Diritto e pax imperiale

Il Foglio 1 febbraio 2005

L’espansionismo romano come inclusione di popoli e genti in un modello di “civitas”.Il rapporto del potere con la religione.Le guerre “di liberazione”. Colloquio con la storica dell’antichità Marta Sordi

Sorpresa, i cristiani e l’impero romano non erano nemici per la pelle. I cristiani non contestavano il potere costituito, non rifiutavano l’esercito, non promuovevano rivolte di schiavi. Vivevano di una propria intensa moralità, spesso apprezzata dai romani “naturaliter stoici”, ma accettavano le leggi e consuetudini della società.

Gli imperatori, quando li perseguitavano (non sempre) non lo facevano perché erano pericolosi sobillatori, ma per motivi religiosi (il cristianesimo era semplicemente “religio illicita”, e i cristiani erano accusati di“ateismo”, perché non onoravano gli dèi).Altra sorpresa, i cristiani avevano una stima profonda dell’idea stessa di impero:un’idea di “melting pot” ante litteram diremmo, in cui l’espansionismo politico nasceva da una autocoscienza universalistica (il mito troiano), ma anche dalla consapevolezza di includere popoli e genti in un modello di “civitas” positivo, dove la “pax romana” faceva il paio con la “pax deorum”, l’alleanza benefica con la divinità.

Non sono sorprese assolute, certo. La professoressa Marta Sordi ad esempio lavora su questi temi dal 1957, quando, giovane studiosa, incominciò a ribaltare qualche luogo comune, iniziando proprio a studiare la forma giuridica delle persecuzioni contro i cristiani. Ma in un periodo in cui si è tornati a riflettere sul concetto di impero, e in cui c’è anche chi, in nome della religione, vorrebbe non pagare le tasse per le spese militari, gli studi della professoressa Sordi sono – almeno per analogia, “perché al di là è difficile andare” – assai istruttivi.

Professore emerito di Storia Greca e Romana all’università Cattolica di Milano, tra i suoi molti saggi è particolarmente affezionata a uno, “I cristiani e l’impero romano” (ampliato e ripubblicato nel 2004 da Jaca Book), che condensa un lavoro storico di prim’ordine e sfide interpretative per nulla accademiche. Come quella sul senso religioso e giuridico delle persecuzioni: “Nei primi decenni i romani in Palestina impedirono la persecuzione dei cristiani. E la concezione dell’impero come ‘impedimentum’ contro possibili persecuzioni nasce con San Paolo e permane in tutta la tradizione. Anche nei momenti critici, i cristiani non si ribellano mai all’impero. La responsabilità è semmai attribuita ad alcuni ‘cattivi’ imperatori”.

Cristiani dunque come buoni cittadini: “Basta leggere le lettere di Pietro e Paolo, che insistono sull’obbedienza alla legge e allo Stato. I cristiani non erano dei sovversivi. Prendiamo il giudizio sull’esercito, che è uno dei punti più frequentemente distorti dalla storiografia: il rapporto tra i soldati e il cristianesimo primitivo è sempre positivo. Il primo che loda un centurione è proprio Gesù nel Vangelo, e il primo convertito pagano a battezzarsi è un centurione, Cornelio. I cristiani non si sono mai sottratti al dovere militare.

L’unico periodo in cui dal cristianesimo proviene una opposizione antistatale, contraria al servizio militare e anche provocatoria contro i simboli religiosi pagani, è quello dell’eresia montanista, nel II secolo, che infatti scatenò la persecuzione – forse l’unica politica –di Marco Aurelio. Ma era appunto un’eresia, e i cristiani durarono fatica a far capire che non c’entravano”.

Per il resto, spiega con dovizia di esempi documentali Sordi nel suo volume, gli imperatori quasi mai hanno temuto una pericolosità politica dei cristiani. Il contrasto avviene solo con quegli imperatori che pretendono il culto imperiale, come Nerone. O quando l’imperatore cede alla superstizione dell’opinione pubblica, che sospetta i cristiani di violare la “pax deorum”, l’alleanza con gli dèi, attirando rovina sulla collettività.

Curiosamente sono gli imperatori più religiosi i più ostili: “Se l’imperatore aderiva fortemente alla religione antica, più facilmente vedeva nei cristiani una minaccia. Ma nel I secolo il ‘laico’ Tiberio diceva: ‘Alle offese agli dei ci pensano gli dei’”. Nonostante l’altalena, anziché opporsi e “svuotare” politicamente e moralmente l’impero dal di dentro, come molti ritengono anche oggi, a poco a poco il cristianesimo ne innerva e rinvigorisce l’essenza.

“E’ importante riflettere ad esempio sulla posizione di Ambrogio, che diventa vescovo di Milano dopo essere stato governatore imperiale: è lealissimo allo Stato anche dopo, salvo impuntarsi su questioni religiose, ed esalta le virtù politiche e anche militari di Roma. Del resto, romanus e cristianus iniziano a diventare sinonimi molto presto”.

Anche negli aspetti morali, secondo Sordi, tra il cristianesimo e Roma c’è un rapporto positivo: “La tradizione morale dei romani è molto vicina al cristianesimo, è basata sulla legge naturale. Ci sono il divorzio, si pratica l’aborto, ma la mentalità romana sa che sono cose negative, tollerate ma non interpretate come diritti. La differenza con l’oggi sta qui. I cristiani si limitano a praticare un’etica diversa, anche con gli imperatori cristiani la cristianizzazione avviene gradualmente, non con colpi di mano”.

Esiste una tradizionale lettura “provvidenzialistica” dell’incontro tra il cristianesimo e l’impero (“la pienezza dei tempi”, di San Paolo), che Marta Sordi conferma. Ma la studiosa vi aggiunge un’interpretazione storica di notevole spessore, e anche di una certa attualità: “Paradossalmente, io spesso dico che Roma fu cattolica prima ancora di diventare cristiana”.

Spiega: “C’è una predisposizione nel dna di Roma che ha facilitato indubbiamente il suo rapporto con i cristiani. E’ il fatto che Roma nasce dall’incontro di tre popoli, sabini, latini, etruschi, è frutto di una vera integrazione etnica e quest’idea di inclusione resta per sempre. Prendiamo anche l’aspetto sociale, la schiavitù: mentre alcuni filosofi greci ritengono che lo schiavo sia per natura inferiore al padrone, per i romani, fin dalle origini, la schiavitù è un fatto del diritto positivo, non del diritto naturale.

Tanto è vero che in Grecia restano metechi, invece Roma fa degli schiavi liberati dei cittadini. Questi aspetti sono perfettamente in sintonia con la sensibilità cristiana, la sua universalità. Superare il fattore etnico, integrare, per i romani nasce dalla convinzione di essere essi stessi un popolo misto, è il grande mito troiano di parentela universale. Ne sono consapevoli, e dunque giustificano da questo la loro capacità di assimilare. Su questo essi fondano il loro diritto a un impero universale”.

Le analogie con l’America d’oggi

Una concezione che giustifica però anche l’espansionismo politico-militare… “Certo, a volte è evidente, come per Cesare in Gallia: una guerra di conquista. Ma per il resto, c’è sempre anche un senso del diritto. Quasi sempre i romani intervengono perché chiamati, per liberare un alleato da una minaccia”. Senza contare la prudenza con cui, nelle provincie, Roma amministra il potere con un certo senso di autonomia e rispettando la religione: come avviene ad esempio nella “calda” Palestina.

C’è un’analogia con l’oggi dell’impero americano? Secondo Marta Sordi l’analogia c’è ed è sul concetto di integrazione etnica di cui i romani erano fortemente consapevoli. Come emerge in una frase bellissima di Sallustio che pone alle origini di Roma una “moltitudo vaga” diversa per lingua, origine e costumi, che con la concordia diventò una “civitas”. Secondo la studiosa, questo universalismo favorì anche l’incontro con la Chiesa: una Chiesa universale e un impero universale.

Nel segno del realismo è anche, secondo Marta Sordi, la vicenda di Costantino. Contrariamente alla visione corrente, che giudica la conversione come opportunistica, Sordi parla di conversione religiosa: “Va contro a Massenzio, che non è anticristiano, e con le sue legioni occidentali in massima parte pagane va a ‘liberare’, Roma, che era in gran parte ancora pagana: non c’era un interesse politico immediato.

La svolta del 312 fu un fatto religioso, per come lo poteva intendere un romano nello spirito della ‘pax deorum’. Fu nello stesso tempo un fatto politico, ma di politica verso la divinità. Costantino fece un’alleanza con il dio cristiano, e a suo modo gli rimase fedele”. Una cosa che noi non capiamo, ma che i romani (e i cristiani) capivano benissimo.