Grand Hotel Hereford

Hereford_panorama Pubblicato su LO STATO N. 18.
5 maggio 1998.

E’ il più famoso lager per soldati italiani nella seconda guerra mondiale. Era in Texas e sarà al centro di un film con Raoul Bova. Si riapre così la questione del trattamento riservato al nostri prigionieri da inglesi, francesi e americani. Che infierirono, come i tedeschi e i sovietici, soprattutto con quanti non vollero “collaborare” dopo l’8 settembre.

di Fabio Andriola

Nonostante il titolo non sarà una soap opera. Il film che il giovane regista Giorgio Serafini sta girando si chiamerà Texas. Una scelta non particolarmente indicativa, di pura segnalazione. Almeno, però, tutti capiranno dove si svolge la storia. Se il titolo scelto fosse stato il più corretto Hereford, si sarebbe capito ancora meno di quello che l’operazione vuole riportare a galla. Niente a che vedere con Dallas, niente intrighi e pozzi di petrolio sotto il torrido sole texano.

In compenso i Gei Ar abbonderanno, sia per la naturale vocazione alla carognaggine sia per la nazionalità. Esagerazioni? Non proprio. Alla storia il dualismo bene-male non è mai piaciuto. Chi si scontra con il Male non è detto che per forza debba rappresentare il Bene. E sempre stato così. La seconda guerra mondiale non ha fatto eccezione.

E proprio la seconda guerra mondiale ha fatto da prologo e da scenario alla storia di Hereford che ben presto vedremo in Texas. Hereford è un nome che dice qualcosa ai cinquemila italiani che, dopo l’8 settembre 1943, ci hanno vissuto, male come in un lager o in un gulag, alle loro famiglie e a quei pochi che hanno letto i libri scritti da quelli che erano i “non cooperatori”, gli abitanti dei “Fascist Kriminal Camp”.

Il vizietto di maltrattare i prigionieri di guerra non è certo una scoperta recente né una esclusività (soprattutto per quello che riguarda i prigionieri italiani) di tedeschi e sovietici. Inglesi, francesi e statunitensi maltrattarono i prigionieri di guerra in proporzioni e in modi che rimangono per lo più ignorati sia dalla grande opinione, sia dai libri di storia scritti per le scuole.

Eppure si è trattato di una tragedia che coinvolse migliaia e migliaia di famiglie di soldati italiani che spesso, al loro rientro in patria, dovettero fare i conti con commissioni di epurazione e di verifica del loro comportamento. Infatti, non avendo accettato di collaborare con gli Alleati, che fino a poco prima erano stati i loro nemici, molti prigionieri di guerra italiani vennero iscritti d’ufficio nella categoria dei “fascisti”. Un’etichetta scomoda nell’Italia del secondo dopoguerra.

Molti di loro (spesso si trattava di fascisti, ma in molti casi l’ideologia non pesò sulla scelta di non cooperare) hanno raccontato la loro esperienza in libri come Prigionieri nel Texas di Tumiati (Mursia), Fascist Kriminal Camp di Pegolotti (Mondadori), Fascist Camps di Baghino (C. E. N.), e Fascist’s Criminal Camp scritto da Roberto Mieville, uno dei fondatori del Msi, subito dopo la fine della guerra. «Chi ha scritto questo racconto ricorda i camerati assassinati dal detentore dei campi d’Africa e d’America nella lunga prigionia» scriveva Mieville. E concludeva incitando tutti i reduci a fare come lui, a lasciare una testimonianza di quello che era loro capitato: « … affinché rimanga documentato che la brutalità e la bestialità non erano patrimonio esclusivo dei detentori tedeschi».

Alcuni hanno raccolto l’invito di Mieville e hanno scritto, altri, come Armando Boscolo hanno accettato di collaborare con Serafini che, prima di mettere in cantiere Texas, aveva già realizzato il documentario Le mura di sabbia, intervistando prigionieri e guardiani di Hereford. Un documentario che ha avuto un certo successo negli Stati Uniti e nessuna eco in Italia.

Dove del resto non è neanche arrivata la mostra che giusto due anni fa, a New York, mise in luce un altro aspetto dell’atteggiamento persecutorio del governo di Washington nei confronti dei suoi cittadini di origine italiana. Atteggiamento sostenuto oltretutto da una confusione ed una schizofrenia burocratica che molti pensano di esclusivo appannaggio italiano.

Furono circa 600 mila gli italo-americani (e la stessa sorte toccò anche a quanti erano di origine giapponese, gli unici ad aver ottenuto con cinquant’anni di ritardo scuse e risarcimenti, o tedesca) inquadrati in un regime speciale per tutta la durata della guerra: coprifuoco dalle otto di sera alle sei del mattino, limitazioni agli spostamenti superiori alle cinque miglia (poco più di otto chilometri), in alcuni casi (migliaia) arrestati e deportati in vari campi di prigionia in California e nel Montana.

A 734 italiani residenti a Londra andò anche peggio: caricati nel luglio 1940 sul piroscafo Arandora diretto in Canada vennero affondati da un sottomarino tedesco poche ore dopo la partenza. In una specie di riedizione minimale del Titanic, molti morirono (almeno in 500) per la mancanza di scialuppe e di giubbotti di salvataggio. Chi si salvò finì, con altre migliaia e migliaia di connazionali (compresi non pochi ebrei), in campi di concentramento in Australia e Canada.

E per loro le violenze e i soprusi non furono molto diversi da quelli riservati agli italiani in divisa. In attesa che qualche altro film racconti anche queste storie di civili travolti da una guerra lontana, le luci della ribalta toccano ai militari, soprattutto a quelli di Hereford, un campo non unico, ma a cui il destino ha evidentemente riservato il difficile ruolo di “simbolo”.

Un “simbolo” per il popolo che l’abitava: i “non cooperatori”, quanti cioè non accettarono di aderire alle “Italian Service Units”, formazioni con cui gli alleati tentarono di riorganizzare il grosso dei prigionieri di guerra italiani dopo il ribaltamento delle alleanze, l’8 settembre 1943. Chi non accettò di aderire se la passò male a Hereford, ma anche in tanti altri posti, dislocati ai quattro angoli della terra e uniti solo dal fatto di essere lontanissimi dalla patria e situati in luoghi climaticamente ostili: India, Kenia, Stati Uniti, Rhodesia e Sudafrica, Algeria, Marocco, deserto sahariano.

Nel dopoguerra tutto questo ebbe una succursale italiana nel campo di Coltano (allestito in una tenuta agricola presso Pisa) dove trovarono “ospitalità” oltre 30 mila prigionieri di guerra, per lo più reduci della Rsi. Si trattava di posti “frequentati” da vip: a Hereford furono rinchiusi gli scrittori Giuseppe Berto, Dante Troisi e il pittore Alberto Burri; a Coltano passò lunghi mesi anche l’insospettabile Walter Chiari.

Ma tra Coltano e Hereford, dai campi australiani o dell’India fino a quelli africani, le differenze erano di latitudine e di clima, non certo di trattamento, che spesso violava palesemente le convenzioni internazionali. I racconti dei testimoni sono concordi nel ricordare le uccisioni, i maltrattamenti, le vessazioni, le pressioni psicologiche e fisiche per indurre a firmare il foglio d’adesione alle “Italian Service Units”. Spesso non c’erano baracche per ripararsi e il rancio subiva sostanziose variazioni, al ribasso, ogniqualvolta i responsabili del campo decidevano che dovevano ottenere qualcosa.

Anni fa fece molto rumore il libro di uno storico canadese, James Bacque (Gli altri lager, Mursia), che documentò, forse con qualche esagerazione statistica, la terribile sorte di centinaia di migliaia di soldati tedeschi fatti prigionieri alla fine della guerra e sistematicamente decimati nei campi di concentramento alleati.

Che certi comportamenti siano stati molto diffusi, quindi, non è una novità. Ma per affermarlo in Italia, dove la corporazione degli storici è ossessionata dal revisionismo e da tutto quello che possa mettere in discussione la guerra partigiana e i valori della resistenza, bisogna affidarsi ai registi.

600 mila prigionieri in venti Paesi
IN MANO AMERICANA
negli Stati Uniti
51.000
in Italia
19.000
nell’Africa del nord 
9.651
in Franciae Germania  
43.000
totale
122.651
IN MANO FRANCESE
nell’Africa del Nord
37.300
in Corsica
713
nell’ Africa equatoriale
29.227
in Francia
292.227
totale
359.467
IN MANO INGLESE
in Inghilterra
158.029
in Medio Oriente
70.001
nell’Africa Meridionale
40.794
nell’Africa Orientale
53.149
nell’Africa Occidentale 
1.566
nell’India
33.302
nell’Australia
17.657
nel Canada. Giamaica e Aden
139
nella Rhodesia 
4.471
a Malta
726
a Gibilterra
 541
nell’Africa del Nord 
11.506
in Italia
20.000
totale
411.881
totale generale
602.086

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Hereford

Pubblicato da VOLONTA’ N. 5. Maggio 1995.

rassegna mensile dei prigionieri “non cooperatori” C.P. 17164 – 20170 Milano

LE RAZIONI GIORNALIERE AD HEREFORD

Una testimonianza da ricordare

Fazioso e bastian contrario come sempre, Indro Montanelli – al tempo in cui pareva ancora credibile – zittiva chi faceva presente che gli americani non erano stati poi così teneri con i prigionieri di guerra italiani “i nostri, laggiù – diceva – sono stati in villeggiatura!”. Temeva che qualcuno prendesse questo pretesto per parlare male degli USA perché allora Montanelli non s’era ancora recato alla “festa dell’Unità” a raccogliere gli applausi dei “compagni”.

Ora, indipendemente da altri soprusi patiti dai nostri in USA, ecco un documento che testimonia gli abusi americani che letteralmente affamando i nostri prigionieri hanno provocato loro seri guai alla salute e addirittura per qualcuno conseguenze mortali causate da tubercolosi.

Il documento cui ci riferiamo è il rapporto, redatto in data 17 agosto 1945, dal maggiore medico prof. Luigi Cabitto, sanitario del Compound 4 del Campo di Hereford (Texas), e dal gen. Nazzareno Scattaglia, intermediario dello stesso Campo, inviato il 25 dello stesso mese all’Ambasciatore d’ltalia a Washington, Alberto Tarchiani, e per conoscenza alla Delegazione americana della Croce Rossa Internazionale.

Nella mia qualità di sanitario di questo Compound è mio dovere riferire alla S. V. la scarsa alimentazione dei prigionieri e sui pericoli che ne possono derivare, affinché la S.V. nella sua qualità di Fiduciario rivolga adeguato reclamo alle Autorità competenti.  In linea generale, tutti indistintamente i prigionieri del Compound 4 sono diminuiti notevolmente di peso, diminuzione che varia da 15 a 5 chilogrammi per persona. E’ da ritenere che tale diminuzione sia, quale media, di 10 chilogrammi.

La scarsità e quasi assenza totale dei grassi (un grammo di olio ed una decina di grammi al giorno di strutto per persona) rende difficoltata la funzione intestinale. Le stitichezze sono molto frequenti ed ostinate, ed il ristagno di feci nell’intestino causa l’assorbimento di sostanze tossiche del tipo delle ptomaine, e conseguenti fatti di intossicazione. Le funzioni cardiache sono in molti prigionieri assai precarie (toni prolungati – toni ottusi – soffi anemici – tachicardie parossistiche – frequenti svenimenti – fatti di astenia) tanto che se sopravvenisse qualche malattia endemica od epidemica anche non di grave entità, potrebbe esservi insufficienza di resistenza organica da dare una mortalità notevole.

Non pochi prigionieri di età giovanile presentano disturbi polmonari che, se fino ad oggi non possono classificarsi quali specifici, devono tuttavia ritenersi del tipo “pretubercolare”. E non si tratta qui di predisposizione “congenita” o da vecchia data “acquisita” ma di una predisposizione specificatamente determinata da una protratta denutrizione, e quindi da una diminuzione generale di resistenza dell’organismo a qualsiasi genere di malattia, a qualsiasi tipo di bacillo e specialmente al bacillo di Koch per la sua diffusione e per la sua caratteristica resistenza quando si trovi in un organismo, è uno dei bacilli che più facilmente possono determinare una situazione nettamente patologica.

Né è possibile tentare con opportuni medicamenti di migliorare le situazioni organiche, poiché all’infermeria del Compound vengono assegnate settimanalmente di medicine adatte contro queste forme di malattia, solo sei fiale di gluconato di calcio per quasi 900 prigionieri del Campo 4. La scarsità e la monotonia di viveri causano anche numerosi disturbi a tipo neuritico che potrebbero, almeno parzialmente, venire curati con vitamina B1. Ma anche questo medicamento viene assegnato all’infermeria in scarsissima quantità.

In altri tempi era concesso comperare alla “cantina” del campo preparati vitaminici; ora tale concessione venne abolita. Ho presentato diversi “predisposti” all’ufficiale medico dell’ospedale americano perché almeno a costoro venisse assegnato un vitto migliore, ma mi fu risposto che nulla si poteva fare in loro favore.

II colonnello americano Comandante del Campo avrebbe dichiarato che, secondo gli ordini ricevuti da Washington, dovrebbero venire assegnati ai prigionieri non lavoratori viveri di almeno 2.500 caIorie quotidiane. Un tenente colonnello che il giorno 15 agosto 1945 ispezionò il nostro campo, mi confermò questo nostro diritto, diritto del resto che la nostra Patria paga in moneta sonante.  Ora, questa cifra di 2.500 calorie è stata in due mesi e mezzo solo rare volte raggiunta, mentre spesso si scese anche a 1.500 – 1.600 calorie.

Dalle cifre da me dedotte a seconda della tabella di Messini (Trattato di terapia clinica – U.T.E.T. 1942) basata su ricerche del Messini stesso e di altri autori, quali Mottazzi – Pugliese – Rondoni – Greppi – Zoia – Atwater and Woods – W. Noorden – Koering, la media delle calorie giornaliere assegnateci nel mese di giugno 1945 è di 2.142,33; mentre quella di luglio è di 2.096.

Senza tenere conto che una parte delle verdure (cavoli-patate) è spesso guasta e deve venire quindi gettata, e che ciò che ci viene somministrato quale carne consiste in ossa sapientemente spolpate (estrema parte del piede di maiale – colonna vertebrale) che non possono assolutamente più dare che pochissime calorie quando le si faccia bollire a lungo. II loro contenuto di albumine e di grassi è quindi minimo e praticamente trascurabile.

Per maggiore precisione, allego una tabella dei viveri assegnati nella prima quindicina di agosto 1945, la cui media è di calorie 2.107,2 giornaliere.  E’ pertanto evidente che la media va continuamente abbassandosi, ed è altrettanto evidente che il Comando americano del Campo ci sottrae abusivamente una non piccola quantità di viveri.

Ora, se si considera con i più quotati Autori che per un ammalato degente continuamente a letto sono necessarie da 1.700 a 1.800 calorie quotidiane, è facile dedurre che continuando con questa grave scarsità di viveri, si avranno gravi depauperamenti organici, tali da portare a conseguenze spesso irreparabili e talvolta anche letali.

Inoltre, i prigionieri del campo devono provvedere alla confezione dei viveri, alla lavatura biancheria, alla pulizia degli alloggiamenti, per cui il loro consumo di calorie va elevandosi -e non di poco – al di sopra delle 2.000 calorie. La Convenzione di Ginevra raccomanda che i prigionieri vengano messi in condizioni di coltivare gli sports. Ora, per questa estrema restrizione di viveri, ogni sport venne abolito, si che il Comando americano stesso ha ritenuto inutile tenere ancora aperto il campo sportivo.

Ritengo che – anche per la elevata altitudine del campo – il consumo minimo per persona salga a 2.300 grandi calorie al giorno adeguatamente divise nel necessario fabbisogno di carboidrati, albumine, grassi. Ora, finché l’organismo ha in sé delle riserve, si avranno solo dei dimagramenti senza conseguenze, ma, finite le riserve, avrà inizio un’autodigestione che colpirà il fegato, i muscoli, il cuore ed infine anche il cervello.

Si avranno allora i segni caratteristici della cachessia da fame, con tutte le sue gravissime conseguenze. Noi siamo giunti ora a questo punto, come è dimostrato dalle frequenti neuriti gastro-intestinali, dalle comuni vertigini, dagli svenimenti, dai disturbi intellettuali che – sinora – si rivelano con gravi debolezze della memoria ed eccessiva difficoltà ad apprendere.

E’ pertanto mio preciso dovere insistere presso la S.V. perché nella Sua qualità di “fiduciario” del campo n° 4, faccia conoscere la situazione di questi italiani agli Alti Comandi Americani, all’Ambasciatore d’ltalia, alla Croce Rossa Internazionale, al Nunzio Apostolico, facendo rilevare come fra breve tempo non sarebbe più facile ricorrere ai ripari, ma si restituirebbero alla Patria degli individui tarati e non più idonei al duro lavoro di ricostruzione che ci attende.

Che le condizioni di vita di questo Campo n° 4 siano gravemente insufficienti, è comprovato dal fatto, constatato dal sig. Colonnello americano che procedette all’ispezione del 15 agosto, che le mense delle compagnie somministrano come cibo perfino le bucce di patate confezionate a mo’ di frittata, e dal fatto che molti ufficiali tra cui per citare il nome, il conte Foscari, si cibano di grilli e cavallette che fanno friggere nell’olio minerale che la “cantina” vende quale “brillantina” per capelli.

Hereford, Texas, 17 agosto 1945.

II Sanitario del Compound Luigi Cabitto Professore dottore maggiore medico.

* * *

La scoperta di James BacqueI primi indizi sull’esistenza di questi campi non nazisti furono scoperti dall’autore James Bacque studiando un libro su Laportiere, un eroe della resistenza francese (…). L’autore scoprì che il campo in cui era stato detenuto un soldato tedesco (da lui salvato) non era che uno dei 1600 campi francesi, tutti inseriti nei rapporti degli archivi dell’ esercito francese a Vincennes, Parigi ma tutti sconosciuti da lui ma quindi probabilmente anche da molti altri.

Trovò presto la prima effettiva prova delle morti di massa nei campi controllati dagli Americani sotto il blando titolo”Altre perdite” intendendo con altre perdite, come gli fu spiegato dal Dr.Ernest F.Fisher jr. colonnello dell’esercito degli Stati Uniti a riposo, morti e fughe. Unendo i risultati dei loro studi e grazie all’aiuto del colonnello Philip Lauben, capo del German Affairs Branch dello SHAEF con l’incarico di trasferire i prigionieri critici, Fisher e Bacque scoprirono che le fughe dai vari campi erano praticamente impossibili (meno dello 0,10%) e che il numero totale di morti ammontava indubbiamente a 800.000, quasi certamente raggiungeva i 900.000 e probabilmente era più di un milione (…).

Chi cercò di rendere pubblica la verità fu smentito e furono rese impossibili le testimonianze dirette; alle organizzazioni umanitarie che tentavano di portare soccorso ai prigionieri dei campi americani era rifiutato il permesso da parte dell’esercito di entrare all’interno.

Per quel che riguarda poi i campi inglesi e canadesi non si hanno notizie in quanto il governo britannico e il Comitato Internazionale della Croce Rossa a Ginevra rifiutano il permesso per la consultazione degli archivi e delle lettere di questo argomento mentre rilasciano il permesso ad altri studiosi che lo desiderino, ma solo per la consultazione di documenti riguardanti i campi nazisti.

Anche chi ricerchi prove e testimonianze che riguardino campi non tedeschi in Europa trova molti ostacoli (…) ad esempio, nessuno degli abitanti odierni di Borovnica, dove fra il 1945 e il 1946 morirono centinaia di prigionieri italiani, afferma di ricordare che fu sede di un campo di concentramento (…).

Bibliografia:

GLI ALTRI LAGER di James Bacque  Furono oltre 4 milioni i prigionieri tedeschi internati nei campi alleati in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale. Questo libro alza il velo su una vicenda che pochi conoscono.  Euro: 18,00

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Sulla II Guerra Mondiale:

L’anno in cui il mondo finì. Diario del ’39 di Franco Bandini

Nel 1939 truppe del Fürer invadevano la Polonia. Da quel giorno la guerra sarà l’unica realtà di milioni uomini. Ma come e dove viene preparato il più grande conflitto mai accaduto? La storia controcorrente del fatale 1939.

1943 L’estate delle tre tavolette di Franco Bandini

Il primo capitolo dell’ultimo libro, postumo, dello storico Franco Bandini dedicato al 1943,in cui si indaga su molti “misteri” del secondo conflitto mondiale