USTICA (Seconda parte)

Speciale pubblicato sul settimanale TEMPI
Ustica

I resti del Dc 9 precipitato

di Paul Marshall

III PUNTATA

Ustica. Analisi finale

Terza e ultima parte di una ricostruzione fondata, oltre che su qualche indagine svolta dall’autore, sullo studio delle carte della sentenza-ordinanza del giudice istruttore Rosario Priore, sulle perizie delle parti civili Itavia e famiglie delle vittime, su informazioni raccolte nel sito curato dall’aeronautica “Comitato studi Ustica” (che curiosamente risulta essere stato chiuso settimana scorsa e comunque reso inaccessibile via Internet), dalla compulsazione della Rivista Italiana Difesa, della rivista internazionale di informazioni su geopolitica, strategie militari, armamenti e difesa Jane’s e dalla lettura delle ricostruzioni del caso apparse nel libro Sperling&Kupfer di Purgatori-Miggiano-Lucca, “A un passo dalla guerra” (che accredita l’ipotesi della “quasi collisione ” o dell’abbattimento del Dc9 da parte di un missile Nato, Usa o francese, nel corso di una battaglia aerea con aerei libici), nel libro di Giuseppe Zamberletti “La minaccia e la vendetta” (che invece accredita l’ipotesi della bomba libica piazzata nella toilette e in cui si delinea un inquietante legame con la strage, avvenuta due mesi dopo, alla stazione di Bologna) e infine quello di Paolo Guzzanti, “Ustica verità svelata”, edito da Bietti (che torna a ribadire l’ipotesi bomba di Zamberletti sulla base delle perizie dell’inglese Frank Taylor)

1. Dc9 Itavia. Esplosione ad alta quota?

Un ordigno sistemato nel vano toilette del Dc9 Itavia. Questa l’ipotesi, in alternativa a quella del missile (Nato) confermata dal super-perito inglese Frank Taylor (e approfondita anche da Tempi, n. 33-34 1999), sostenuta come spiegazione al disastro del 27 giugno 1980. Ma è una ricostruzione dei fatti che (oltre a violare alcune fondamentali leggi fisiche) trascura troppi e decisivi particolari emersi dalle indagini sul relitto aereo.

Quel gesso senza alcun segno di detonazione…

Uno dei principali indizi che portano ad escludere la presenza e la detonazione di una bomba nel vano toilette a bordo del DC9 Itavia I-Tigi, è la mancanza di segni di esplosione sul corpo della Signora Calderone. La Signora Calderone aveva, la sera del 27 giugno 1980, una gamba completamente ingessata ed era stata fatta sedere nell’ultima fila di sedili con le spalle alla toilette, dalla quale era separata da una parete di materiale plastico spessa pochi millimetri e quindi, in caso di esplosione, avrebbe dovuto certamente riportare i segni se una bomba le fosse esplosa a così breve distanza.

Alcuni periti incaricati dalla difesa hanno sostenuto nel corso del tempo che rispetto alla posizione occupata dalla Signora Calderone “le testimonianze sono controverse”, in questo modo cercando di far uscire dall’indagine una prova oggettiva contraria all’ipotesi di esplosione nella toilette. Bisogna comunque far notare che personale Itavia, nel periodo immediatamente successivo al disastro, ha univocamente testimoniato che la signora fu fatta sedere nell’ultima fila di sedili adiacente alla toilette.

La circostanza era rimasta ben impressa nella memoria dei presenti in quanto la signora aveva una gamba ingessata e le fu riservata una intera fila di tre sedili per farla viaggiare più comoda.

… che qualcuno preferirebbe eliminare

Nel 1992, due barellieri di una società che opera sull’aeroporto di Bologna resero testimonianza di aver loro stessi imbarcato la signora facendola sedere nella prima fila di poltrone dal lato anteriore, allontanandola provvidenzialmente dal luogo di esplosione indicato, nel 1994, dal CP Misiti.

È importante rilevare che la signora si muoveva con una sedia a rotelle e che fu necessario imbarcarla a braccia, ed è naturale (oltreché imposto dalle norme di legge in materia di sicurezza) che in questa condizione fosse stata fatta sedere vicino ad una delle uscite (in coda secondo il personale, a prua secondo i barellieri). Fatto sta che il 27 giugno la scala di imbarco anteriore di I-Tigi era fuori servizio, per cui si dovrebbe considerare, stante che la sedia a rotelle non passa nel corridoio, che i barellieri l’abbiano portata a braccia per tutto l’aereo.

A tentare di mantenere comunque la signora lontano dalla toilette intervengono poi gli stessi periti di parte inquisita che indicano che la signora fu imbarcata dalla porta anteriore, nonostante la scala dell’aereo fosse fuori servizio, per mezzo della scala mobile aeroportuale. Da precise testimonianze raccolte dai periti di parte civile risulta che la scala aeroportuale non fu richiesta. Trattandosi di un servizio a pagamento ne sarebbe rimasta traccia sotto forma di ordine e conseguente fattura emessa dal gestore del servizio.

Inoltre l’azienda per la quale i barellieri in questione prestavano servizio la sera del 27 giugno 1980, ha dichiarato che quella sera non aveva nessuna autoambulanza sull’aeroporto di Bologna…

Motori precipitati in volo a 1000…

Secondo alcuni commentatori, in meno di due decimi di secondo dallo scoppio di una bomba nel vano toilette, l’aereo avrebbe perso entrambi i motori. I quali staccatisi dai piloni devono necessariamente essere precipitati. I motori, staccandosi, avrebbero indebolito la struttura del velivolo al punto che si è staccata anche la coda, comportando, quindi, la destrutturazione dell’aereo in volo.

Inoltre, la turbina gira a migliaia di giri/minuto e la temperatura nelle camere di combustione è di circa 1000 gradi. È ovvio che quello che entrasse nel motore in queste condizioni verrebbe triturato, sminuzzato, bruciato e che verrebbe poi espulso e non se ne ritroverebbe traccia. È chiaro che ritrovando all’interno, addirittura nelle camere di combustione, carta, gomma, plastica, pomelli e connettori provenienti da altre parti del velivolo che questi ci sono entrati quando i motori erano freddi e fermi.

E poiché per fermarsi e raffreddarsi ci impiegano alcuni minuti è chiaro che quando ci è entrato materiale proveniente da parti interne dell’aereo i motori erano ancora al loro posto. Ormai freddi e fermi. Il DC9 è dotato di due generatori di corrente calettati sui motori e di un sistema automatico che passa a quello di riserva in caso di guasto. Poiché quando è mancata la corrente c’è stato un tentativo di riattacco automatico dopo un decimo di secondo e poi il definitivo black out, questo è stato spiegato con il distacco dei motori.

Di tutti e due, altrimenti l’aereo avrebbe continuato a volare. Distacco causato dalla bomba nella toilette. Bomba necessariamente piccola, piccolissima visto che non si è trovata traccia dei danni che ha fatto nella toilette. Che però ha staccato i motori.

… senza bruciare carta, stoffe e plastica

L’esame dei motori ha dato la certezza che non sono stati colpiti da un missile, quindi si può escludere l’abbattimento da parte di uno o più missili a guida infrarossa, attratto appunto dal calore dei motori. Un primo esame dei motori fu affidato alla società ALFA-Avio, ed è citato in perizia Blasi 1 che all’interno di uno di essi (il destro) fu rinvenuto un pomello di uno strumento di cabina piloti (radio rack).

In epoca successiva fu effettuato un secondo esame, iniziato il 20 maggio 1991, presso la FIAT-Avio. Un tecnico della FIAT-Avio, nel corso di una visita al relitto a Pratica di Mare, ha potuto che all’interno dei motori si trovavano, tra gli altri:

● un pezzo di plastica blu con sagomatura a nido d’ape che faceva parte del rivestimento interno dei flap del velivolo;

● degli spezzoni di tubo/guarnizione in gomma che erano parte dei rivestimenti anti-vibrante dei pannelli della cabina passeggeri (quindi interni all’aereo);

● spezzoni di tubo simili a quelli in titanio di colore blu sono stati riconosciuti come facenti parte del velivolo;

● un frammento di fusoliera prelevato e analizzato è risultato nella sua composizione identico a uno dei due tipi rinvenuti nei motori (Al95%-Cu5%).

Risulta in tutta evidenza che i motori abbiano ingerito materiali vari provenienti dalla struttura, anche interna, del velivolo. Fra questi alcuni oggetti che per loro natura (plastica/gomma/ stoffa/carta) non avrebbero potuto essere ritrovati all’interno se l’ingerimento fosse avvenuto con i motori in pieni giri ed in fiamme. I ritrovamenti di materiali all’interno dei motori vengono confermati dai periti Taylor, autori dell’ultima perizia che indica nello scoppio di una bomba a bordo la causa del disastro (vol. II parte IV 54 cap 9).

L’ipotesi Taylor smentita dalla fisica

Secondo la perizia Taylor, inoltre, la detonazione, il cedimento ed il distacco dei motori sono avvenuti nell’arco di 4/5 secondi. Ne consegue che alla fine della destrutturazione (separazione di motori, coda, ala sinistra) dopo cioè 5 secondi i motori sarebbero stati già circa 100 metri sotto il resto dell’aereo.

Dopo 5 secondi inoltre i motori sono ancora praticamente a pieni giri (grazie alla notevole inerzia ed al fatto che stanno avanzando a circa 800km/h) e la loro temperatura interna è praticamente la stessa di esercizio (grazie alla inerzia termica dovuta alla notevole massa metallica). In queste condizioni è impossibile che eventuali oggetti di plastica/gomma/stoffa/carta/metallo siano ingeriti e poi ritrovati all’interno dei motori.

Il fatto che detti reperti siano stati trovati ci indica con sicurezza che sono stati ingeriti quando i motori erano praticamente fermi e freddi. Si dovrebbe ammettere che i motori, i tubi di gomma, i frammenti leggerissimi di nido d’ape, la stoffa elastica, la carta, i tubi di titanio, i frammenti minuscoli di lamiera della fusoliera e gli spezzoni di lega leggera (tutto materiale ripetiamo ritrovato nei motori) possano essere caduti con la stessa velocità, con la stessa traiettoria e che casualmente gli stessi oggetti siano stati ingeriti da entrambi i motori.

E comunque tutto ciò non giustificherebbe la presenza del pomello di cabina piloti. La conclusione è che, vista la tipologia dei reperti rinvenuti (e l’analisi dei tracciati radar) questi siano entrati nei motori al momento dell’impatto dell’aereo in mare e che i motori in quel momento fossero ancora al loro posto. Al momento dell’impatto si è verificata una nuvola di rottami che i motori hanno attraversato. In questo momento i motori erano ormai freddi (erano passati oltre 3 minuti dal loro spegnimento) e giravano a bassissima velocità trascinati dal vento relativo.

2. A molte miglia da Lockerbiee

Confrontando le caratteristiche del disastro di Ustica con quelle della strage del Boeing 747 Pan Am disintegrato nel 1998 nei cieli scozzesi proprio a causa di una bomba nella toilette, emergono insanabili differenze che per il caso del Dc9 Itavia impongono di scartare in via definitiva l’ipotesi dell’”esplosione endogena”. Tracciati radar, calcoli tecnici e reperti spingono invece verso un’altra direzione…

Quell’aereo ingoiato dal buio

È interessante attirare l’attenzione del lettore sulla diversità dei tracciati radar relativi al disastro di Ustica e quelli relativi all’incidente occorso nel 1998 al Boeing 747 Pan Am sui cieli di Lockerbie. Entrambi i velivoli viaggiavano a circa la stessa altezza (circa 7.500 metri) e il vento in quota era simile in entrambi i casi. Alcuni periti hanno sostenuto che entrambi gli aerei si siano destrutturati in quota, e questo è stato ampiamente dimostrato nel caso del 747 Pan Am. Per quanto riguarda invece il DC9 Itavia ci pare che ci siano tutti gli elementi per dubitarne.

Secondo i periti di parte civile basta guardare i disegni per rendersi conto che nel caso di Lockerbie il 747 si è disintegrato in volo, mentre ad Ustica il DC9 è sceso planando. Per inciso va detto che nella zona dell’incidente il radar di Ciampino ha un limite di visibilità di circa 5000 metri (cioè) non registra la presenza di oggetti sotto i 5000 metri di altitudine).

Per questo motivo possiamo sostenere che all’ultimo plot registrato, dopo 186 secondi dallo 0 UPT (Ultimo Punto Trasponder – il momento dell’incidente) il DC9 è ancora sopra i 5000 metri. Alla quota in cui il DC9 è stato colpito, alle ore 18:59.51Z (orario Nato) era ancora giorno, ma alle quote più basse il sole era già tramontato.

Senza servocomandi, senza strumenti, con un’ala devastata (quella sinistra), una breccia di due metri nella fusoliera, senza l’energia dei motori, l’aereo ad un certo punto è affondato nel buio. C’è da dire che a quella quota una depressurizzazione rapida, un calo repentino della temperatura all’interno a circa 30 gradi sottozero, la mancanza di ossigeno (le maschere non sono uscite) deve necessariamente aver causato la perdita di conoscenza dei passeggeri entro pochi secondi.

Un eroico (e sfortunato) tentativo di ammaraggio

Per i piloti, allenati, dotati di un autonomo sistema di erogazione dell’ossigeno, riparati nella cabina di pilotaggio (che è separata dalla cabina passeggeri) può essere andata diversamente. Ed è lecito pensare ad un tentativo di ammaraggio non andato a buon fine, ma quasi.

Quel “quasi” però rappresenta la differenza tra “l’atterrare sull’acqua” e l’infilarsi in mare a qualche centinaio di metri al secondo. Ma non c’è alcun dubbio che l’aereo si sia distrutto infilandosi in mare.

Lo testimonia lo stato del relitto e soprattutto lo stato della cabina di pilotaggio, recuperata “compattata” come se fosse stata schiacciata da un gigantesco maglio. Allora perché tutti parlano di storie assurde, di navi accorse a tenere a galla l’aereo per poi decidere, alla mattina, di ammazzare tutti? Forse per fare in modo che se si parla di “tentativo di ammaraggio” automaticamente la cosa si leghi ad una ricostruzione assurda ed inverosimile.

Ritorniamo al confronto tra Ustica e Lockerbie: il 747 Pan Am era oggetto, nel 1988, di un attentato terroristico compiuto collocando un ordigno esplsivo fra i bagagli dell’aereo. Di questo aereo si sa per certo che si sia distrutto in quota, nei momenti immediatamente successivi all’esplosione ed esistono i tabulati ed i plottaggi dello scenario radar alle varie battute precedenti e successive al momento della strage.

Poiché nel caso del DC9 Itavia esistono diverse interpretazioni sulle modalità dello svolgersi della sequenza dell’incidente, e poiché lo stabilire queste modalità assume un rilevante carattere nell’indagine per determinare le cause e il colpevole, si confrontino i dati radaristici di Lockerbie con quelli di Ustica, al fine di riconoscere eventuali uniformità o diversità, in particolare per stabilire se il DC9 Itavia si sia destrutturato in volo come il 747 Pan Am oppure abbia seguito nel suo precipitare, sostanzialmente integro, una traiettoria aerodinamica.

I radar confermano: non fu “destrutturazione in volo”…

Nel caso del disastro di Lockerbie siamo in presenza di 10 plottaggi (con intervallo di 8 secondi l’uno), a partire da 11 secondi dopo l’attentato.

Visualizzando i plottaggi si può chiaramente verificare come al passare dei secondi l’aereo si destrutturi progressivamente e in cielo appaiano un numero sempre maggiore di oggetti, che possono essere ricondotti a parti significative dell’aereo (ali, coda, ecc), a frammenti metallici (frammenti di lamiere, armature dei sedili, componenti dell’aereo) e oggetti vari (corpi umani, carta, rivestimenti, ecc).

Per ogni oggetto (o gruppo di oggetti abbastanza vicini) avremo una eco di ritorno, quindi un plot. Al tempo 0 UPT sul cielo di Lockerbie si nota 1 solo plot (aereo integro) mentre dopo 249 secondi se ne contano circa 200. Nel caso del disastro di Ustica, invece, si nota 1 plot al momento 0 UPT (aereo integro) e il tracciato radar procede per 186 secondi segnalando solamente 1 plot. Con poche eccezioni. Infatti a 12, 48, 54 e 78 secondi dal momento dell’incidente il radar riporta un secondo plot.

Si può chiaramente concludere che il 747 si è destrutturato al momento dell’esplosione dell’ordigno, e i suoi frammenti si moltiplicano al passare dei secondi. Il Dc9 si destruttura a seguito dei danni subiti, ma scende intatto verso il mare.

… a meno di qualche eccezione alla legge di Newton

Si possono fare alcune osservazioni. Da parte del collegio peritale (“CP”) si descrive, per il Dc9, una sequenza di destrutturazione in volo che deve aver necessariamente dato luogo a una situazione non molto dissimile da quella verificatasi a Lockerbie. Infatti il CP afferma che nell’arco di 4/5 secondi dal relitto principale si sono staccati i motori, la coda, l’estremità dell’ala sinistra, la parte superiore della fusoliera e due pannelli laterali di fusoliera di notevoli dimensioni, sono fuoriusciti 13 corpi umani, arredi e bagagli.

Quindi a 5 secondi dall’esplosione di un ordigno (missile o bomba che fosse) avremmo avuto in cielo, secondo il CP, tutti questi oggetti. Oggetti molto diversi fra loro sia come massa che come densità (rapporto massa/volume), che scendono verso il mare con traiettorie e velocità diverse.

Nel caso del 747 il radar scozzese registra puntualmente il successivo separarsi e spostarsi dei frammenti mentre nel caso del Dc9 il radar di Fiumicino vede sempre un solo oggetto muoversi nel cielo (tranne che per alcuni plot dove ne vede 2, che possono essere assimilati alla presenza del Dc9 e dell’UFO).

La differenza fra i due eventi risulta così evidente che non meriterebbe ulteriori discussioni, a meno che non si voglia sostenere che i rottami in Scozia cadano in un modo, in Italia in un altro. Il CP non spiega chiaramente come interpreta il fatto che per 28 volte il radar vede in cielo un solo oggetto e, per 4 volte, ne vede due.

Inoltre, nel caso del Dc9, se si vuole sostenere la destrutturazione in quota, oltre a dover ammettere che per qualche misterioso fenomeno tutti i frammenti si sono spostati in senso orizzontale nell’arco di poche centinaia di metri, restando all’interno della ristretta tolleranza in Range della cella di risoluzione (circa 500 metri) dovremmo anche ammettere che siano precipitati tutti con la stessa velocità, perché l’unico plot presente sparisce improvvisamente alla battuta n. 31.

Un Dc9 caduto integro. La prova dei reperti

Nella drammatica sequenza di disintegrazione del velivolo i periti ci spiegano che lo scoppio della bomba ha causato la perdita dei motori e il distacco della coda. Da quel momento in poi le varie parti sarebbero dovute precipitare in base a leggi fisiche dinamiche che solo in base a precise conoscenze matematiche è possibile calcolare.

I motori, secondo le leggi della fisica, sarebbero dovuti cadere “come cadono le bombe”. La fusoliera, seguendo una diversa traiettoria, è finita a qualche kilometro di distanza dai motori. La coda, con traiettoria ancora diversa dai primi due, ancora più lontano. La scala anteriore è un elemento massiccio che durante il volo è retratta in fusoliera immediatamente dietro alla cabina piloti.

In più la sera dell’incidente era fuori servizio e non avrebbe potuto muoversi dalla sua sede in alcun modo. Se si fosse considerato che il suo punto di ritrovamento è incompatibile, anzi “nettamente incompatibile” con l’ipotesi che il Dc9 si sia destrutturato in quota e se si fosse considerato che il suo punto di ritrovamento è una prova che il velivolo ha toccato l’acqua integro forse non si sarebbero compiuti importanti errori nella ricostruzione della dinamica dell’incidente.

Il tempo c’era, perché la scala anteriore è stata recuperata nel 1991. Peccato che proprio quel giorno (l’unico a quanto sembra) nessuno riuscisse a riconoscere già sulla nave i reperti. E peccato poi che la scala anteriore non sia stata, a differenza del resto, riposizionata sul relitto.

Quella grossa macchia azzurra (i pezzi provenienti dalla zona “B” erano, sullo Skin Map, colorati in azzurro) avrebbe reso a colpo d’occhio che c’era qualcosa che non andava. Infatti, per agevolare le ricerche e la ricostruzione dei fatti, l’area di mare in cui furono ritrovati il relitto del DC9 fu divisa in varie zone, ad esempio la zona “B” designava l’area in cui furono trovati i motori, la zona “C” la fusoliera, la zona “A” la coda, eccetera.

Il fatto di aver recuperato la scala anteriore e altri frammenti appartenenti alla zona anteriore della fusoliera nella zona “B”, cioè la zona in cui furono trovati i motori, ci indica con sicurezza che l’aereo non si è distrutto in quota, bensì ci indica che quando l’aereo ha toccato l’acqua scala anteriore e motori coesistevano.

La circostanza del ritrovamento della scala anteriore e di altri frammenti in zona “B” non è mai stata spiegata dal CP.

Quelle 13 vittime risucchiate nel vuoto…

Com’è noto nei giorni successivi all’incidente furono ritrovati in mare diversi relitti e corpi umani. Da tutti è stato riconosciuto che esistono due diverse zone di ritrovamento, una a Nord rispetto alla posizione dei relitti sul fondo, l’altra a Sud/Sud-Est di questi.

Nella prima zona si trovano quegli oggetti e quei corpi che i periti di parte civile ritengono siano fuoriusciti dal velivolo all’atto dell’incidente. Si tratta di 13 corpi umani, arredi e bagagli. La cosa sta a dimostrare che si è verificato, all’atto dell’incidente, un esteso danno alla fusoliera del velivolo, con l’apertura di squarci di tali dimensioni da lasciar passare la rilevante quantità di oggetti e corpi rinvenuti.

Il ritrovamento dei reperti in questa zona a Nord lascia presupporre con una certa sicurezza che l’aereo abbia subito una decompressione rapida ed i reperti siano stati trascinati fuori nei momenti in cui l’aria interna fuoriusciva violentemente verso l’esterno, come più volte accaduto nel caso di incidenti di aerei pressurizzati con l’apertura di falle in quota.

Si deve considerare che quasi certamente i passeggeri non avessero avuto ancora l’ordine di allacciare le cinture e che quindi sono stati trascinati fuori con una certa facilità.

… insieme al “trolley” di prua

La perdita di massa deve essere stata notevole, tale da determinare una sensibile variazione del baricentro del velivolo. Anche i tracciati radar di Ciampino ci danno indicazioni in tal senso, poichè immediatamente dopo l’incidente il radar registra un migliore livello di visibilità dell’aereo, segno di un innalzamento di quota.

Uno degli argomenti dibattuti è stato se i reperti recuperati in mare provenissero dalla zona anteriore del velivolo e, quindi, da un danno colà localizzato, o piuttosto dalla zona posteriore, in accordo con le modalità di distruzione in quota descritta dal CP Misiti.

Fondamentale a tal riguardo è stato il ritrovamento, nella zona Nord, del trolley, in pratica il contenitore dei rifiuti del velivolo, una scatola parallelepipeda, di materiale leggero, munita di ruote per poterla agevolmente estrarre. Trova collocazione, nel velivolo, nel galley anteriore, in un vano ricavato nella paratia di separazione fra cabina piloti e galley stesso.

Durante il volo è tenuta in posizione da maniglie ruotanti che ne permettono il bloccaggio nel suo vano di collocamento. Il ritrovamento del reperto in quella posizione è una chiara indicazione che il danno al velivolo è avvenuto nella zona anteriore, a meno che sul velivolo I-Tigi non esistesse un secondo trolley anche nella parte posteriore. Da testimonianze rese da personale Itavia è emerso che nel galley posteriore non esisteva alcun trolley.

I tracciati di Ciampino. Troppe coincidenze per un frutto del caso

Dall’analisi dei dati radar di Ciampino emerse in passato che esisteva una probabilità reale che alcuni plot esistenti nei momenti precedenti e successivi all’incidente rilevassero la presenza di un UFO riconducibile ad un aereo militare sconosciuto e coinvolto nell’incidente.

Secondo i fautori della bomba a bordo detti plot sono in realtà in parte falsi e in parte riconducibili a rottami distaccatisi dal Dc9, ammettendo in questo caso una coincidenza di causalità ove mentre esplode una bomba su un aereo civile si formano una serie di falsi echi che correlandosi con quelli generati da alcuni rottami in caduta (e abbiamo visto precedentemente a quali strani fenomeni fisici dovrebbero essere stati soggetti i rottami del Dc9 per poter venire interpretati in questo modo) danno una traiettoria con verso, velocità e posizioni tali da poter essere ricondotta a quella di un aereo militare che manovra in modo opportuno per lanciare uno o più missili.

Inoltre, sempre la casualità, farebbe sì che i vari echi si correlino in modo tale che all’interno della traiettoria dell’UFO esista, in correlazione con la traiettoria del Dc9, una “finestra di lancio” per missili a guida radar semiattiva. Secondo i fautori dell’ipotesi missile detti plot mostrano invece un velivolo militare in fase d’attacco che manovra per portarsi nella posizione ottimale per il lancio di missili a guida radar semiattiva. E questo perché si rifiuta la possibilità che le correlazioni prima descritte possano considerarsi originate dal caso (si noti a proposito il lavoro del Prof. Dalle Mese).

Nessuna traccia di esplosione endogena

Nel caso che il Dc9 sia precipitato a causa dell’esplosione di una bomba a bordo sarà necessario trovare tracce di una esplosione endogena (avvenuta cioè dentro l’aereo) e nel caso di un missile sarà necessario trovare tracce di una esplosione esogena (avvenuta fuori dall’aereo).

In tutti i casi di aerei civili precipitati a causa dell’esplosione di ordigni posti a bordo è stato possibile riconoscere con sicurezza il punto di esplosione dell’ordigno. Anzi la prova dell’avvenuto attentato è stata sempre data dalle evidenze dei danni avvenuti nell’intorno del focolaio esplosivo, oltre che dal reperimento di tracce e residui di materiali esplosivi.

Nel nostro caso la praticamente completa ricostruzione degli ambienti del DC9 ci permette di dire che una eventuale bomba non è esplosa in cabina passeggeri o piloti, non è esplosa nei bagagliai, non è esplosa nei galley, non è esplosa nei vani carrelli e non è esplosa nella toilette.

Se poi si volesse dichiarare che l’aereo è precipitato per una bomba a bordo nonostante l’assenza di danni causati dall’esplosione di un ordigno si deve necessariamente ammettere una ancora più eccezionale causalità di eventi: mentre esplode un ordigno dagli effetti così particolari da non lasciare evidenze di esplosione endogena (sarebbe il primo caso al mondo) si generano casualmente una serie di falsi plot che mostrano un aereo militare che esegue una manovra d’attacco. Non si è in grado di quantificare statisticamente la probabilità che ciò avvenga.

3. Spunta la scia di un missile sul Mar Tirreno

Una enorme breccia dietro la porta anteriore di ingresso passeggeri. Ancora visibile nell’hangar di Pratica di Mare, dove si conserva il relitto del Dc9 Itavia. Nessuno se ne è mai interessato, eppure potrebbe essere proprio questa la prova di un proiettile aria-aria di vecchia concezione che ha attraversato la fusoliera dell’aereo. Breve elenco dei troppi elementi che combaciano con un’ipotesi fino ad oggi osteggiata e considerata la più incredibile

Quello strano squarcio (mai considerato) nella fusoliera…

Entrando nell’hangar di Pratica di Mare in cui è stato ricostruito il relitto, ed avvicinandosi allo stesso dal lato sinistro è possibile notare una enorme breccia immediatamente dietro la porta di ingresso dei passeggeri (vedi foto pag. 1). La tipologia del danno, la conformazione e la dimensione sono completamente diverse dalla generalità del danno visibile su tutta la fiancata. Per questo motivo l’indagine in relazione all’ipotesi missile non parte dai plot -17, -12 e 2B, ma parte da questo grosso buco con margini estroflessi.

Il primo problema da definire è come mai non l’abbiano vista i componenti dei precedenti collegi peritali:

● la Commissione Luzzati non poteva perché all’epoca non era stato recuperato nulla dal findo del mare

● la Commissione Blasi non poteva perché fra i recuperi effettuati nelle due campagne della Ifremer non erano presenti gran parte delle lamiere di fusoliera e non era agevole come ora visualizzare il danno

● la Commissione Misiti non ha visualizzato il danno, a parere di alcuni dei periti, perché fin dal primo periodo di indagini (91/92) si è focalizzata su ipotesi diverse da quella del missile, mentre la ricostruzione del relitto è terminata nel 1994.

Mr. Taylor, un super-esperto. Ma non di esplosioni…

Resta da chiarire come mai tale “breccia” non sia stata visualizzata da Mr. Taylor, che pure aveva partecipato all’indagine sul disastro avvenuto sui cieli di Lockerbie. Infatti tale “breccia” presenta numerosissime analogie con il “big hole” (così venne descritto in perizia) di circa 500 x 500 mm riscontrato sul relitto del Boeing 747 Pan Am, e che venne sin dall’inizio considerato una “breccia da decompressione rapida” creata dall’esplosione.

Torniamo a Mr. Taylor, da tanti considerato il super esperto in grado di risolvere il mistero di Ustica e questo proprio in virtù della sua partecipazione all’indagine sul disatro di Lockerbie. Il motivo per cui Mr. Taylor non ha visualizzato tali analogie risiede probabilmente nel fatto che Mr. Taylor non ha partecipato all’indagine tecnica relativa al relitto del 747.

Sembra infatti che Mr. Taylor abbia partecipato, attraverso il Cranfield Institute, all’elaborazione delle traiettorie di caduta dello sciame di frammenti, e non all’analisi del relitto del Boeing 747. Per cui non ci si stupisce che non abbia visualizzato la “breccia” sul DC9.

In sostanza quando venne costituito il Collegio Peritale Misiti (1990) si ebbe l’impressione che Mr. Taylor fosse uno dei tecnici di maggiore responsabilità nell’indagine sulla strage di Lockerbie. Quindi un “supertecnico” che esaminando il relitto del 747 aveva individuato il punto dove era avvenuta l’esplosione dell’ordigno.

Il “big hole” di Lockerbie e la breccia di Ustica

A questo punto potremmo dire che sul 747 e sul DC9 esistono delle zone danneggiate delle stesse dimensioni, in analoga posizione e di una similitudine impressionante. In entrambi i casi si ha un piccolo danno iniziale che si è, in tempi brevissimi, allargato a seguito del cedimento delle lamiere adiacenti fino a dar vita ad una breccia da decompressione rapida.

Sapendo per certo che nel caso del 747 questa breccia è stata causata da una bomba nel bagagliaio come mai i collegi tecnici, trovandosi di fronte ad un danno praticamente identico non lo hanno fatto risalire, anche nel caso del DC9, ad un danno dovuto all’esplosione di una bomba? Crediamo che dipenda sicuramente dal fatto che l’esplosione di una bomba in cabina passeggeri, ipotizzata a suo tempo, sia stata scartata perché improponibile.

Tanto più che sono state recuperate molte parti che sicuramente si sarebbero trovate in punti vicinissimi al focolaio dello scoppio e che sicuramente non portano nessun danno di quelli tipici derivanti dall’esplosione ravvicinata di un ordigno esplosivo (ad esempio la centralina elettrica ed il trolley del DC9).

Quindi quel “grosso buco” (nel caso del DC9) non può essere stato causato da uno scoppio all’interno della fusoliera, ma piuttosto originato da un oggetto che ha aperto ed indebolito la struttura di contenimento innescando la decompressione rapida e l’aumento della dimensione della breccia, come, ad esempio, il corpo di uno o più missili.

Un abbattimento mediante missile…

Da anni si dice che dai tracciati radar di Ciampino emerge la presenza di un velivolo militare che compie una manovra di attacco. Fra gli altri lo dicono lo NTSB (l’ente nazionale per la sicurezza del volo americano), John Tresue, esperto di guerra aerea del Pentagono.

E poi lo dice la nostra aeronautica, anche se in linguaggio prudentissimo, nel Rapporto Pisano: “… se quei plot fossero relativi ad un velivolo che manovra per portarsi in posizione d’attacco… esiste nella traiettoria una finestra di lancio per missile a guida radar… detta manovra però non potrebbe essere eseguita da un F104”.

Allora sembrerebbe ovvio che dalla traiettoria dell’UFO si debba partire per stimare la traiettoria del missile. Ma uno o due missili? La regola dice due. La doppietta si chiama così perché ha due canne, per sparare due colpi allo stesso uccello. Se sfuggi al primo, il secondo ti trova a velocità scaduta appeso in cielo come un tacchino su un prato.

In perizia tecnica l’ipotesi di abbattimento mediante missile viene descritta soprattutto nella parte che riguarda l’esposizione e la critica al lavoro del Professor Sewell. Il Prof. Sewell, esperto nel settore missilistico, in un suo lavoro redatto per incarico dell’associazione familiari delle vittime, aveva concluso che il Dc9 Itavia è stato abbattuto da due missili.

… ma non del tipo (datato 1992) ipotizzato dalla perizia Sewell

Secondo la descrizione dello schema di impatto elaborato dal Prof. Sewell si sarebbe trattato di due missili dotati di sistema di guida a calcolo del punto futuro. Si sarebbe dovuto tener conto che nel 1980 erano ancora in servizio, o meglio erano in servizio quasi esclusivamente, armi con i diversi sistemi di puntamento e che queste potevano arrivare sul bersaglio sia dal settore anteriore che da quello posteriore.

Risulta tuttavia, da dati reperiti in letteratura, che nel 1980, e fino a tutti gli anni 90, i missili aria-aria non avessero capacità di operare con il sistema di calcolo del punto futuro. Sembra infatti che il missile AMRAAM, il primo ad utilizzare questo sistema, sia divenuto operativo con la Guerra del Golfo, nel 1992. Quindi ipotizzare le sole traiettorie indicate dal Prof. Sewell, e cercare i danni sulla base di quelle traiettorie, significa non tenere in conto tutte le possibilità esistenti, né di quelle statisticamente più probabili.

Il CP, che avrebbe dovuto ricercare le caratteristiche dei missili in funzione della possibilità di riconoscere i danni sul relitto del DC9 Itavia, sembra che prenda in considerazione solo armi aventi un certo tipo di sistema di guida. La cosa non è di scarsa importanza. Infatti il tipo di arma e la disposizioni dei danni sul bersaglio saranno completamente diversi a seconda della direzione d’arrivo dell’arma.

Forse sia il Prof. Sewell sia il CP hanno ipotizzato che un’eventuale traccia di un missile andasse cercata solo fra quelle tipiche lasciate dai missili più moderni, escludendo le armi più vecchiotte. Se così fosse non si comprenderebbe una scelta di questo tipo, che del resto, occorre far rilevare, è una costante nel caso Ustica quando si parla di missile.

L’impatto di un vecchio (ma efficace) “aria-aria”

Nel caso del missile dovremo poter riconoscere tre tipi di danni:

1) danni causati dall’esplosione della testa di guerra contro o nelle immediate vicinanze del bersaglio;

2) danni causati dalla “rosata” di scheggie lanciate dalla testa di guerra sul bersaglio;

3) danni causati dalle parti di missile che vanno ad urtare contro il bersaglio.

A detta dei periti, tutti questi danni sono ben individuabili, nel primo caso nel danno prodotto all’ala sinistra, nel secondo per via di alcune schegge trovate sul relitto, ed infine il terzo per via della grossa breccia già evidenziata.

Si è detto da più parti, ed anche in perizia tecnica (vol. IV parte IX-12 “Sistemi di guida”) che i missili aria-aria hanno scarse probabilità di colpire direttamente il bersaglio e per questo sono dotati di spolette di prossimità. Questo vale se si dirigono contro un moderno caccia con alta manovrabilità, che possa vantare ratei di virata paragonabili a quelli del missile, e che ovviamente, o per tentare di fuggire o per altri motivi, stia manovrando.

Nel caso di un ignaro aereo civile si tratterebbe di una sorta di tiro ad un bersaglio fermo e per giunta grosso. A meno di ipotizzare un malfunzionamento dell’arma, nel nostro caso il missile lo colpirebbe direttamente. Se dovessimo accettare che i missili aria-aria in servizio nel 1980 non fossero neanche capaci di colpire un bersaglio grosso e fermo come un DC9 ci si chiederebbe quale efficienza avrebbero nei confronti di un agile caccia che tenta di sottrarsi all’offesa. Sembra infatti, analizzando i dati relativi alle molte guerre che si sono combattuti negli ultimi decenni, che gli aerei militari si abbattano reciprocamente, e con una certa efficienza.

Quanto all’obiezione di Falco Accame (cfr intervista in queste pagine), basterebbe la foto di un aereo di linea italiano che agli inizi degli anni ’70 venne colpito da due missili nei cieli della Galilea e che non soltanto non si polverizzò in volo, ma riuscì ugualmente ad atterrare con tutti i passeggeri incolumi (un’immagine di quell’aereo si trovava tra l’altro, almeno fino alla scorsa settimana, nel sito curato dall’aereonautica “Comitato studi Ustica”, inspiegabilmente ora chiuso o comunque reso inaccessibile su Internet).

Ma a parte questo esempio, sull’argomento esiste un’ampia letteratura che smentendo l’ex ufficiale della marina, documenta l’assoluta possibilità che un missile di piccole dimensioni (Tipo Sidewinder, Atoll, Phiton ) o addirittura un missile piccolo ed antiquato, possa colpire un bersaglio aeromobile non solo senza disintegrarlo, ma senza provocargli danni tali da abbatterlo.

Battaglia aerea. La parola dei radar (per chi sa leggerli)

Nell’ottobre ’95 è stato avviato un “Supplemento di Indagine Radaristica”. Significa riesaminare, da parte dei Periti Giudiziari, tutti i nastri radar sia civili che militari con il fine di risolvere i dubbi che ancora sussistono sulla loro interpretazione. Il risultato è che, a parte i plot -17, -12 e 2b avvistati dal radar Civile di Ciampino, dai radar militari non risulta traffico di nessun tipo, al momento della strage, in un raggio di 90 miglia intorno al DC9 Itavia.

Di qui la conseguenza: se non c’era nessuno, chi lo ha lanciato questo missile? Se poi volessimo schierarci con quelli che comunque sostengono che i nastri militari sono dei falsi dovremmo automaticamente ammettere che, a parte i tre plot già citati del radar civile, non abbiamo nessun elemento né per sostenere l’ipotesi della battaglia aerea né il contrario.

Ma è proprio vero che i radar militari non ci possono dare nessuna indicazione? Forse, fin dal principio, la storia che i nastri dei radar militari sono falsificati è servita proprio per parare la possibilità che si riuscisse, leggendoli, a capire che tipo di indicazioni ci danno.

Per esaminare i tracciati radar i periti di parte civile hanno seguito lo stesso criterio usato nell’indagine sul relitto. In quel caso sono partiti da una evidenza macroscopica: il famoso “big hole”, una cosa che salta subito agli occhi e che si distacca nettamente dalla tipologia del resto dei danni rilevabili sul relitto.

Anche nei tracciati radar di Marsala abbiamo qualcosa di molto simile al “big hole”. Anche in questo caso abbiamo spiegazioni ufficiali strampalate e inattendibili. Procediamo comunque per gradi.

L’ipotesi di un’arma a “guida radar semiattiva”

I periti di parte civile hanno presentato nel dicembre ’95 una nota tecnica relativa all’esame del relitto ricostruito del velivolo Dc9 I-Tigi, concludendo che sullo stesso siano rilevabili i danni causati da due missili che hanno causato la perdita del velivolo e la morte degli occupanti. Dalla stessa nota si ricava che le due armi dovrebbero essere del tipo a guida radar semiattiva, visto la zona d’impatto più associabile ad un sistema di guida radar piuttosto che all’infrarosso. Questa ipotesi fà presupporre una intenzionalità dell’atto, ciò in quanto:

● il missile a guida radar semiattiva necessita dell’”illuminazione” del bersaglio da parte del velivolo lanciatore dalla partenza dell’arma sino al suo scoppio;

● in caso di lancio per errore o nel momento in cui il pilota si rendesse conto di aver puntato contro il bersaglio sbagliato basta il semplice spegnimento del radar per evitare l’impatto.Quindi si tratterebbe di un atto di offesa deliberato, compiuto con mezzi militari e pianificato militarmente. Non appare logico che un simile evento sia potuto accadere “totalmente” sotto gli occhi della Difesa Aerea senza che vi fosse alcun tipo di reazione.

Se nella vista della difesa aerea fosse apparso un velivolo sconosciuto la reazione avrebbe dovuto essere rapida e puntuale, nel senso che nel giro di pochi secondi la traccia sarebbe stata almeno “inizializzata” e ne sarebbe rimasta testimonianza nei nastri.

Un Ufo “coperto” dalla guerra elettronica

Nel caso del radar Marconi di Ciampino il primo avvistamento della traccia UFO risale alle 18.58.11Z (orario Nato), e, se si fosse trattato di un radar della difesa aerea questa traccia sarebbe stata controllata ed identificata. Ma all’interrogativo del perché la presenza dell’UFO sulla THR di Marsala sia negata si può rispondere semplicemente che l’UFO non appare perché non è stato avvistato, o perché non sia stato possibile avvistarlo. In diverse occasioni si è sostenuto, anche da persone qualificate appartenenti alle nostre FFAA, che mancando dal radar la traccia del velivolo aggressore, quindi del lanciatore, non può esistere neppure il missile.

Questo approccio al problema stupisce soprattutto se a formularlo è persona esperta di tecnologie militari applicate all’aviazione militare. Risulta infatti abbondantemente in letteratura che le Forze Aeree di ogni paese spendono (e spendevano nel 1980 e negli anni precedenti) una cospicua parte dei budget messi a disposizione dai contribuenti per Ricerca, Sviluppo e Acquisizione di strumenti di guerra elettronica e non esiste aviazione che ne sia priva.

Tralasciare di valutare, se pur in via ipotetica, che un eventuale aggressore abbia usato dispositivi di guerra elettronica la sera del 27 giugno 1980 rappresenta una lacuna che va rimossa, tanto più che fra i codici di identificazione NATO ve ne è uno apposito che descrive la situazione di un velivolo nemico che sta compiendo una azione di disturbo o inganno elettronico.

Le anomalie della traccia AJ450

C’è un motivo preciso che spinge i periti a voler indagare su questa via, e si tratta del fatto che l’anomalia registrata circa le caratteristiche di volo della traccia AA450-AJ450 (che è stata analizzata in dettaglio in precedenza) pone una serie di interrogativi ai quali va data risposta.

È verificato che la traccia AA450-AJ450 mostra di vivere ad oltre 65.000 piedi, con velocità al suolo poco superiore ai 100km/h in direzione Est, con un vento verso Est superiore ai 200km/h. Per cui questo velivolo, se si dirigesse veramente verso Est, avrebbe volato con velocità dell’aria negativa.

Si tratta di un controsenso palese e si immagina che se di manipolazione si trattasse ci si troverebbe di fronte ad un atto di persona che di volo si intende assai poco. Per fare un esempio è come se un falsario producesse una banconota da undicimila lire!

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