Medio Oriente ritorni a essere quello che è stato nel corso dei secoli, culla della religione, della cultura e della civiltà […]. Gran parte della sofferenza cristiana in Medio Oriente è dovuta alla diminuzione del ruolo cristiano in Libano, che si ripercuote negativamente sui cristiani nel resto della regione.

La promozione della presenza cristiana in Medio Oriente deve necessariamente partire dal Libano, che è un Paese-Messaggio di convivialità civile tra musulmani e cristiani. Nei limiti delle nostre possibilità, cerchiamo di sensibilizzare i musulmani alla grave perdita che comporterebbe per il Medio Oriente la fuga e l’emigrazione dei cristiani. A causa di questo esodo, l’Oriente sta perdendo la sua identità, la sua pluralità, lo spirito di tolleranza e di rispetto reciproco».

I cristiani del Libano – come i loro fratelli in altri Paesi del Medio Oriente – hanno pagato un caro prezzo per questa qualità di presenza, nel corso dei secoli; non vogliono, in nessun caso e per nessuna ragione, perdere i benefici di oggi. È la nostra profonda convinzione. È la nostra missione.

Come eravamo nel nostro Medio Oriente, nei secoli XVIII, XIX e XX, i campioni del rinascimento – religioso, culturale, politico ed economico – vogliamo essere nel XXI secolo i paladini dei diritti dell’uomo, i referenti della convivialità nella libertà e nel rispetto della diversità, e i promotori della cultura, del dialogo, del perdono e della pace.

A contare non devono essere i nostri dati demografici, né la nostra forza militare, ma piuttosto la qualità della nostra presenza e la nostra capacità di servire e amare i nostri fratelli. Quindi dobbiamo cambiare atteggiamento, vale a dire superare la psicosi della paura e uscire da qualsiasi posizione difensiva per testimoniare Gesù Cristo, Dio fattosi uomo per amore degli uomini, crocifisso e morto per salvare tutti.

Noi siamo qui, e qui rimarremo, impegnati nella nostra missione, lievito nella pasta di un Medio Oriente in costante ricerca di una pace giusta e duratura. Questo è il nostro futuro!

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Mounir Khairallah dal 2012 è vescovo maronita di Batroun, nel nord del Libano. Ordinato sacerdote nel 1977, dopo studi alla Pontifìcia Università Urbaniana, ha studiato Teologia pratica all’lnstitut Ca-tholique de Paris e Scienze religiose alla Sorbona. È stato segretario del Sinodo patriarcale maronita ( 1985-1987) e professore, in Libano, al seminario di Ghazir (1985-1989) e all’Università dello Spirito Santo di Kaslik( 1985-2000).