Le ragioni del naufragio laico

legge_40Articolo pubblicato su Repubblica
14 giugno 2005

di Enzo Mauro

Il risultato del referendum non è solo una sconfitta: è il naufragio di un’Italia laica che si proponeva di cambiare una leg­ge ideologica, per regolare poi di­versamente in Parlamento la ma­teria della fecondazione assistita. Questo era il senso della chiama­ta alle urne, fuori dagli schiera­menti, dagli integralismi, dalla re­torica apocalittica che ha trasfor­mato assurdamente il voto in uno scontro di civiltà.

Le urne sono ri­maste deserte. Chi ha trasformato il confronto in uno scontro tutto italiano tra il Bene e il Male, ha poi chiesto ai difensori del Bene di non scendere in campo, per man­dare a vuoto la battaglia. Non sap­piamo dunque chi sarebbe pre­valso, in uno scontro aperto di va­lori contrapposti, tra il “sì” e il “no”. Un dato solo è certo: ha per­so chi (come questo giornale) vo­leva cambiare la legge. Ha vinto chi voleva conservarla e per pre­valere ha affondato conciò che re­sta del laicismo anche il vecchio istituto del referendum, che per molto tempo scomparirà dalla scena italiana.

Molto era prevedibile, in que­sta vicenda, tutto era stato an­nunciato. Proviamo a vedere co­me, quando e perché. Passata in minoranza, per ammissione dei vescovi, nel Paese «naturalmente cristiano», la Chiesa italiana negli ultimi dieci anni ha preso co­scienza di trovarsi «in una terra di missione» e dunque ha deciso di impegnarsi «a rievangelizzare una società che è stata colpita da una vera amnesia della sua storia e della sua identità cristiana». Da qui, un cambio non soltanto di metodo e di strategia, ma di so­stanza. La Chiesa, come dice Rui­ni, «non fa più leva su un soggetto politico di riferimento, ma sui contenuti», dunque agisce politi­camente alla luce del sole, senza mediazione. La si “vede” cioè far politica, senza lo scudo dc, che tra le altre cose serviva evidentemen­te anche a questo.

Fuori dal corridoio pro­tetto in cui scambiavano il partito-Stato democri­stiano (con le sue autonomie, e le sue obbedienze) e la Curia, nel mondo scoperto di oggi la Chiesa passa da essere tutto a essere parte, in una sorta di moderna “lobbizzazione” che la porta a competere nel con­fronto politico-culturale come una grande agenzia di valori e di tradizioni, in competizione e in concorrenza con le agenzie che già occupavano il mercato.

Non riuscendo più a parlare all’insieme maggioritario del­la società, la Chiesa italiana si rivolge alle sue parti sensibili, prima fra tutti lapolitica che le­gifera muovendosi tra interes­si legittimi e valori di riferi­mento, e che ha in mano le cin­que leve dell’organizzazione sociale che nel febbraio 2001 il Cardinale Segretario di Stato fissò come essenziali per giu­dicare dal Vaticano la politica italiana: si tratta delle leggi «sulla vita, la famiglia, la gio­ventù, la libertà scolastica, la solidarietà».­

Davanti a sé la Chiesa ha tro­vato i partiti della Seconda Re­pubblica, tutti nati o trasfor­mati nel corso dell’ultimo de­cennio, senza un deposito di storia e di tradizione, un porta­to di valori consolidati a cui far riferimento. Una politica dove molto è prassi, tutto è contem­poraneo, l’identità è incerta. A sinistra, per la tragica eredità del comunismo, la tradizione è inservibile, come se fosse tutta radioattiva.

Nel nuovismo, non mancano solo i nomi, ma anche i riferimenti culturali della sinistra europea moder­na e risolta, e dunque la batta­glia delle idee diventa insicura, senza visione e senza certezza, con il rischio di essere in ogni momento gregaria delle mode culturali dominanti. A destra, il berlusconisrno ha fallito l’u­nica vera ricerca dell’immor­talità, che non sta nelle ricette antirughe del dottor Scapagni­ni, ma nel progetto di dare alla destra una moderna cultura conservatrice in un Paese che non l’ha mai avuta, democri­stiano com’era.

In questo quadro, arriva il Dio italiano predicato dalla Cei, una sorta di via italiana al cattolicesimo che non c’era mai stata, nella nazione della “totalità” democristiana e del­la surroga papale. Fatalmente, o almeno facilmente, la Chiesa a questo punto viene vista da una parte del mondo politico come l’ultima e l’unica agenzia di valori perenni e universali dopo la morte delle ideologie terrene del Novecento e il de­perimento fisico delle storie politiche che le avevano incar­nate.

Dall’altro lato, Chiesa e Vaticano vedono l’Italia im­provvisamente come un greg­ge senza guida e senza rotta, soprattutto senza più idee for­ti,incapace di tradurre la lai­cita dello Stato in uno spirito repubblicano libero e autono­mo: il terreno ideale per speri­mentare – ed è la prima volta in cinquant’anni – una sorta di “protettorato dei valori”,l’e­sercizio di un potere non più temporale ma culturale della Chiesa.

Due elementi in più raffor­zano questo quadro. Da un la­to, come fa notare Habermas, il ritorno in tutta Europa della re­ligione dal dialogo privato al dibattito pubblico, un ritorno che prende in contropiede il laicismo e che papa Ratzinger aveva già annunciato da cardi­nale, negando che il cattolice­simo sia solo un sentimento privato: «È una verità procla­mata in ambito pubblico, che pone perla società delle norme e che, in una certa misura, è vincolante anche per lo Stato e per i potenti di questo mon­do».

Dall’altro lato, l’avanzare nel nostro Paese di quel nuovo soggetto che tre anni fa ho chiamato “lo strano cristiano”, l’ateo clericale che cerca di sal­dare la destra politica italiana ad un pensiero forte che non ha, e lo trova nel deposito di tradizione della Chiesa, igno­rando sia i suoi comandamen­ti che la sua trascendenza che la sua predicazione sociale, ca­valcando però la sua legge mo­rale tradotta in norma, come creatrice di un’identità collettiva e di una società del Bene.

È il rifiuto della distinzione tra la legge del Creatore e la leg­ge delle creature, che sta a fon­damento di ogni moderna concezione della laicità. È il ri­fiuto ratzingeriano del relativi­smo tradotto dal linguaggio culturale nel linguaggio politi­co, persino legislativo: supe­rando l’idea del Parlamento come luogo dove le leggi si fan­no con l’unica regola della maggioranza, e dove ogni ve­rità è parziale, come ogni credo in democrazia.

Al fondo, c’è la denuncia della nuova religio­ne europea del “politicamente corretto”, dell’adorazione “pagana” peri diritti subentra­ti ai valori, del cuore socialde­mocratico del Novecento che ha messo per troppo tempo in circolo lo statalismo e la laicità, mentre la nuova cultura cri­stiana di destra è la vera inter­prete di un senso comune del post-moderno. È l’idea di Rui­ni del cristianesimo come se­conda “natura” italiana: che può dunque essere trasgredito e rinnegato solo da leggi in qualche modo contro natura, quindi contestabili alla radice.

Ecco il quadro in cui è nata non la legge sulla fecondazio­ne artificiale, ma “questa” leg­ge, che ha un valore ideologico e di bandiera ben superiore al valore d’uso. Ed è lo stesso quadro in cui è fallito il refe­rendum. Sarebbe certo sba­gliato dare alla Chiesa e ai nuo­vi atei clericali il potere di mo­bilitare nel silenzio il 75 per cento degli italiani, ed è ridico­lo pensarlo.

Da dieci anni i re­ferendum non raggiungono il quorum, l’astensionismo fi­siologico è altissimo. In questo caso, c’è probabilmente un ri­flesso automatico in più, che esce dalle logiche della politi­ca: la legge sulla fecondazione è stata vista dagli italiani come -una complicata questione di piccola minoranza, che non li riguardava e che non riusciva­no a padroneggiare nei suoi aspetti etici. e scientifici.

Se questo è vero, l’astensionismo più che difendere la legge ha voluto lasciare la parola al Par­lamento, dove oggi dovrebbe riaprirsi un confronto final­mente non più propagandisti­co.

Ma detto questo, non si è detto tutto. Nel disorienta­mento degli italiani davanti al­la materia del referendum, le parole della Chiesa, dei neo­con italiani, degli atei clericali hanno pesato di più delle paro­le di quel pezzo di sinistra che ha sostenuto il “sì”, dei suoi leader, dei suoi scienziati. Il centrosinistra, tutto insieme, dovrebbe riflettere: o trova un’identità culturale, visto che è incapace di trovare quella politica, oppure perderà le grandi sfide di questa fase, che nascono tutte dalla battaglia delle idee, più che dagli schie­ramenti.

Non si può reggere una partita in cui la sinistra parla di sé, mentre la destra parla della vita e della morte. Esistono valori, esistono diritti che la sinistra può testimonia­re a testa alta nel mondo di og­gi, anche dopo la sconfitta del referendum, perché fanno parte della sua storia: sfidando la destra ad una vera battaglia culturale in campo aperto, senza l’aiuto pagano di Ponzio Pilato.